Category: Enciclopedia RRI

  • La Madonna nella cultura popolare romena

    La Madonna nella cultura popolare romena

    La Vergine Maria è uno dei più forti e più spesso invocati santi in situazioni speciali. Di conseguenza, ha uno statuto del tutto particolare nella tradizione romena, soprattutto nella cultura popolare. Numerose leggende con e sulla Madonna hanno costituito anche il tema di un volume pubblicato dal noto etnologo Simeon Florea Marian ai primi del Novecento, dal titolo Le leggende della Madonna”. Inoltre, la Vergine è una presenza costante anche nel testo dei canti augurali romeni. Per quanto riguarda la qualità protettrice delle persone, la Beata Maria Vergine è invocata dalle donne che stanno per partorire.



    La Madonna è quella che protegge, sorveglia, è persino un modello per la donna romena. La spiegazione consiste nel fatto che nella nostra cultura, su filiera ortodossa, il culto della Vergine Maria è stato accentuato soprattutto in questa qualità speciale, di Madre di Dio, e non in quella di Sempre Vergine. La storia del Cristianesimo ha visto molte discussioni teologiche relative allo statuto che la Madonna deve avere nell’ambito della visione cristiana. Nella cultura popolare romena è stata percepita con questo lato eccezionale di donna sempre senza peccato, ma rimasta molto vicina alla gente, conservando un lato umano eccezionale”, spiega Sabina Ispas, direttrice dell’Istituto di Etnografia e Folclore Constantin Brăiloiu” di Bucarest.



    Questo aspetto è il più frequente nei testi degli auguri rituali. La Madonna assume spesso, nel testo popolare romeno, valenze al confine tra umano e surrealistico.



    La Madonna è la mediatrice tra Dio, di cui è la Madre, e il resto del mondo, che poteva essere pericoloso o aggressivo. La Madonna è presentata nei momenti difficili del parto, quando quasi nessuno voleva starle vicino. Allorquando il pioppo le turba la tranquillità col fruscio delle foglie, quando il cavallo nitrisce, addolorata che queste parti del creato non la aiutano a partorire il Redentore, predice che la foglia del pioppo sarà per sempre mossa dal vento, e il cavallo non sarà mai sazio. Tutto ciò per non aver accettato di collaborare con la Divinità in quel momento speciale, in cui Dio doveva prendere forma umana. Non è una maledizione, come interpretano alcuni etnografi questo episodio, nè una forma di espressione del dolore della donna come tale, ma una perennità dei tratti che una parte del creato ha manifestato allorquando Dio ha preso forma umana. Queste parti negative, che non sono state controllate in quel momento, sono rimaste perenni”, aggiunge Sabina Ispas.



    Nella tradizione romena, alla personalità della Madonna viene attribuito il compito principale di mediatore tra uomo e Divinità. E’ il più spesso invocata nei momenti difficili, ma riceve anche i ringraziamenti dell’intera comunità quando la vita scorre in ordine ed equilibrio. Alla Vergine Maria sono dedicate due feste religiose annuali. La più importante è l’Assunzione, celebrata il 15 agosto. (trad. Carmen Velcu)

  • L’Università in Radio

    L’Università in Radio

    La missione educativa della radio in Romania fu importantissima già dai primi anni dell’audiovisivo. Intellettuali, politici e filosofi hanno creduto che le masse popolari potevano essere elevate dal basso livello culturale ed economico tramite un’educazione continua. La Radio ha educato gli individui per trasformarli in cittadini, così come ogni progetto educativo ha i propri obiettivi.



    Cosicchè la radio ha svolto un ruolo importante nel fare politica, cultura, propaganda, intrattenimento, ma anche scienza. Il programma che ha aperto questa strada si intitolava Universitatea Radio (L’Università in Radio). La trasmissione debuttò nel 1930, e si propose di promuovere la scienza e la cultura. Fu una tribuna degli intellettuali per diffondere la cultura e la scienza, per renderle più accessibili al semplice cittadino.



    Nonostante i cambiamenti politici, l’Università in Radio fu tra le poche trasmissioni resistite al passar del tempo, grazie al loro prestigio, ma anche al fatto che persino i regimi dittatoriali hanno capito il potenziale positivo della propaganda fatta tramite la scienza e la cultura.



    Ai microfoni della radio pubblica sono passati i nomi più importanti della scienza e della cultura del Paese. L’Università in Radio diventò un concetto di milioni di utenti, cui veniva detto giornalmente ciò che solitamente sentivano solo poche decine di studenti, concetto svolto da elite nella loro manifestazione pubblica.



    Il 1 marzo del 1930, a meno di due anni dal primo programma mandato in onda in Romania, veniva inaugurata la più seguita e longeva trasmissione culturale-scientifica della storia dei media romeni. La sua struttura era semplice: ogni sera, tra le ore 19.00 e 20.00, venivano trasmesse tre conferenze dalla durata di una ventina di minuti ciascuna.



    Il 31 luglio 1934, il giurista Radu Patrulius apriva la serie di conferenze con quella dal titolo Il ruolo delle elite”. Patrulius affermava che essere membro di una elite è simile all’appartenenza ad una confraternita in cui l’individuo tende sempre a perfezionarsi, in quanto non è mai contento di quello che sa già. Lui deve rompere le barriere del sapere, del conformismo cognitivo, deve trovare spiegazioni alle cose inspiegabili o a quelle non abbastanza esplicite.



    Chi fa parte di una elite deve essere, dunque, scienziato, ma ha bisogno anche di ottime doti caratteriali, come sarebbero il distacco dalle piccole malvagità e la capacità di dedicarsi alla comunità e al suo bene. L’immagine idilliaca dello scienziato era, per Patrulius, simile all’artista costruita dallo spirito dell’Ottocento: non bramare ai beni materiali, bensì alla gloria postuma portata dalle sue scoperte.



    Negli oltre 80 anni di trasmissione del programma L’Università in Radio” si sono susseguiti grandi nomi della scienza romena. Ogni giorno della settimana aveva un proprio specifico. Il lunedì, ad esempio, era dedicato alla scienza. Il primo nome importante di questo campo fu il biologo Grigore Antipa, animatore e fondatore del museo di storia naturale di Bucarest, che reca il suo nome. Il 16 febbraio del 1933, Antipa affrontò un tema che non si limitava solo alla scienza, ma tentava di dare una risposta quanto più esauriente: perchè erano i romeni così poveri in un Paese così ricco?



    La sua conclusione era che i romeni, nonostante la loro intelligenza e capacità di lavoro, avevano un grosso handicap, e cioè i vizi della classe dirigente, che non riusciva ad orientare le energie del popolo in una direzione buona. Dunque, la scienza si abbinava al sociale, alla politica e all’economia.



    Altri nomi importanti della società romena giunti ai microfoni della radio pubblica, furono – per limitarci solo al primo periodo della trasmissione – il geografo Simion Mehedinţi, l’archeologo Vasile Pârvan, il sociologo Dimitrie Gusti, lo storico Constantin C. Giurescu, il medico Gheorghe Marinescu. Sono solo alcuni dei grandi nomi della serie di noti ingegneri, medici, agronomi, fisici, chimici, biologi che hanno regalato al pubblico tante informazioni basilari per la loro formazione.

  • Il Museo del Villaggio di Bucarest

    Il Museo del Villaggio di Bucarest

    Il 17 maggio 1936, apriva i battenti a Bucarest il Museo del Villaggio. Era frutto dell’iniziativa del sociologo Dimitrie Gusti e delle ricerche sul campo condotte da lui e dalle sue equipe. Per 10 anni, gruppi di esperti di etnografia, sociologia e musicologia avevano girato per i villaggi romeni per elaborare monografie multidisciplinari di un mondo già in via di estinzione: la civiltà rurale tradizionale.



    Il Museo del Villaggio” è nato dal sogno del sociologo di conservare questo mondo in uno spazio protetto, alla periferia nord della capitale, presso il lago Baneasa. La direttrice del Museo del Villaggio Dimitrie Gusti”, Paula Popoiu, evoca gli inizi.



    ”Prima che nascesse il Museo del Villaggio erano state condotte delle ricerche, a partire dal 1925, in oltre 600 villaggi romeni. Il metodo scientifico sviluppato era quello monografico. Dobbiamo vedere nella Scuola sociologica di Bucarest anche una scuola scientifica, non solo culturale, dove è nato il più moderno metodo di ricerca etnografica dell’epoca. Dimitrie Gusti ha avuto anche bellissimo sogno, di vedere creato il Museo del Villaggio. La scuola sociologica di Bucarest si adeguava al trend europeo dell’epoca. Gusti voleva creare un villaggio modello, che conservasse le peculiarità, ma anche ammodernato come utilità, il che auspichiamo anche noi, perchè quel villaggio modello non è stato ancora compiuto da noi. Dimitrie Gusti è stato anche ministro, direttore dell’Istituto Sociale Romeno, ha diretto riviste specializzate. Era altamente carismatico, altrimenti non avrebbe potuto riunire accanto a lui personalità di prim ordine, quali Henri Stahl, Anton Golopenţia, Gh.Focşa”, spiega Paula Popoiu.



    A maggio 1936, al Museo del Villaggio Romeno furono portate e allestite 29 case, una chiesa di legno del Maramureş, cinque mulini a vento, un mulino ad acqua, un frantoio d’olio, un conservificio di pesce e altri annessi che si trovavano in qualsiasi villaggio romeno. Anche se subito dopo l’insediamento, il regime comunista voleva chiudere il museo, ora il suo patrimonio è ancora più ricco.



    Il museo si è sviluppato moltissimo. Annovera ora 360 obiettivi, monumenti, oltre 250.000 documenti in collezioni, compresi i documenti dell’epoca della Scuola sociologica di Bucarest. Nelle collezioni abbiamo oltre 60.000 oggetti, tra cui icone di grande valore, costumi popolari, ceramiche, ecc. Attualmente è il più noto museo di Bucarest e della Romania, ed è molto conosciuto anche all’estero”, aggiumge Paula Popoiu.



    Tutti i visitatori troveranno al Museo del Villaggio i più rappresentativi stili dell’architettura rurale delle regioni storiche della Romania: Banato, Oltenia, Valacchia, Moldavia, Dobrugea, Transilvania. (trad. Carmen Velcu)


  • La prima donna – paracadutista di Romania

    La prima donna – paracadutista di Romania

    In Romania, le donne sono state attirate dal pilotaggio dagli albori dell’aviazione. La prima donna-pilota del Paese ha studiato in patria, ma ha ottenuto il brevetto di pilota in Francia, nel 1914. Si chiamava Elena Caragiani. Nel 1920, Smaranda Brăescu diventava la prima donna-paracadutista di Romania e negli anni ’30 batteva il record europeo e mondiale. Smaranda Brăescu ha cominciato il paracadutismo, per praticare, in realtà, il mestiere che la appassionava: quello di pilotare aerei. Lo storico dell’aeronautica Dan Antoniu ci parla di Smaranda Brăescu.



    “Nacque il 21 maggio del 1897, in una famiglia di contadini moldavi, del villaggio Hinţeşti, in provincia di Galaţi. A Bârlad, frequenta per cinque anni i corsi di una scuola professionale. A Bucarest compie gli studi all’Accademia di Bellearti (1924 – 1929). Mentre era a Bârlad, nel 1912, ebbe l’occasione di assistere alle dimostrazioni aviatiche effettuate dal futuro generale di aviazione Gh. Negrescu. Ne fu talmente impressionata che decise di fare questo mestiere. Nel 1926, chiese di fare pilotaggio all’unica scuola specializzata appartenente all’esercito. Ma fu rifiutata, in quanto donna…Voleva comprare un aereo, ma non aveva sufficienti soldi. Pensò di fare la paracadutista, per cominciare a guadagnare e poter raggiungere il suo sogno. Nel 1927, conobbe un fabbricante tedesco di paracaduti. Gli chiese come fare per freuqentare una scuola di paracadutismo e lui la consigliò di comprarsi un paracadute, di recarsi a Berlino e di ottenere così il brevetto. Smaranda prese in prestito 40.000 lei, andò a Berlino, e dopo aver finito il corso, il 5 luglio del 1928, ottenne il brevetto di paracadutista. Questo documento la attesta come il primo paracadutista romeno qualificato e il primo specialista del Paese in questo settore, per un lungo periodo. Grazie a Smaranda Brăescu, la Romania diventa il terzo Paese al mondo che ha una donna paracadutista”, spiega lo storico.



    Il 26 ottobre 1928, Smaranda Brăescu fece la prima dimostrazione di paracadutismo della Romania, sull’aeroporto di Baneasa, a Bucarest. Nel 1931, con un paracadute acquistato in Germania, riesce a battere il record europeo e mondiale, alla categoria donne.



    Dopo alcuni voli di addestramento, il 2 ottobre del 1931, sale con l’aereo a 6200 metri e si lancia. Fu record mondiale femminile. Nel desiderio di ottenere il record supremo, si rivolse al quotidiano Universul che l’ha sempre sostenuta con l’avvio di una colletta pubblica. Dopo aver raccolto i soldi, il giorno di Natale del 1931, arrivò nella capitale degli Stati Uniti e con l’aiuto dell’Ambasciata di Romania e della comunità romena, ottenne gli avvisi necessari. Il 19 maggio 1932 fece il salto durato 25 minuti, che le portò il record mondiale assoluto”, aggiunge Dan Antoniu.



    Durante la seconda Guerra Mondiale Smaranda Brăescu fece parte della Squadriglia Bianca, l’unitè romena di aerei sanitari, pilotati da donne. Nel 1946 protestò contro il broglio elettorale che portò i comunisti al governo e firmò, accanto ad altre 11 personalità del tempo, un memorandum inoltrato alla Commissione Alleata di Controllo. Fu condannata dai comunisti per questo gesto, a due anni di carcere. La pena non fu mai scontata, perchè lei si nascose fino alla sua morte, nel 1948. Gli ultimi giorni di vita li trascorse ad un monastero di Cluj, dove fu sepolta sotto un altro nome. (trad. Carmen Velcu)

  • La spada del principe Stefano il Grande

    La spada del principe Stefano il Grande

    Stefano il Grande vanta il più lungo regno della storia del principato romeno della Moldavia, durato quasi mezzo secolo, dal 1457 al 1504, considerato dagli storici un record per l’epoca. La posterità romantica lo ha inserito nella galleria dei grandi eroi, la sua figura occupando un posto d’onore nei libri di storia dei romeni e nella mentalità collettiva, come difensore dell’indipendenza della Moldavia.



    Il 21 ottobre 2006, la tv pubblica romena annunciava che il nome del vincitore del concorso Grandi romeni”, in seguito al voto della popolazione, era quello del principe Stefano il Grande, la cui popolarità è cresciuta costantemente dal 1992, anno in cui è stato canonizzato dalla Chiesa Ortodossa Romena.



    Il più noto oggetto appartenuto al principe Stefano il Grande e che esiste tutt’oggi, è la sua spada. Lo storico Carol König, esperto di armi medievali, crede che la spada di Stefano il Grande, sebbene di moda occidentale, abbia qualcosa di tipicamente moldavo.



    Un unico documento attesta le armi romene. Stefano il Grande, in una lettera rivolta agli italiani, più esattamente ai milanesi, chiese agli artigiani di Milano di fargli 10 spade di stampo valacco.” Significava che, probabilmente, si fosse trattato di un certo tipo di spada. Questo tipo non può essere che quello di Istanbul, dove ci sono 3 spade romene che somigliano, di cui una ha nella parte superiore del manico la scritta Io, Stefano Voivoda” e lo stemma della Moldavia. Questa spada è stata portata anche in Romania e io ho avuto la soddisfazione di farne la scheda. Non era in perfetto stato, aveva delle macchie di multiforme corrosione ed era sciupata in varie parti della lama”, spiega lo storico.



    La spada di Stefano il Grande è in possesso del palazzo Topkapî di Istanbul. E’ lunga 125 centimetri, di cui 102 la lama e 23 il manico. Pesa circa 2,5 kili ed è ornata dallo stemma moldavo. Finisce con un disco, sulla cui parte superiore sta scritto Io, Stefano Voivoda” e segnata la croce. Il principe moldavo aveva ricevuto la spada in dono da Papa Sisto IV, nel 1475, dopo la battaglia di Podul Înalt (Vaslui), in segno di riconoscimento per il ruolo decisivo della Moldavia nella difesa della cristianità.



    In quella battaglia, gli eserciti alleati crociati formate da moldavi, sekleri e polacchi, sotto il comando di Stefano il Grande, vinsero le truppe ottomanie del Pascià Solimano. Nella sua lettera, il Sommo Pontefice apprezzava le gesta di Stefano, compiute con saggezza e bravura, contro i turchi pagani, gesta che lo avevano reso famoso.



    Ci sono due varianti che spiegano il modo in cui la spada entrò in possesso dei turchi. O Stefano stesso l’avrebbe data al sultano poco prima di morire, come riconoscimento della superiorità ottomana, gesto con cui cercava di conservare la statalità della Moldavia; oppure, la spada era stata confiscata dai turchi durante il primo regno del figlio di Stefano, Petru Rares, nell’invasione ottomana del 1538 in Moldavia.



    Da allora, la spada è rimasta in Turchia. E’ stata esposta l’ultima volta in Romania a luglio 2004, al Museo Nazionale d’Arte della Romania, in occasione dei 500 anni dalla morte del principe Stefano il Grande. Per l’occasione, il governo turco ha donato una copia allo stato romeno, entrata nel patrimonio del monastero di Putna, il più importante edificio di culto fondato da Stefano, e dove si trova anche la sia tomba.

  • Il Castello Hunyad di Timisoara

    Il Castello Hunyad di Timisoara

    Fatto costruire nel XV-esimo secolo dal principe della Transilvania, Giovanni Hunyadi (Iancu de Hunedoara), il padre del re Mattia Corvino d’Ungheria, il Castello Hunyad di Hunedoara gode di una meritata fama. E’ uno dei più importanti edifici gotici della Romania, e il suo aspetto ricorda i castelli dei romanzi cavallereschi. Tuttavia, esiste un altro castello Hunyad, meno conosciuto, a Timişoara. Attualmente, ospita il Museo del Banato ed è costruito sulle rovine del più antico edificio della città. Suzana Kopeczny, archeologo medievista presso il Museo del Banato di Timişoara, ci ha raccontato la storia di questo Castello Hunyad.



    “La storia dell’edificio inizia nel XIV-esimo secolo quando, durante il regno di Carlo Roberto d’Angiò, la residenza della corte reale si stabilì temporaneamente a Timişoara, dal 1315 al 1323. A quanto pare, in quel periodo fu eretto un castello diventato poi residenza reale. Le rovine di questo castello sono state rinvenute nei sotterranei dell’odierno castello Hunyad, nel centro della città. Parzialmente, la costruzione attuale è sovrapposta alle mura del castello medioevale, ma ciò che vediamo oggi è infatti un edificio eretto nel XVIII-esimo secolo. Inizialmente, il castello non fece parte dei possedimenti della famiglia Hunyad, non fu un’eredità di famiglia. Dopo lo spostamento della corte imperiale da Timişoara a Visegrad, diventò sede dei dirigenti del comitato di Timiş. Nel momento in cui Giovanni Hunyadi diventò dirigente del comitato di Timiş prese anche questo castello che utilizzò per molto tempo”, spiega Suzana Kopeczny.



    Inoltre, dal 1441 al 1456, mentre era a capo del comitato di Timiş, Giovanni Hunyadi fece anche un primo consolidamento del palazzo. Come era l’edificio e come fu costruito, ce lo dice sempre Suzana Kopeczny.



    “Inizialmente fu costruita una torre di mattoni di forma rettangolare con più piani. Lungo il tempo, attorno alla torre vennero costruiti più edifici, un palazzo intero. Pare che ci sia stata anche una cappella che non siamo riusciti ad identificare. Il palazzo fu costruito interamente in mattoni, visto che essendo una zona di pianura, era più difficile trovare pietra. Si usò anche molto legno, soprattutto nelle fondamenta. A causa del suolo paludoso, vennero prima fissati dei pilastri di legno nella terra e solo dopo si costruirono le mura di mattoni. Solo gli elementi decorativi delle porte e delle finestre furono scolpiti in pietra”, aggiunge Suzana Kopeczny.



    Il castello originale sopravvisse fino verso la fine del XVI-esimo secolo, quando fu fortemente danneggiato dagli attacchi ottomani. Tentativi di consolidamento, soprattutto delle mura di difesa, avvennero anche nel periodo in cui l’Ungheria e la Transilvania vennero trasformate in pascialato turco. Nel XVIII-esimo secolo, invece, sulle sue rovine fu eretto l’edificio che vediamo oggi.



    “L’attuale edificio fu costruito negli anni 1720, e doveva ospitare una caserma militare. Sebbene si siano mantenute alcune delle mura del vecchio castello medioevale, nella maggior parte, l’edificio è nuovo. Lo stesso castello fu ricostruito dopo un assedio del 1849. L’identità dell’architetto resta ignota, ma sappiamo che era della corte imperiale viennese. Fu anche il periodo in cui venne costruita la fortezza di Timişoara. La caserma si trova in un bastione delle fortezza. Lo stile della costruzione è quello barocco. L’edificio fu ricostruito nel 1856, perché l’assedio del 1849 aveva danneggiato fortemente anche quest’edificio. Nel XIX-esimo secolo invece esso fu ricostruito in stile romantico e la facciata che vediamo oggi è decorata nello stile delle vecchie fortezze medioevali”, conclude Suzana Kopeczny, archeologo medievista presso il Museo del Banato di Timişoara.



    L’edificio mantenne la sua funzione militare fino al 1948, quando nel Castello Hunyad di Timişoara fu trasferito il Museo del Banato.

  • Statue equestri di Bucarest

    Statue equestri di Bucarest


    Nella Bucarest del secondo Ottocento, in pieno ammodernamento della Romania, sorgono anche le prime statue equestri. La prima fu quella del siniscalco Mihai Cantacuzino, collocata nel cortile dell’Ospedale Coltea, e la seconda del principe leggendario Michele il Bravo (1593 — 1601). Construita nel 1874 dallo scultore francese Albert-Ernest Carriere-Belleuse, la statua equestre è stata collocata di fronte all’Università. Del suo aspetto e valore ci parla Victoria Dragu-Dimitriu, autrice del volume Storie con statue e fontane di Bucarest.




    ”La statua di Michele il Bravo doveva destare la coscienza nazionale, ricordare l’Unione, pur se di breve durata, dei tre principati romeni, ed elogiare la bravura dei romeni e la loro resistenza in battaglie importanti. La statua eè una specie di memoriale, in quanto ci sono iscritte le principali battaglie del principe e i principali capitani delle sue truppe. Michele stesso è presentato in un atteggiamento di comandante, in armura, esortando i suoi soldati con la mano alzata, sul cavallo rampante. In generale, nella simbolistica delle statue equestri la posizione delle gambe del cavallo indica il destino del protagonista della statua. Nel caso di Michele il Bravo, si tratta della sua morte per tradimento”, spiega Victoria Dragu-Dimitriu.




    Lungo gli anni, la statua del leggendario principe è diventata, anch’essa, leggendaria. D’altronde, proprio l’inaugurazione ebbe una storia interessante. L’indipendenza fu proclamata pochi anni dopo e, appunto perciò, non fu facile inaugurare questa statua. Era rimasta per molto tempo avvolta nei teli. La situazione era poco chiara, c’erano molti oppositori: i turchi, l’Impero degli Asburgo. Allora, degli adolescenti presero l’iniziativa. Erano dei giovani che si preparavano a fare l’esame di maturità nell’edificio dell’Università, esasperati di dover vedere tutte le volte che ci passavano, una statua avvolta nelle tele. Decisero di inaugurarla loro. E lo dissero a voce alta. Cosicchè, al momento giusto, la piazza era gremita di poliziotti. Qualcuno riuscì a tirare i teli. Ci furono degli arresti. E siccome tutto era avvenuto il 3 o 4 di novembre, le autorità decisero di inaugurarla ufficialmente l’8 di novembre, in occasione della Festa dei Santi Michele e Gabriele. Re Carlo I racconta nel suo diario quanto solenne fu il momento e quanto fiero era che durante il suo regno fu inaugurato il primo monumento volto a celebrare l’eroismo dei romeni. Sembrava un buon auspicio per l’avvenire”, aggiunge Victoria Dragu-Dimitriu.




    Se quella di Michele il Bravo esiste anche oggi, altre statue equestri di Bucarest ebbero una sorte proprio tragica. Costruita nel 1939 dal croata Ivan Mestrovici, la statua equestre del primo re di Romania, Carlo I, fu distrutta dai comunisti dopo nove anni, nel 1948. La stessa sorte fu riservata alla statua di re Ferdinando, inaugurata nel 1940. Piazzata proprio di fronte al Palazzo Reale, la statua di re Carlo I era immensa, imponente e presentava il re a cavallo.




    Mestrovici era un grande scultore, già affermato. La statua era di straordinaria robustezza e bellezza. Eppure il concorso per la costruzione di questa statua lo aveva vinto lo scultore romeno, Oscar Han. Ma, come affermò proprio lui, per suo grande dolore, l’entourage del re agì a favore di Mestrovici”, conclude Ce ne parla sempre Victoria Dragu-Dimitriu. Nel 2010, sull stesso posto fu collocata una nuova statua equestre di re Carlo I, opera dello scultore Florin Codre.

  • Spiru Haret – personalità poliedrica

    Spiru Haret – personalità poliedrica


    Una delle quattro statue collocate di fronte all’Università di Bucarest, fondata nel 1864, è dedicata a Spiru Haret, matematico, fisico, astronomo e pedagogo, riformatore dell’insegnamento romeno. Ha fatto parte della generazione che si era formata nel nuovo stato romeno nato nel 1859 tramite l’unione delle provice storiche della Moldavia e della Valacchia, la generazione che si è assunta l’immenso sforzo di costruire uno stato democratico e prospeto secondo modello occidentale. Haret fu il tipo di politico con qualità ideali per ogni società: spirito innovatore, capacità di lavoro per il bene della comunità, rigore, dignità e onore. Fu un buon gestore del pubblico denaro, incorruttibile, con ottime idee felicemente applicate.




    Nato a Iasi, ex capitale della Moldavia, il 15 febbraio del 1851, Haret era membro della comunità armena. La matematica fu la grande passione della sua vita, studiata fino ai massimi livelli. Già dagli anni del liceo, Spiru Haret pubblicò due libri di testo, uno di algebra e l’altro di trigonometria. Nel 1875 si laureò in matematica a Parigi, e nell’anno successivo in fisica. Nel 1878 si addottorò in astronomia con la tesi Sur linvariabilité des grands axes des orbites planétaires”, che continuava le ricerche degli astronomi Pierre Simon Laplace, Joseph-Louis Lagrange e Siméon Denis Poisson sulla varietà delle assi delle orbite planetarie. Haret fu il primo romeno a ottenere un simile titolo accademico. Per il suo contributo, nel 1970 un cratere sulla Luna fu intitolato a lui. Come ministro dell’Istruzione, Spiru Haret fondò anche l’Osservatorio Astronomico di Bucarest.




    Sebbene abbia ricevuto offerte di rimanere in Francia come professore, Haret decise di rientrare in patria. Il principale motivo fu il suo desiderio di impegnarsi nel progetto sociale cui teneva tanto: la riforma dell’insegnamento. Perciò Haret sapeva di dover entrare nella politica, per poter applicare le sue idee. Fu membro del Partito Nazionale Liberale e dal 1897 fino al 1910, con interruzioni, e ministro dei culti e dell’istruzione pubblica in alcuni governi liberali.

    La riforma di Haret nell’insegnamento non fu solo un semplice programma per creare istituzioni, ma diventò una corrente di pensiero filosofico chiamata haretismo. La premessa dalla quale muoveva Haret era semplice. La Romania aveva nel 1899 una popolazione rurale di circa l’84%, e la percentuale totale degli analfabeti toccava i 78 punti. Il matematico pubblicò un opuscolo dal titolo La questione contadina”, in cui analizzava le origini dello stato di arretratezza culturale ed economica del villaggio romeno, nodo gordiano”, come diceva lo scienziato, della società romena.




    La riforma dell’insegnamento doveva evolversi di pari passo con la concessione di terre ai contadini, con la riforma della giustizia e quella amministrativa a tutti i livelli. Tutto accompagnato dalla promozione del lavoro ben fatto e dei valori del passato. La legge dell’insegnamento del 1864, che obbligava tutti i cittadini a frequentare un minimo di 4 anni di scuola, aveva dimostrato i suoi limiti dopo 35 ani di funzionamento. Haret rese conto che ritardare di introdurre un insegnamento dinamico avrebbe significato condannare le future generazioni e mettere in grave pericolo lo sviluppo economico della Romania.




    Tra il 1901 e 1904, il ministro Haret introduceva le più efficaci riforme. I suoi obiettivi furono l’istruzione dei giovani per vari mestieri che non portino all’assunzione nell’apparato burocratico statale. Creò un gran numero di scuole professionali elementari e ginnasiali, ridusse il corso del liceo a tre anni, conservò la divisione dell’insegnamento liceale in sezioni disttinte a profilo classico, scientifico o moderno. Inoltre, ha eliminato l’esame di fine liceo ed ha stabilito che l’accesso all’università avvenga dopo un esame.




    Haret fu influenzato dalla scuola francese di sociologia fondata da Auguste Comte, e dallo spirito critico della società Junimea della sua città natia. Tentò di applicare un metodo delle scienze matematiche nella società e di ideare un modello esplicativo dei fenomeni sociali. Così apparve nel 1905 il libro Mécanique sociale”, in cui Haret credeva che l’equilibrio sociale potesse essere raggiunto tramite il cosiddetto principio della minima azione”. La direzione in cui andava questa volta Haret non era così fruttuosa, in quanto era considerata già superata negli ambienti accademici occidentali. Spirtu Haret si spense il 17 dicembre del 1912.

  • La salina di Slanic – Prahova

    La salina di Slanic – Prahova


    Sita nel centro della Romania e vicina ai Monti Ciucas, la località Slanic è collocata in un’area montana preferita dagli abitanti di Bucarest, a un centinaio di km dalla capitale. Deve la sua fama inanzittutto all’omonima miniera di sale, considerata la maggiore nel Paese e persino in Europa.




    Gli inizi dello sfruttamento del sale a Slanic risalgono all’epoca dell’artistocratico Mihai Cantacuzino, fondatore dell’Ospedale Coltea, la priam struttura sanitaria di Bucarest. Nel 1685, Mihai Cantacuzino comprava la tenuta di Slanic, in quanto aveva saputo che era ricca di sale. Lo sfruttamento propriamente-detto cominciò tre anni dopo, come racconta Liviu Soare, direttore della Salina Slanic Prahova.




    La prima cava di sale fu aperta nel 1688, sulla Valle Verde. Nella prima parte del XVII secolo, fu avviata una parte degli sfruttamenti. Dal 1912 vi si aggiunse la miniera di sale Mihai. Dopo il 1943 fu aperta la miniera Unirea, e dopo il 1970, cominciò lo sfruttamento a livello industriale nella salina Victoria. Dal punto di vista mineralogico, il sale di Slanic contiene al 97% sodio e cloro”, spiega Liviu Soare.




    Lungo il tempo, la salina di Slanic ha contribuito allo sviluppo della comunità locale. La popolazione poteva vendere facilmente il sale, data la posizione della localita’, al’incrocio delle strade commerciali verso Brasov e Bucarest. Attualmente, una parte della salina è stata chiusa allo sfruttamento e aperta al turismo.




    Si tratta della miniera Unirea, il maggiore obiettivo turistico del genere in Romania e persino in Europa. Vi è stato allestito un percorso turistico che attraversa quattro delle sue 15 sale, chiamati palazzi di sale”, che hanno un microclima costante. La temperatura media interna è di 12-13 gradi, e l’umidità dell’aria è del 50%. Gli aerosoli hanno un effetto terapeutico benefico sui pazienti affetti di asma”, spiega ancora Liviu Soare.




    Cosa possono vedere i turisti nella miniera di sale Unirea? “Nella Sala della Genesi, ad esempio, i turisti possono ammirare varie sculture in sale. Si tratta dei busti dell’imperatore romano Traiano e dei re dei daci, Decebalo e Burebista. Ci sono poi i bassorilievi del principe Michele il Bravo e del poeta Mihai Eminescu. Abbiamo allestito anche una sala da cura, dove ai malati di asma viene assicurata in permanenza l’assistenza medica specializzata”, ha aggiunto il direttore della salina.




    Allo stesso tempo, lo sfruttamento del sale continua in altre zone della cava. Continua lo sfruttamento industriale cominciato negli anni 1970. Attualmente si estrae il sale dalla miniera Cantacuzino. Produciamo e vendiamo 28 tipi di sali, per diversi usi, da quello alimentare a quello industriale”, ha concluso Liviu Soare. La salina Slanic è visitata ogni anno da circa 170.000 turisti.

  • Usanze popolari di febbraio

    Usanze popolari di febbraio


    Nel calendario popolare, il mese di febbraio si chiama Faur o Faurar (fabbro), come per suggerire che in questo periodo i fabbri cominciavano a preparare gli aratri per le attività agricole di inizio primavera. Per tutto il mese di febbraio, le comunità tradizionali rispettano ancora una serie di antiche usanze. Ne è una quella chiamata Gurban dei vitigni, che avviene il 1 febbraio, soprattutto nei villaggi sud del Paese.




    La gente va dalle prime ore del mattino nelle vigne, tagliono corde di vite di cui si fanno delle cinture, prendono delle bottiglie di vino da nascondigli solo da loro conosciuti, bottiglie dimenticate” dall’autunno, danzano e saltano sopra i falò. La sera tornano a casa con delle fiaccolate e la festa continua fino all’alba. Questo rito di purificazione attraverso il fuoco ha il ruolo di cacciar via il vecchio anno, per far posto ai nuovi raccolti.




    La Giornata dell’orso si svolge il 2 febbraio, quando l’animale lascia la tana in cui ha trascorso l’inverno. Se è una giornata di sole si crede che l’inverno volga verso la fine; se, invece, è un giorno cupo, gli orsi tornano in letargo per altre sei settimane. Sempre nei primi giorni di febbraio si celebrani i Martini invernali. Questi personaggi della mitologia popolare difendono il bestiame dai lupi. La festa è rispettata soprattutto nelle zone pastorizie del Banato, nell’ovest della Romania.




    Il 10 febbraio è celebrato Santo Haralambie, che protegge contro peste e colera. In Transilvania (centro della Romania), la gente portava in chiesa cereali e sale, a essere benedetti quale cibo per il bestiame. In quel giorno, le donne preparano una ciambella che rompono e buttano verso i quattro punti cardinali, in segno di sacrificio per tutto il creato. Sempre per la festa di Santo Haralambie vengono commemorati anche coloro che sono scomparsi per morte violenta. La camicia della peste è lavorata in un’unica notte da nove donne ed era esposta su un manicchino di paglia ai margini del villaggio, per difendere gli abitanti dalle malattie contagiose.




    Verso fine febbraio, si svolgono pratiche per la fertilità, di cui la più nota è la Festa del Dragobete. Ce ne parla Sabina Ispas, direttrice dell’Istituto di Etnografia e Folclore Constantin Brailoiu” di Bucarest.




    Febbraio è un mese in cui l’interesse speciale è legato allo stimolo, all protezione e al compimento di certe azioni, volte ad aiutare la natura a rinvigorirsi dopo il freddo invernale. Sempre in questo periodo avviene la prima passeggiata nel bosco, il 24 febbraio, quando si raccolgono i primi fiori spuntati sotto la neve – i bucaneve e le mammole. Si è molto discusso attorno alle pratiche di Dragobete, che non sono più attive dal 19mo secolo. La festa è assimilata al giorno di 1 marzo. Non dobbiamo considerare i mesi dell’anno come dei limiti molto rigorosi, bensì come un’azione continua, attraverso cui l’uomo persegue di raggiungere in maniera progressiva alcuni effetti benefici sul suo lavoro”, spiega Sabina Ispas.




    Nella tradizione popolare, Faurar è personificato ed è considerato il fratello minore degli altri mesi dell’anno. Il mese di febbraio appare spesso anche nelle favole popolari. Inoltre, le previsioni meteo della tradizione popolare avvenivano sempre in questo periodo. La gente credeva che il vento del febbraio preannuncia un’estate di siccità e i tuoni — temporali e grandine.

  • Il Palazzo Stirbey

    Il Palazzo Stirbey


    A 20 km da Bucarest, presso Buftea, capoluogo della provincia di Ilfov, la tenuta di Stirbey è diventata da pochi anni area di svago e riposo in mezzo alla natura. La storia del palazzo e della tenuta è di vecchia data e non priva di svolte spettacolari. La direttrice per le relazioni pubbliche del Palazzo Stirbey, Corina Toma, riassume la storia del posto.




    “La costruzione del palazzo fu avviata nel 1855 dal principe della Valacchia, Barbu Stirbey, e ultimata nel 1863. Nel 1916 diventò rifugio di guerra per la Regina Maria e i figli. Nel 1917, durante la prima guerra mondiale, il palazzo fu requisito dall’esercito tedesco, che aveva occupato parzialmente il Regno di Romania. Un anno più tardi, a marzo 1918, in una sala al pianterreno del palazzo, fu negoziata la Pace di Buftea, chiamata anche la “pace vergognosa”, perchè la Romania perdeva la regione storica della Dobrugea e i versanti dei Monti Carpazi. Il periodo di massimo sviluppo del palazzo fu quello del Principe Bianco, come era soprannominato Barbu Alexandru Stirbey. Politico di spicco, presidente del Consiglio dei Ministri, nominato ministro ad-interim alle Finanze e agli Esteri, membro onorario dell’Accademia Romena, fu anche amministratore delle tenute della Corona, presidente dei consigli di amministrazione di alcune grandi banche, società e aziende. Di conseguenza, Barbu Stirbey possedeva uno dei maggiori patrimoni della Romania. Ha fondato presso il Parco Stirbey un conservicio, un vivaio di vite americana, una latteria, un mulino. E nel 1902 fu creata anche una fabbrica di ovatta e bende mediche. Fu il primo a introdurre nel Vecchio Regno della Romania le colture del cotone e del riso”, spiega Corina Toma.




    Fu la regina Maria, consorte di re Ferdinando I, a soprannominarlo “il Principe Bianco”, quando era solo principessa erede. La futura regina lo conobbe nel 1907 e lo chiamo così per il suo portamento tipicamente inglese, per la sua eleganza e discrezione. L’amicizia della regina e il nipote del principe Barbu Stirbey ha suscitato molti commenti e scherzi nel tempo. La regina veniva spesso in visita a Buftea, dove spesso passava anche le notti, ed era, sembra, anche amica della moglie del principe Barbu Stirbey, Nadeja. La regina amava tanto la tenuta, di cui ha lasciato bellissime descrizioni.




    “Il palazzo Stirbey è uno dei più eloquenti esempi di architettura romantica della Romania. Al centro della tenuta si trova la residenza della famiglia, circondata da un parco con alberi secolari. Sono evidenti le influenze gotiche all’esterno e molto accentuate all’interno. Al pianoterra, nel salone centrale si sono conservate finestre e porte con cornici originali di legno di quercia, decorazioni gotiche, travi di legno dipinte, un camino di marmo bianco di Carrara, pareti con pannelli integrali di legno e decorazioni classiche”, aggiunge Corina Toma.




    Sulla tenuta c’è anche la Cappella della Santa Trinità, costruita alla fine dell’Ottocento, che custodisce la tomba della famiglia Ştirbey. Gli affreschi interni sono del grande pittore Gheorghe Tattarescu. Con l’avvento del comunismo, dopo la seconda Guerra mondiale, parte della tenuta è passata nel patrimonio degli Studi Cinematografici di Buftea, mentre il palazzo propriamente-detto è diventato villa di protocollo del regime. Il primo restauro avvenne nel 1959. Dopo aver ospitato, fino alla seconda Guerra mondiale grandi scrittori romeni quali Ioan Slavici e Vasile Alecsandri, nonchè politici quali Titu Maiorescu e Petre Carp, il palazzo Stirbey fu gradito anche dopo, come spiega Corina Toma.




    Nel 1959, vi venne Nikita Khrushchev, come ospite del leader comunista romeno Gheorghe Gheorghiu-Dej. Allo scrittore Mihail Sadoveanu piaceva molto venire qui a pescare. Invece, l’ex dittatore comunista Nicolae Ceausescu non amava il palazzo, per cui non ci venne mai. Ma su questa tenuta fu creata una fattoria che forniva verdura alla coppia presidenziale”, conclude la nostra ospite.




    Dopo il 1990, la tenuta passò nell’amministrazione del Ministero della Cultura, quindi in quella del Protocollo di Stato. Nel 2007, dopo la restituzione agli eredi, fu venduta a un imprenditore e ora funziona come ristorante e struttura turistica. Su 24 ettari, la tenuta Stirbey include il palazzo propriamente-detto, la Cappella, la grande sala per eventi, intitolata alla Regina Maria, i padiglioni del Principe Stirbey e della Principessa Nadeja, uno spazio all’aperto per matrimoni e altri eventi che può accogliere fino a 15 mila persone, la torre d’acqua costruita nel 1920, secondo i piani dell’ingegnere Anghel Saligny, e un lago artificiale interno. (trad. Carmen Velcu)

  • L’aereo ROMBAC 1-11

    L’aereo ROMBAC 1-11


    L’aeronautica è uno dei settori in cui la Romania vanta una tradizione non indifferente, in quanto ha dato all’umanità alcuni insigni costruttori di aerei e inventori, quali Henri Coanda e Gogu Constantinescu. I costruttori romeni di aerei si erano però concentrati solo su aerei militari. La produzione di aerei civili era inesistente e solo un coinvolgimento dello stato poteva far cambiare le cose. Il regime comunista di Nicolae Ceausescu ha trovato la soluzione di acquistare una licenza occidentale per la produzione di aerei di linea. Erano gli anni in cui i comunisti romeni avevano orientato l’economia nazionale vero l’Occidente.


    La Romania si annovera tra i produttori mondiali di aerei civili da giugno 1979, quando Ceausescu firma con la compagnia britannica Hunting Aircraft il contratto per la produzione dei modeli BAC One-Eleven, aereo di dimensioni medie per voli brevi. Il BAC 1-11 apparteneva alla generazione degli anni 1960-1970 e alla firma del contratto con la Romania era già ritenuto superato. Fino alla data della sua usura morale, aveva operato con successo i voli americani, ma era stato superato dai modelli Boeing 737, McDonnell Douglas DC-9 e Fokker 28.


    Il BAC 1-11 aveva una potenza dei motori inferiore agli altri tre, consumava più carburante ed era molto più rumoroso. I motivi per cui la Romania voleva produrlo erano il costo più basso della licenza e di vendita sul mercatro sul quale avrebbe dovuto entrare con i nuovi prodotti. Il nuovo aereo, Rombac 1-11, doveva entrare nella dotazione delle compagnie dei paesi nonallineati e di quelli del terzo mondo. La Cina, l’acquiente più promettente, intendeva comprare circa metà della produzione preconizzata, di 80 aerei.


    Un altro motivo fu quello che gli aerei BAC avevano motori Rolls Royce della generazione Spey. E la compagnia di bandiera Tarom aveva aerei di fabbricazione sovietica Tupolev e Iliusin, più usati dei BAC. Ma i negoziati che la Romania dovette fare per non irritare il suo alleato sovietico hanno portato a ritardi che si sono dimostrati controproduccenti per la sorte del futuro aereo.


    Il contratto tra lo stato romeno e la ditta produttrice dell’aereo BAC 1-11 prevedeva che la parte britannica offra tre aerei completamente equipaggiati, due del tipo BAC 1-11 500 e un BAC 1-11 475, nonchè assistenza tecnica nella costruzione di 22 velivoli alla fabbrica di aerei di Bucarest. Così, dopo l’Urss, la Romania diventava il secondo paese comunista a produrre aerei civili a reazione. Il primo costruito nella fabbrica di Bucarest fu terminato ad agosto 1982. Il Rombac 1-11 era un aereo medio, trasportava tra 100 e 120 passeggeri su distanze di fino a 3.500 km e toccava una velocità di 870 km orari. La compagnia di bandiera Tarom entrò in possesso del primo Rombac a dicembre del 1982.


    Negli anni successivi, la produzione del Rombac dovette superare grossi problemi, soprattutto a causa dell’economia che andava sempre peggio. La mancanza cronica della valuta portò rallentò la produzione di componenti per il Rombac, il mercato non ne fu poi così interessato e si arrivò al fallimento della variante romena. Appena nel 1989, la nuova generazione di motori Rolls Royce Tay avrebbe potuto rendere il Rombac più economico, più forte, e meno rumoroso del modello di prima, ma era troppo tardi. Nel 1989 erano stati costruiti solo nove aerei, e altri due erano in corso. Il crollo del comunismo e la riforma economica del 1990 portarono all’abbandono del progetto.


    Ma il Rombac ha avuto una grande qualità: incidenti zero. Tra il 1982 e il 1989, la Tarom ha adoperato nei voli internazionali solo gli aerei Rombac e senza alcun problema. Dopo il 1989 la compagnia Romavia, che aveva due aerei Rombac, ha perso la licenza di volo per l’Europa, a causa del rumore. Gli altri sette aerei in dotazione della Tarom furono venduti. (trad. Carmen Velcu)

  • Gli albori della stampa romena

    Gli albori della stampa romena


    Gli inizi della stampa romena, più precisamente della pubblicazione di periodici, è un argomento di dibattito tra gli storici. Secondo Marian Petcu, coordinatore dell’enciclopedia “La storia del giornalismo romeno in dati” si può parlare di un inizio assoluto.


    “Abbiamo come punto di riferimento l’anno 1731, quando in una chiesa ortodossa di Brasov, un frate di origine serba, Petco Şoanu, elabora un calendario tradotto in serbo. Il calendario è apparso per tre anni di seguito. Lo possiamo considerare un momento fondatore della stampa nello spazio culturale romeno. La stampa propriamente detta, con un programma editoriale ben stabilito, esiste dal 1829, quando a Bucarest appare “Curierul romanesc” (Il corriere romeno), grazie all’impegno di Ion Heliade-Radulescu, allora professore, aiutato da artistocratici illuminati come Dinicu Golescu. Sempre nel 1829, a Iasi usciva “Albina romaneasca” (L’ape romena) , pubblicazione aparsa grazie all’impegno di Gheorghe Asachi, che la scriveva, impaginava e illustrava”, spiega Marian Petcu.


    Alle pubblicazioni della Valachia e Moldavia si aggiunge nel 1838 “Gazeta de Transilvania”, stampata dai romeni del principato che allora apparteneva all’Impero degli Asburgo. Queste riviste, pur contenendo anche produzioni letterarie, erano in gran parte generaliste, con sezioni di notizie interne, dall’estero e fotoromanzi.


    Verso la fine del XIXmo e i primi del XXmo, il numero dei giornali aumenta, ma anche quello dei lettori. Inoltre, numerosi giornalisti stranieri si stabiliscono nel Regno di Romania, dopo la Guerra di Crimea e quella dell’Indipendenza, in cui erano stati corrispondenti. Uno di loro fonda il più popolare quotidiano romeno dell’epoca.


    “Due sono state le pubblicazioni di successo. La prima fu “Universul”, fondato da Luigi Cazzavillan, un giornalista italiano che si stabilisce a Bucarest. Aveva un’istruzione tecnica, di ingegnere. Poi il quotidiano di grande tiratura “Dimineata” (Il Mattino), creato da un gruppo di giornalisti di orientamento socialista. Questi giornali hanno fatto anche profitto nell’epoca. Le altre pubblicazioni non hanno raggiunto grosse tirature. “Universul” apparve fino alla fine degli anni ’50. Mentre “Dimineata” chiude con l’insediamento del comunismo“, aggiunge Marian Petcu.


    Nel periodo interbellico, il numero delle pubblicazioni aumenta ancora, e la loro tematica illustra la tormentata vita politica romena dell’epoca. Agitazione che viene ridotta con l’insediamento del comunismo, non necessariamente in modo benefico.


    “Avevamo una stampa socialista di ottima qualità, che era abbastanza perseguitata quando sorgevano forzature comuniste. Ma c’era anche una stampa di destra che cominciò a manifestarsi negli anni ’20. Nel periodo comunista ci fu un’apparente diversità, poichè, in realtà, la sostanza nascondeva la propaganda del partito comunista. Era un falso pluralismo. Il partito-stato era il padrone dell’intera stampa. Lo schema organizzativo era il seguente: un organo stampa provinciale e, se nella rispettiva zona c’erano anche delle minoranze, allora esistevano dei quotidiani anche nelle loro lingue. Ciò avvenne dalla metà degli anni ’60. C’erano anche riviste letterarie, culturali, soprattutto nei centri universitari, ma c’erano anche delle eccezioni. Dal punto di vista statistico, a dicembre 1989 in Romania esistevano 496 pubblicazioni, alcune molto specializzate. Dopo dieci anni, l’offerta di pubblicazioni molteplicò per dieci. E’ stato un vero boom della stampa, non ancora studiato pienamente”, spiega ancora Marian Petcu.

  • Il palazzo di Mogosoaia

    Il palazzo di Mogosoaia


    Principe della Valacchia tra il 1688 e il 1714, Costantino Brancovan ha portato per 25 anni la prosperità e la pace in quest’area così provata dalla vicinanza con l’Impero ottomano, cui, d’altronde, era vassalla. Purtroppo, nel 1714, la tranquillità e la relativa indipendenza finirono tragicamente, con la decapitazione del principe Brancovan e dei suoi figli a Istanbul: oltre all’essere stati traditi, rifiutarono anche di convertirsi all’Islam.


    Costantino Brancovan resta nella memoria dei romeni non solo per il suo sacrificio, ma anche per lo stile architettonico che reca il suo nome, illustrato da numerose chiese e monumenti costruiti durante il suo regno. Lo stile brancovan abbina in maniera originale l’architettura popolare romena e gli influssi italiani, soprattutto veneziani. La più bella illustrazione di questo stile sono i Palazzi della corte principesca della località Mogosoaia, nei pressi di Bucarest, ormai museo.


    “Il palazzo ultimato nel 1702 fu donato a Stefano, il secondogenito del principe. Era una proprietà immensa, attraversata da un ruscello, con foreste, mulini e vitigni. Nel 1714, quando il principe e i figli furono uccisi dai turchi, il palazzo fu saccheggiato dai suoi più preziosi beni, che furono portati a Costantinopoli. Parte dei beni della famiglia Brancovan si ritrovano a tutt’oggi a Istanbul. Il palazzo diventa osteria e così fu conosciuto dall’ambasciatore francese dell’epoca, che raccontò di averne ammirato gli specchi veneziani e i mobili occidentali pregiati”, spiega la direttrice del museo, Doina Mandru.


    Costruito da aromeni provenienti dal sud del Danubio e progettato da architetti stranieri, il Palazzo di Mogosoaia, collocato in riva all’omonimo lago, ricorda i palazzi veneziani, ma ha qualcosa anche dallo stile delle case contadine della regione romena meridionale dell’Oltenia.


    “Il modello era di un palazzo che dava su Canal Grande, nello stile veneziano conosciuto nel XIVesimo secolo. Sappiamo che il principe Brancovan depositava i suoi soldi in una banca di Venezia, con cui aveva rapporti diretti. Ma a Costantinopoli c’era un quartiere di genovesi e veneziani ed è possibile che da lì provenisse l’architetto del suo palazzo”, aggiunge Doina Mandru.


    Ai primi del Novecento, quando gli ultimi Brancovan scompaiono, il palazzo e le proprietà di Mogosoaia entrano in possesso di un’altra famiglia principesca. “Nel 1911, la proprietà è comprata dal principe George Valentin Bibescu e regalato a sua moglie, Martha, che dedicò a questo palazzo quasi 27 anni della sua vita per restaurarlo, investendone il suo patrimonio personale e tutto quello che guadagnò dall’attività di scrittrice. Riportò il palazzo alla vita, con l’aiuto di Domenico Rupolo, l’allora architetto capo di Venezia. Questo è il motivo per cui Mogosoaia ha l’aspetto di una proprietà veneziana”, dice ancora la direttrice del museo.


    Domenico Rupolo ebbe come assistente un brillante giovane architetto romeno, George Matei Cantacuzino. Il periodo di massimo splendore del palazzo fu quello compreso tra le due guerre mondiali, quando la principessa Martha Bibescu invitava le massime personalità culturali dell’epoca. Dopo il degrado avvenuto nel periodo comunista, il Palazzo Mogosoaia è stato riaperto al pubblico, come museo e centro culturale, nel 2002.