Category: Enciclopedia RRI

  • L’attività del principe Nicolae in esilio

    L’attività del principe Nicolae in esilio

    Nato nell’agosto del 1903, il principe Nicolae è stato l’unico fratello di re Carlo II a diventare maturo, perché l’altro, Mircea, è morto quanto era ancora bambino. Allevato dalla regina Maria in una maniera affatto restrittiva, Nicolae è stato energico da piccolo, appassionato sin dalla giovinezza di sport e automobilismo e influenzato dallo spirito britannico durante gli studi all’Eton College. Per sfortuna, per il pubblico largo, Nicky, com’era chiamato dalla famiglia, rimane ancora uno sconosciuto anche perché ha passato gran parte della sua vita in esilio. Forse la parte più conosciuta della sua attività pubblica è stata la partecipazione alla reggenza insediata tra il 1927 e il 1930, nel periodo in cui il trono è spettato a re Michele che era minorenne, fino al ritorno di Carlo II. Il motivo dell’esilio del principe Nicolae fu il matrimonio morganatico – non accettato dalla casa reale – con Ioana Doletti. Sebbene suo fratello, Carlo, abbia avuto, a suo turno, un matrimonio simile, questo fatto non l’ha impedito di esiliarlo subito dopo aver recuperato il trono nel 1930. Quindi, la separazione dalla Romania iniziata nel periodo tra le due guerre si è prolungata anche nel dopoguerra, con l’insediamento del comunismo.

     

    Proprio questo periodo è stato studiato da Diana Mandache nel suo recente libro intitolato „Il principe Nicolae. Esilio e rivalità”, volume per il quale l’autrice si è documentata sia negli archivi nazionali, che in quelli all’estero. L’autrice del libro, Diana Mandache, ci ha parlato della personalità del principe Nicolae e della sua influenza sulla diaspora romena: Nicolae aveva un carattere fermo. Era temperamentale, ma allo stesso tempo aveva un’educazione britannica, grazie ai suoi studi e al fatto che aveva vissuto in Gran Bretagna per un lungo periodo, negli anni di formazione, subito dopo la fine della prima guerra mondiale. Inoltre, aveva avuto come tutor colui che era stato il tutor anche dei figli di re Giorgio V, il cugino della regina Maria. E’ una cosa fondamentale aver avuto dei mentor che gli modellassero la personalità e che lo consigliassero in determinati momenti della sua vita. Lo storico Nicolae Iorga, che ha apprezzato moltissimo il principe Nicolae, affermava che per il gesto significativo di aver accettato di far parte della reggenza, lui si sarebbe tolto il cappello e si sarebbe piegato fino alla terra davanti a lui perché in quel momento Nicolae aveva garantito la stabilità della dinastia e una certa sicurezza della vita politica tramite la sua partecipazione alla reggenza. Re Michele era allora minorenne e la reggenza era formata da tre persone: il patriarca Miron Cristea, Gheorghe Buzdugan, che nel 1927 era presidente dell’Alta Corte di Cassazione e Giustizia, e Nicolae, che era stato pregato di farlo qualche tempo prima dalla regina Maria. Quindi, dal punto di vista morale, era preparato, ma era difficile rinunciare a quell’età, tuttavia molto giovane, alla vita personale.  

     

    Con l’esilio definitivo nel 1937, Nicolae cominciò un’attività diplomatica in esilio prima a Venezia, dove ha abitato inizialmente, poi in Svizzera, a Losanna. Diana Mandache continua: Negli anni 1940 ebbero luogo incontri con diplomatici romeni e furono esaminati argomenti importanti, oltre ai problemi politico-militari della seconda guerra mondiale e la necessità di entrare in guerra dalla parte degli alleati, ovvero il cambiamento della politica estera. Egli pensava alla creazione di un comitato dei romeni liberi, cosa che non sarebbe stata possibile, in quanto la Svizzera, da stato neutro, non permetteva attività politiche. Però ebbe incontri con diplomatici stranieri degli stati alleati. Un personaggio importante fu l’ambasciatore degli Stati Uniti, Leland Harrison, che conosceva il caso di Nicolae già dal 1937, quando era accreditato a Bucarest. Forse anche per questo la densità degli incontri con lui e con il ministro della Gran Bretagna a Berna occupò un posto importante nella vita del principe Nicolae in quel periodo. Lui aveva in mente di rivedere o di formulare un’altra costituzione e per tale motivo aveva assunto un esperto di giurisprudenza svizzero, fatto menzionato da questo alle autorità di Berna perché era necessario riferire che aveva certi interessi o atteggiamenti politici. Il principe Nicolae venne ammonito dalle autorità di Berna, verbalmente, tramite un intermediario, in maniera molto diplomatica, di cessare questi incontri politici, che a volte si svolgevano sotto la forma di ricevimenti o incontri privati. Evidentemente, aveva il permesso di esprimere le proprie opinioni, ma non di più, la Svizzera essendo uno stato neutro e imparziale. 

     

    Dopo la comunistizzazione della Romania, l’attività in esilio del principe Nicolae si intensificò e trovò un settore prediletto nella cultura, nel tentativo di unificare la diaspora romena estremamente divisa, racconta sempre la storica Diana Mandache: Dopo il 1947, l’attenzione del principe Nicolae si spostò verso altri stati, come la Francia, Paese verso il quale si era verificata una forte emigrazione politica dopo l’insediamento del regime comunista e la partenza del re dalla Romania. Anche verso la Spagna, dove gli esiliati erano, nella maggior parte, legionari. Il principe Nicolae ebbe un ruolo importante in questo periodo. Mandò in onda messaggi da Radio Madrid o Radio Roma in occasione della giornatà della monarchia romena, il 10 maggio, oppure in occasione del 24 gennaio, organizzò delle settimane romene. Cercò di unificare l’emigrazione nei Paesi menzionati, facendo visite alle associazioni o alle organizzazioni oppure nell’ambito delle comunità romene in Italia, Spagna, Francia. Questi furono i principali Paesi in cui svolse la sua attività. Rilasciò interviste alla stampa italiana, alla stampa spagnola, pubblicò dichiarazioni in merito alla situazione dei romeni nella Romania prigioniera, poi intervenne, ad esempio avendo consultazioni in merito all’attacco della Legazione della Repubblica Popolare Romena di Berna da parte del gruppo Oliviu Beldeanu. (…) Le questioni culturali hanno sempre interessato il principe Nicolae, che considerava la cultura un mezzo di propaganda. Durante la guerra fredda, le settimane romene che organizzò nella RFG, il sostegno alla Biblioteca Romena di Friburgo, la creazione, dopo la morte di sua moglie, della Fondazione Culturale Principessa Ioana oppure l’organizzazione di settimane romene a Madrid hanno riunito non solo i suoi sostenitori, ma anche i romeni in esilio che non sostenevano un determinato gruppo e non avevano orientamenti politici specifici. Le sue azioni ebbero successo, tant’è che vi parteciparono anche personalità della cultura romena, che volevano anche tenere conferenze sulla Romania. Dunque, per Nicolae, la Romania è stata prima di tutto un ideale.

     

    Il principe Nicolae si spense nel 1978 a Madrid, essendo inzialmente sepolto a Losanna. Però, quest’anno, sia lui che sua moglie, Ioana Doletti, sono stati portati a Curtea de Argeș e sepolti di nuovo nella necropoli reale.

  • Librai della vecchia Bucarest: Leon Alcalay

    Librai della vecchia Bucarest: Leon Alcalay

    Lungo la storia, la cultura ha generato anche cambiamenti economico-sociali, non solo elevazione spirituale. A suo turno, il libro ha educato menti, ma ha contribuito anche allo sviluppo di abilità fisiche. La prima rivoluzione dell’informazione di cui ha beneficiato il libro è stata la stampa, inventata dal tedesco Johannes Gutenberg alla metà del 15/o secolo. Da allora, nell’industria del libro e della stampa sono apparsi e si sono sviluppati nuovi mestieri, come quelli del tipografo e più tardi, del linotipista. Però il libro ha contribuito anche alla comparsa dei mestieri di editor, libraio, venditore di libri e mercante di libri.

    La storia del libro di larga diffusione nello spazio romeno iniziò verso la metà del 19/o secolo. Il commercio di libri apparve sullo sfondo della diffusione dell’insegnamento primario e del calo dell’analfabetismo e, più in generale, in seguito alla formazione e al consolidamento dello stato romeno moderno. Da un oggetto destinato alle élite e agli ambienti ecclesiastici, il libro si diversificò diventando un prodotto di ampia circolazione, accessibile a tutte le classi e categorie sociali. La popolarizzazione del libro fu sia un’opportunità d’affari, che un mezzo per educare coloro che non si permettevano di comprare libri cari. Uno dei più conosciuti editor, librai e venditori di libri della vecchia Bucarest, quella di prima del 1945, fu Leon Alcalay.

    Nato a Bucarest nel 1847, Alcalay era stato attratto dai libri già dell’adolescenza. La Bucarest degli anni 1870 era caratterizzata da una grande eccitazione del cambiamento e l’infusione di libri era ampia. Alcalay cominciò come venditore ambulante di libri, riviste e vecchie stampe. Era ciò che oggi chiamiamo un antiquario. Stabilì la sua sede su Calea Victoriei, all’incrocio con il viale Elisabetta, la principale strada della città, nei pressi del “Grand Hotel du Boulevard”. Felicia Waldman dell’Università di Bucarest, che sta inventariando i punti di riferimento della comunità ebraica di Bucarest, ha messo sulla carta della Bucarest ebraica anche il luogo in cui è cominciata la storia del brand Alcalay: Al pianoterra di quest’albergo si trovava, sin dall’inizio, dal 1867, quando venne costruito, la libreria universale Alcalay. Leon Alcalay era un libraio ebreo di origine spagnola, sefardita, che all’età di 16 anni aveva cominciato a vendere libri di seconda mano dietro l’albergo, dove oggi c’è la via Eforie. All’epoca, nella zona si trovava la sede della legazione russa e, davanti a questa, Alcalay aveva due scaffali di libri di seconda mano. Era talmente appassionato di libri, in generale, che partendo da questa piccola impresa di vendita di libri di seconda mano, diventò il più conosciuto editor, libraio, produttore di libri e di tutte le categorie di prodotti che rientrano nell’industria dell’editoria, gestendo la casa editrice universale Alcalay.

    Gli affari con libri di Leon Alcalay aumentarono e lui passò a un livello superiore, la pubblicazione e vendita di libri di attualità. Spirito moderno, Alcalay desiderava diffondere i valori universali dell’umanismo e della cultura anche in Romania. Perciò, nel commercio di libri che stampava e che rivendeva, un posto molto importante era occupato dalla letteratura universale. I nomi più famosi della letteratura universale arrivavano in questo modo nelle mani dei lettori romeni. Seguiva le tendenze sul mercato occidentale del libro e così apparve anche in Romania il libro tascabile della famosa collana “Biblioteca per tutti” della Reclams Universal Bibliothek di Lipsia. Fino alla fine della Prima Guerra Mondiale, Alcalay fu uno dei leader del mercato librario romeno. Però, nel 1920, il fondatore del libro per tutti in Romania si spense all’età di 73 anni, ponendo fine a un’epoca. Felicia Waldman: Nel 1920 Alcalay morì e la sua famiglia ereditò e porto avanti questa libreria. Era presente, praticamente, in tutti il Paese, non solo a Bucarest. È la libreria che portò in Romania la collana “Biblioteca per tutti”. Si trattava di una collana tedesca che rendeva accessibile la letteratura al pubblico meno abbiente. In pratica, metteva a disposizione libri a prezzi più bassi, in modo da rendere la letteratura propria e la letteratura universale accessibili a un pubblico quanto più largo, tramite la libreria Alcalay e la collana “Biblioteca per tutti”. La collana è continuata ad esistere anche nel periodo comunista, però curata da un’altra casa editrice, perché la casa editrice Alcalay non esisteva più.

    Verso la fine degli anni 1930, sull’edificio in cui si trovava la sede della casa editrice Alcalay, non compariva più il nome del suo fondatore, bensì quello di Remus Cioflec. La spiegazione di questo cambiamento è l’antisemitismo di stato. Felicia Waldman: Negli anni 1938-1939, la famiglia Alcalay ha capito cosa sarebbe successo, come si sarebbero evolute le cose ed ha venduto l’affare a Remus Cioflec. Quest’ultimo era anche lui un editore all’epoca che aveva la possibilità e l’interesse di acquistare la rete Alcalay. In questo modo l’ha praticamente salvata, la casa editrice Alcalay è stata salvata perché Cioflec ha accettato di comprarla. Successivamente è stata però nazionalizzata dai comunisti e tutto è finito. Ma almeno ha resistito fino al 1948.

    I libri a prezzi accessibili nella vecchia Bucarest sono legati al nome di Leon Alcalay. Gli appassionati di libri antichi possono trovare ancora oggi negli antiquariati il marchio che ha reso la cultura a portata di mano di tutti.

  • Le periferie di Bucarest lungo il tempo

    Le periferie di Bucarest lungo il tempo

    Città dei contrasti nella maggior parte della sua storia, Bucarest è stata per molto tempo anche un miscuglio in cui l’abitazione di tipo rurale era intrecciata a quella di tipo urbano. Infatti, solo la zona centrale era diventata quasi completamente urbana dopo la prima guerra mondiale, essendo circondata da una rete di quartieri periferici formati sui terreni di alcuni ex villaggi. Perciò, l’abitare tipico della campagna si è parzialmente mantenuto in queste zone per molto tempo, addirittura fino agli inizi degli anni 1960, quando il regime comunista ha iniziato la sistematizzazione della città partendo proprio da queste zone.

    Le abitazioni vernacolari e gli edifici dei mercanti con il negozio al pianterreno e l’abitazione al piano di sopra sono stati abbattuti per fare posto ai condomini e così le periferie si sono riempite dei cosiddetti quartieri – dormitorio. Un documentario recentemente rinvenuto nell’archivio del Museo del Municipio di Bucarest – infatti, una registrazione grezza – ci fa vedere la vita dei bucarestini lungo le strade che portavano dalla barriera Vergului a Piazza Victoriei, ovvero dall’est della capitale fino all’inizio del più importante e moderno viale di Bucarest, Calea Victoriei. La pellicola presenta la vita quotidiana delle persone che vivevano vicino ai viali che oggi si intitolano Mihai Bravu, Ștefan cel Mare e Iancu de Hunedoara. Negli anni 1960 le loro denominazioni erano diverse e l’esistenza scorreva quasi immutata da decine di anni.

    Qual era l’aspetto di queste periferie nel XIX secolo e com’era la vita dei bucarestini che allora vivevano nell’unità amministrativa detta “il settore giallo”, ce lo racconta lo storico Adrian Majuru, il direttore del Museo del Municipio di Bucarest: Questo settore giallo aveva, nel 1838, 11.555 abitanti, quindi non era molto popolato, e 2.449 case. C’erano anche animali di compagnia. Possiamo chiamarli così, mantenendo i parametri dell’epoca, e cioè: c’erano 1063 cavalli, 444 buoi, 245 mucche, 73 bufali, 193 maiali e 1542 cani. Il pollame e i gatti non sono menzionati nei documenti dell’epoca. Notiamo che c’erano bestie da soma. Quindi queste persone avevano necessità di guadagnarsi il pane utilizzando le bestie da soma: cavalli, buoi, bufali. All’epoca, i maiali erano diversi rispetto a quelli allevati oggi in masserie e allevamenti. Li ritroviamo raffigurati in litografie di inizio Ottocento, soprattutto negli anni 1830 – 1850, quando circolavano liberamente ed erano marchiati. Avevano anche una briglia a forma di triangolo, per non poter entrare facilmente nei cortili. Quindi, era un mondo rurale, che cambiava difficilmente. E non cambiava affatto nella zona del viale Mihai Bravu. Apparve, tuttavia, ad un certo momento, una classe media inferiore di artigiani che vivevano sfruttando il proprio lavoro. Se uno aveva una bottega nella zona del viale Ștefan cel Mare, e vendeva quello che produceva, come calzolaio, pellicciaio o fotografo, era fortunato. Se l’affare era su una delle stradine laterali, la gente non ci andava spesso. Erano abbastanza insalubre e poco sicure per quel periodo. L’atmosfera e il mondo cambiavano nel momento in cui si passava in un’altra periferia. C’erano immobili diverso. Evidentemente, c’erano anche zone industriali, un panificio, ad esempio, al nord e un altro a sud. (…) Il mondo cosmopolita iniziava a Piazza Victoriei, ma dietro e intorno c’era ancora il mondo rurale.  

    La situazione comincia a cambiare proprio nel 1961, anno al quale risale il filmato conservato al Museo del Municipio di Bucarest, realizzato proprio per documentare il cambiamento. Ma come si viveva allora nei pressi della barriera Vergului (oggi Piazza Muncii), nella parte orientale della città? Adrian Majuru risponde: All’epoca c’era un detto: “Se si trovasse anche del gas, sarebbe come durante la guerra”. Il pane si comprava ancora in maniera razionalizzata. Gli abiti costavano un coupon, offerto a seconda del grado professionale e dell’origine sana. La situazione si è un po’ rilassata negli anni 1960 quando il capo dello stato e del PCR era ancora Gheorghiu-Dej, e la dipendenza dallo stato sovietico era ancora abbastanza forte. Ma per la gente comune persisteva il mondo di prima che non era scomparso. C’erano difficoltà, ma abitavano nelle stesse case, alcuni avevano aperto piccole botteghe artigianali autorizzate, poiché il regime ancora lo permetteva. Le cose cominciarono a cambiare dal 1961, (…) e la gente era confusa. Gli adulti erano molto tristi. Era un mondo al quale non sapevano rapportarsi. Partivano da abitazioni familiari e dovevano essere trasferiti sui viali Mihai Bravu o Iancu de Hunedoara, ma non necessariamente lì. 

    Ovviamente, con le demolizioni e le nuove costruzioni, cambia anche il paesaggio umano. Persone dalle campagne vengono a lavorare in città, i contadini diventano d’un tratto cittadini e popolano i nuovi condomini. Adrian Majuru: La realtà degli anni 1960 ha avuto un forte impatto sulla società in cui viviamo oggi, perché ha segnato il debutto di sistematizzazioni e di un’industrializzazione delle periferie che aveva portato molti coloni: gente che arrivava dall’ambiente rurale e dalle piccole città. A questo si riduceva il loro contatto con l’urbanità, non potevano e neanche avevano bisogno di altro. Per loro era sufficiente. Nel momento in cui la massa critica delle persone con preoccupazioni intellettuali e professioni liberali si è ristretta, sono apparse forme di manifestazione della periferia anche nelle zone centrali. Le demografie si sono mescolate e questo miscuglio si ritrovava anche in un condominio. Sulla stessa scala di un condominio, potevano abitare due-tre intellettuali e poi operai della fabbrica Semănătoarea oppure funzionari pubblici di grado inferiore. Però non si voleva un’omogeneità professionale tramite la quale si erano formati i quartieri molto tempo prima, così come anche i grandi viali erano caratterizzati da un’omogeneità professionale nel loro passato lontano, fino verso gli anni 1960.

    Oggi, la zona inclusa tra i punti di riferimento storici della barriera Vergului e Mogoșoaiei (il punto in cui iniziava Calea Victoriei oppure Calea Mogoșoaiei) ha quasi lo stesso aspetto come nel periodo di dopo le trasformazioni prodotte dal regime comunista.

  • Dincă Schileru

    Dincă Schileru

    Nella storia locale della Romania esistono nomi importanti connessi ai luoghi natii attraverso il loro coinvolgimento in azioni sociali, di beneficenza, oppure di sviluppo della regione di provenienza. Altre personalità importanti hanno eccelso in settori culturali, promuovendo in tal modo i loro luoghi natali. La storia della provincia di Gorj, sita nel sud-ovest della Romania, è dominata dal nome del grande scultore Constantin Brâncuși che non ha più bisogno di alcuna presentazione. Però il Gorj ha dato anche altri nomi importanti per la storia della Romania. Qui nacquero Tudor Vladimirescu, il leader del movimento rivoluzionario del 1821, il combattente nella rivoluzione del 1848 Gheorghe Magheru, l’eroina della Prima Guerra Mondiale Ecaterina Teodoroiu, l’attrice Elvira Godeanu, il filosofo George Uscătescu, i politici Gheorghe Tătărescu, Grigore Iunian, Vasile Lascăr. Tra tutti questi si è annoverato anche Dincă Schileru, imprenditore, politico e lobbista.

    Dincă Schileru nacque nel 1846 e si spense nel 1919, all’età di 72 anni. Figlio di contadini liberi abbienti, con un parente che aveva combattuto nell’esercito di Tudor Vladimirescu, Schileru è considerato il primo contadino eletto nel Parlamento romeno. Però la sua origine sociale non significava che fosse un uomo povero, come era costruita tradizionalmente l’immagine del contadino. Nel 1868 si sposò e andò a vivere nella località di origine di sua moglie. Vi costruì una residenza della famiglia, una chiesa e una scuola e aiutò gli alunni poveri. Cominciò una carriera negli affari partendo da una bottega di sarto, passò poi all’imprenditoria e si occupò di commercio con cereali, pomicoltura e viticoltura. Fece costruire mulini e segherie per la lavorazione del legno e amava molto i cavalli. Le sue abilità di imprenditore e il successo non solo lo portarono ad avere una buona situazione materiale, ma anche a godere di prestigio tra gli abitanti del suo villaggio. Si dice che fosse un uomo con una personalità forte, orgoglioso della propria origine. Fu Dincă Schileru a far conoscere gli abiti tradizionali della zona. La comunità locale gli diede la sua fiducia politica mandandolo a rappresentarla nel consiglio locale nel 1876, all’età di 30 anni, e, nel 1879, nel Parlamento della Romania, come deputato liberale.

    Gheorghe Nichifor ha studiato la vita e l’opera di emancipazione sociale ed economica di Dincă Schileru. Nichifor spiega che Schileru ha preso molto sul serio la politica e si è dedicato con tenacia allo sviluppo economico della sua zona natia: “Dincă Schileru è stato deputato nel Parlamento romeno, sebbene avesse solo 40 giorni di studio, dal 1887, con qualche interruzione fino al 1911, quindi un periodo molto lungo. Non parlava in un modo molto bello, però aveva il talento di tornare sulle idee affinché quello che lui voleva dire entrasse molto bene nelle teste delle persone presenti nella sala del Parlamento. E che cosa voleva dire? Nella provincia di Gorj ci sono miniere, a Schela c’è carbone. È andato a Londra con un pezzo di carbone, lo ha fatto vedere ai parlamentari britannici, ha detto loro da dove viene e così sono apparsi gli investitori nella provincia di Gorj. Personalmente ha cercato di fare prospezioni sul greggio nella località in cui si era sposato, a Bâlteni, e successivamente si sono confermate.”

    Schileru era, quindi, un uomo con una buona situazione materiale. Ha esercitato la sua bravura nel fare soldi anche in altri settori, diversi dall’agricoltura e dalla lavorazione del legno, arrivando persino a dedicarsi al mecenatismo. Gheorghe Nichifor: “Dincă Schileru aveva un proprio giornale, ad un certo momento aveva una propria bottega di sarto. Da lì proveniva anche il suo famoso abito tradizionale che conosciamo tutti. Dincă Schileru ha fondato scuole. Ha contribuito persino alla costruzione di questo museo provinciale. C’è qui in una sala una campana che lui ha regalato alla scuola di Stănești, e che serviva non solo agli alunni per venire a scuola, ma anche agli abitanti per svegliarsi la mattina, per pranzare e per prepararsi per la cena e andare a letto.”

    Energico e desideroso di far muovere le cose, Schileru è stato considerato un modello di uomo compiuto, abbiente e con eredi. Ha dato fiducia a coloro che ha rappresentato ed ha avuto una fama che si ritrova nelle creazioni poetiche locali e nelle canzoni. Gheorghe Nichifor: “Ha anche un altro erede, si chiama Aristică Schileru. Si tratta di una persona molto importante, senatore nel Parlamento Romeno, purtroppo prematuramente scomparso, a circa 40 anni. Quest’uomo avrebbe avuto molte cose da dire. Dincă ha avuto un erede calciatore nella prima divisione. Si chiamava sempre Schileru, i più anziani se lo ricordano sicuramente.”

    Dincă Schileru è stato un personaggio della storia locale che ha capito la sua epoca ed ha messo le sue qualità naturali al servizio sia suo personale, che della comunità di cui faceva parte.

  • Il palazzo dell’Opera Romena di Bucarest

    Il palazzo dell’Opera Romena di Bucarest

    Fondata verso la fine de XIX secolo dal compositore e direttore d’orchestra George Stephănescu, la prima compagnia di teatro dell’opera della Romania (intitolata Compagnia lirica romena) è considerata anche il nucleo del teatro lirico del nostro Paese. Però, dalla sua fondazione fino agli inizi degli anni 1950, l’opera romena non ha avuto una sede propria, i suoi spettacoli venivano messi in scena negli edifici di altri teatri. La situazione cambiò agli inizi del regime comunista per motivi piuttosto propagandistici: nel 1953 Bucarest ospitò un grande festival internazionale della gioventù, motivo per cui nella capitale apparvero alcuni edifici che dovevano ospitare gli eventi programmati. Tra questi vi fu anche l’attuale sede dell’Opera Nazionale Romena, in riva al fiume Dâmbovița, vicino all’imponente edificio della Facoltà di Legge. E, anche se inizialmente si voleva che il nuovo palazzo rispettasse lo stile architettonico degli edifici sovietici – com’è successo nel caso di Casa Scânteii -, l’Opera Romena non ricorda se non vagamente questo stile.

    Uno studio recente analizza dettagliatamente anche le tappe della sua costruzione e l’aspetto del palazzo dell’opera: “La storia dell’edificio dell’Opera Romena di Bucarest”. Particolari dall’autore, il direttore della Biblioteca dell’Accademia, Nicolae Noica: L’Opera è stata creata da un grande letterato, George Stephănescu. Dopo, ha funzionato per anni, fino al 1952, senza uno spazio proprio, in un edificio nei pressi del parco Cișmigiu, e poi, per molto tempo, nell’edificio del Teatro Nazionale su Calea Victoriei. Purtroppo, il Teatro Nazionale è stato bombardato. Ho notato con stupore studiando documenti risalenti al periodo 1948-1949 che colui che ebbe la prima iniziativa di costruire un edificio per l’opera è stato il medico Petru Groza, il capo del Governo della Romania. E allora ha offerto tramite decreto governativo un terreno dove oggi si trova il Teatro Nazionale nel centro, vicino all’università. Ha organizzato un concorso e tuttavia non si è materializzato nulla. Però negli anni 1950-51 è stata presa una decisione ferma e l’Istituto Progetto di Bucarest, che era stato creato in quel periodo, è stato incaricato a redigere il progetto. Il progetto è stato coordinato e pensato da un grande architetto: il professore Octav Doicescu. Era un uomo della vecchia scuola, che aveva rappresentato la Romania ad alcune mostre internazionali tra le due guerre mondiali, accanto ai nostri grandi architetti Petre Antonescu e George Matei Cantacuzino. Certo, in primo luogo si è posto il problema dello spazio in cui poteva essere eretto l’edificio ed è stato scelto proprio il terreno dove si trova oggi l’edificio dell’Opera. All’epoca nella zona c’era uno stadio conosciuto. Il progetto è stato redatto, come dicevo, dall’architetto Octav Doicescu e i lavori sono iniziati nel 1951.

    Che stile architettonico è stato scelto e come? Ce lo dice sempre l’accademico Nicolae Noica: Si è detto spesso che ha quest’aspetto degli edifici russi o sovietici. Tuttavia, Octav Doicescu non ha fatto questo, ma per superare le verifiche fatte, i piani originali erano firmati, per una conferma delle soluzioni, da un consigliere russo. Però anche gli architetti russi che erano venuti qui avevano un grande rispetto per Octav Doicescu e per Pompiliu Macovei, ed hanno accettato una serie di elementi di modo che l’edificio fosse monumentale e offrisse un’immagine conforme alle richieste. Però io dico che lo stile è uno stile romeno, con una serie di elementi presi in prestito, ma non è per niente vero quello che è stato affermato, che è un edificio costruito sul modello di quelli esistenti all’epoca a Mosca.

    Per la costruzione del Palazzo dell’Opera Romena, Octav Doicescu ha fatto squadra con l’architetto Pompiliu Macovei – coordinatore del cantiere – e con l’ingegnere edile di origine armena Aznavurian. I lavori di costruzione si sono conclusi nel 1953 e l’inaugurazione ufficiale è avvenuta a gennaio 1954 con lo spettacolo “La dama di picche” di Ciajkovskij.  La facciata dell’edificio, modificata rispetto all’idea iniziale dell’architetto, ha un portico con tre arcate monumentali che poggiano su colonne che hanno sui capitelli le statue di quattro muse. Ci sono tre porte d’accesso che permettono l’entrata nella hall fastosa su due livelli. La facciata è decorata con bassorilievi realizzati dagli scultori Zoe Băicoianu, Boris Caragea e Ion Vlad.

    Particolari sulle decorazioni interne, sempre da Nicolae Noica: All’interno c’è il foyer, che è stupendo, e a sinistra, dopo la scalinata, c’è il salone giallo: una bellezza con tutta una serie di ornamenti realizzati allora, nel 1953, e conservati fino ad oggi in condizioni straordinarie. Nella sala spettacoli ci sono le logge suddivise da colonnine per la compartimentazione. Anche in questo caso c’è stata tutta una serie di discussioni. Se queste colonnine non disturbano da un punto di vista architettonico, erano necessarie dal punto di vista della resistenza. In più, il soffitto è stupendo, di legno lavorato e la cosa impressionante è che si conserva il candelabro dell’epoca, con 100 lampadine. In più, è stato realizzato all’epoca, un impianto di riscaldamento e uno di aerazione, per garantire un clima adatto. Purtroppo, sono passati anni e l’impianto non funziona più così bene. Abbiamo parlato anche con la ministra della cultura, chiedendo un sostegno finanziario, di modo che quest’opera arrivi alle esigenze corrette e moderne di oggi, perché abbiamo quest’obbligo, dopo 70 anni, di mantenere l’edificio.

    Sin dall’inizio, il Palazzo dell’Opera Romena è stato concepito per essere resistente. I terremoti del 1977 e del 1986 non hanno lasciato nemmeno una fessura nelle mura dell’edificio.

  • Architetti di Bucarest, Leonida Negrescu e Jean Monda

    Architetti di Bucarest, Leonida Negrescu e Jean Monda

    Facendo una passeggiata nei quartieri di Bucarest dove si sono conservate le vecchie abitazioni borghesi, scopriamo la loro architettura e gli architetti che le hanno progettate. Dalle scritte sulle lapidi di marmo esistenti sul muro di una casa o di un condominio, il passante viene a sapere come si chiamava colui che ha progettato l’edificio. Due nomi importanti di architetti si ritrovano agli ingressi negli edifici della borghesia bucarestina, si tratta di Leon Schwartz oppure Leonida Negrescu e di Jean Monda. Felicia Waldman insegna storia degli ebrei di Romania presso l’Università di Bucarest e ci ha parlato della biografia e dei progetti dei due architetti, appartenenti a generazioni diverse. Il primo, in ordine cronologico, era proprio di Bucarest: “Leon Schwartz nacque nel 1857 a Bucarest. Studiò presso la Scuola di Strade e Ponti e nel 1879 partì per Parigi, dove frequentò la Scuola di Belle Arti, la sezione di architettura. Fu fortemente influenzato dalla personalità di Charles Garnier, il creatore dell’Opera di Parigi e il più forte rappresentante dello stile del Secondo Impero. Nel 1887 ottenne il diploma di architetto. Fu assunto come sotto-ispettore dei lavori presso la Scuola Centrale di Parigi e ispettore generale dei lavori agli immobili del quartiere parigino Lussemburgo. Nel 1888 tornò a Bucarest e fu assunto come architetto-capo presso le Ferrovie Romene. Fu un’eccezione, poiché era ebreo e non c’erano molti casi del genere. Contribuì anche alla costruzione delle darsene dei porti di Brăila e Galați e nei successivi 7 anni lavorò come architetto presso il Ministero dei Culti e della Pubblica Istruzione, di nuovo una prima. Nel 1895 si ritirò per dedicarsi ai lavori privati.”

    Leon Schwartz ha progettato alcuni begli edifici della Bucarest di prima del 1945. Felicia Waldman: “Costruì diversi edifici emblematici a Bucarest, tra i quali il Jockey Club, l’Accademia Commerciale, l’Albergo Splendid, che oggi non esiste più, il negozio di musica Orfeo, tutti su Calea Victoriei, tutti demoliti durante il regime comunista. Ma progettò anche edifici che resistettero al passare del tempo e al succedersi dei regimi politici come le Arene Romane del parco Carlo, un anfiteatro per gli spettacoli, la scuola per ragazze La Fraternità del Tempio Corale, dove oggi si trova la sede della Federazione delle Comunità Ebraiche di Romania. Per i suoi meriti, Schwartz si annoverò tra i primi ebrei a ricevere la cittadinanza romena nominale nel 1894. Morì nel 1931 e venne sepolto nel cimitero Filantropia di Bucarest di cui aveva progettato la cappella.”

    Il secondo architetto, Jean Monda, non era di Bucarest, ma non fu meno importante per la città. Felicia Waldman: “Jean Monda nacque a Ploiești nel 1900. Frequentò il Politecnico di Milano e tornò nel 1924 con un’educazione artistica tipica di quegli anni, caratterizzata da uno stile art déco austero e da un modernismo moderato. Si stabilì a Bucarest e cominciò a ricevere sempre più ordinazioni di investimenti immobiliari da un gran numero di ebrei con gusti raffinati, influenzati dalla moda dell’architettura occidentale. Nel 1932 costruì per Soli Gold una casa in via Armenească. Monda collaborò anche con l’ingegnere ebreo Jean Berman per il quale progettò una casa sulla via Logofăt Luca Stroici, nel 1930. Queste case esistono ancora a Bucarest. Sempre nel 1930 progettò anche il proprio condominio sulla via Tudor Arghezi, dove abitò nell’appartamento n.2 per tutto il resto della sua vita. Nella seconda metà degli anni 1930, Monda cominciò a insegnare corsi di architettura. Nel periodo della seconda guerra mondiale, fu docente presso il Dipartimento di Architettura del Collegio Ebraico, un’università particolare fondata dalla comunità ebraica nel momento in cui gli studenti ebrei non ebbero più accesso all’istruzione nel sistema statale.”

    Il nome di Monda compare spesso sulle lapidi in marmo delle case di Bucarest ed è già un classico della storia dell’architettura romena. Felicia Waldman: “Dopo il 1948, dopo che tutte le sue proprietà furono confiscate, Monda non progettò più nulla, dopo che, in precedenza, in meno di due decenni, aveva costruito più di 25 immobili eleganti, risultati evidenti di un ottimo professionista e di una persona di grande talento. Scrisse testi di architettura, pubblicando una serie di articoli e 5 volumi, dopo una prima monografia apparsa nel 1940. Molti degli edifici progettati da Monda possono essere identificati ancora oggi poiché hanno sulla facciata una lapide sulla quale sono menzionati il suo nome e l’anno della costruzione. Monda progettò anche edifici a uso multiplo come il cinema Regal e il bar Colos, costruiti negli anni 1927 e 1930 sul viale Elisabeta, ma poi demoliti. Costruì anche l’immobile della sala spettacoli Frascati, il teatro Constantin Tănase di oggi, e i condomini dove ci sono i cinema Eforie nel 1945-1946 e Studio nel 1946-1948 sul viale Magheru.”

    Leon Schwartz oppure Leonida Negrescu e Jean Monda sono nomi importanti per chi è curioso di conoscere la storia dell’aspetto di Bucarest. E le lapidi di marmo all’ingresso degli edifici che hanno costruito sono testimoni credibili.

  • La Casa Kerim di Bucarest

    La Casa Kerim di Bucarest

    Nel quartiere che si stende dietro la Piazza Unirii verso est, sopravvivono ancora oggi le case della Bucarest storica eretta e sviluppata sulla riva sinistra del fiume Dâmbovița. Nella stessa zona si trovava anche il vecchio quartiere ebraico, con edifici la cui architettura e dimensione variavano a seconda delle possibilità materiali di questa minoranza che, ad un certo momento, era arrivata a rappresentare l’11% della popolazione della capitale. Purtroppo, in seguito alle demolizioni e alla sistematizzazione del periodo comunista, questa zona ha cambiato aspetto parecchio. Tuttavia, alcune oasi storiche si sono conservate, come è anche la via Parfumului (del Profumo) dove si trova una delle case cariche di cultura. Si tratta della Casa Kerim, soprannominata anche la Profumeria dalla sua più conosciuta proprietaria, la scrittrice, giornalista e realizzatrice di programmi radiofonici Silvia Kerim. Nata nel 1931, Silvia Kerim è stata conosciuta soprattutto per le drammatizzazioni destinati al teatro radiofonico per bambini, ma anche grazie alle sue interviste a diverse personalità culturali, del mondo del teatro e del cinema. Il suo stile boemo è ancora visibile nella casa in cui ha abitato per tutta la sua vita, per un certo periodo anche con suo marito, il regista cinematografico Mircea Veroiu. Uno dei grandi registi-intellettuali del cinema romeno, Mircea Veroiu si è fatto notare per i suoi addattamenti al grande schermo estremamente personali di opere letterarie famose di Ioan Slavici, Garabet Ibrăileanu e Mateiu Caragiale.

    Scomparso prima di Silvia Kerim, nel 1997, Mircea Veroiu può essere riscoperto anche lui nell’intimità della Profumeria, racconta Doina Dogăroiu, rappresentante dell’associazione culturale Hearth, che gestisce oggi la Casa Kerim: Silvia Kerim è nata in questo casa dove è vissuta per tutta la sua vita, tranne un periodo molto breve in cui non l’ha abitata. Però, per il resto, ha vissuto qui per tutta la sua vita. Si è spenta sempre in questa casa. Ha abitato con Mircea Veroiu solo per un periodo di nove anni, ma la casa ha acquisito la forma che ha adesso in quel periodo, in cui Mircea Veroiu vi ha investito il denaro ottenuto dai film realizzati negli anni 1970. Quindi la casa ha la forma di oggi anche grazie a Mircea Veroiu. Lui ha lasciato il Paese nel 1981 e in questa casa è rimasta solo Silvia Kerim, fino alla sua morte, nel 2016. 

    Sebbene il matrimonio tra Silvia Kerim e Mircea Veroiu sia finito con un divorzio ad un certo punto, l’amore del regista per la casa sulla via Parfumului non si è spento neanche dopo la sua emigrazione a Parigi nel 1981. Le modifiche apportate da lui all’edificio sono consistite, soprattutto, nella sua estensione, tramite la costruzione di un’ala dove poi è stata poi collocata la camera da letto. Tuttavia, questi cambiamenti non hanno danneggiato l’aspetto della casa, anzi: sono stati realizzati in conformità con lo specifico architettonico dell’edificio e del quartiere, spiega Doina Dogăroiu: Ci troviamo nell’ex quartiere ebraico, che era anche un quartiere di mercanti allo stesso tempo. Sì, è una casa tipica appartenente ai mercanti abbienti della classe media dell’inizio dello secolo scorso. E’ stata la casa della famiglia Kerim, il padre di Silvia, di origine turca, che l’aveva comprata all’asta. Inizialmente era appartenuta a un avvocato e ha una storia che è stata raccontata da Silvia Kerim nei suoi libri. Era appartenuta a un’avvocato. Sua moglie ha giocato ai giochi d’azzardo al casinò di Sinaia ed ha perso semplicemente la casa alla roulette. La casa è stata venduta all’asta in seguito a questo avvenimento sfortunato per la famiglia dell’avvocato. Sempre Silvia Kerim racconta che l’avvocato amava così tanto sua moglie che, sebbene fosse stata la sua casa preferita, non se l’è presa con lei. Il padre di Silvia Kerim ha acquistato la casa in seguito a quell’asta. Lei è nata qui, come pure suo fratello. Purtroppo suo padre è morto molto presto ed è rimasta con la madre, e poi con Mircea Veroiu, con il quale ha avuto una relazione di nove anni qui nella casa. 

    Al momento, la Casa Kerim o la Profumeria è amministrata dall’Associazione Hearth che vi organizza diversi progetti culturali, tra cui spettacoli di teatro sperimentale, serate di lettura e proiezioni di film. Di recente, la casa ha ospitato una cine-maratona in cui sono stati visionati, ovviamente, i film di Mircea Veroiu.

     

     

  • Contributi ebraici su Calea Victoriei

    Contributi ebraici su Calea Victoriei

    Calea Victoriei, l’asse nord-sud di Bucarest, rappresenta, su piccola scala, la storia della capitale romena e, su una scala ancora più piccola, la storia della Romania moderna, con i suoi cambiamenti e continuità. Come tutti gli agglomerati urbani, Bucarest conobbe una diversità plurietnica e multiculturale e le tracce di questa diversità si possono notare ancora oggi. Una Calea Victoriei ebraica è una parte molto importante della Bucarest multiculturale ed è un contributo significativo alla storia della Romania multiculturale attraverso personalità e luoghi.

    Felicia Waldman insegna storia degli ebrei di Romania presso l’Università di Bucarest e ha fatto una ricerca sui punti di riferimento ebraici esistenti su Calea Victoriei. Partendo da Piazza Victoriei, vi si possono vedere molti edifici costruiti da ebrei: “Il condominio Podgoreanu, in Calea Victoriei numero 208, vicino alla via Frumoasă, è un edificio progettato dall’architetto Jean Monda nel 1940. Monda nacque a Ploiești nel 1900. Frequentò la Scuola Politecnica di Milano e tornò nel Paese nel 1924 con un’istruzione tipica degli anni 1920, essendo influenzato da una corrente art deco austera o da un modernismo moderato. Si stabilì a Bucarest e cominciò a ricevere sempre più ordinazioni di investimenti immobiliari da numerosi ebrei con gusti eleganti, influenzati dalla moda dell’architettura occidentale.”

    Andando verso l’altro lato di Calea Victoriei, verso la Piazza delle Nazioni Unite, dove c’è il ponte sul fiume Dâmbovița, un altro punto di riferimento ebraico è un edificio la cui architettura è firmata da due architetti ebrei. Felicia Waldman: “L’edificio, che in passato aveva al pianoterra un negozio intitolato Victoria e che proprio per questo veniva chiamato il condominio Victoria, negozio che oggi non esiste più, in Calea Victoriei numero 128, è un edificio modernista, con linee dritte, balconi simmetrici, tipici del modernismo. È una costruzione realizzata da due architetti ebrei, Leon Hirsch e Dori Galin Golinger. Quest’ultimo fu un architetto importante nel periodo tra le due guerre mondiali. Un altro architetto, ebreo, Leon Ștrulovici, racconta che aveva 13 anni quando fu assunto presso lo studio di architettura D. G. Galin e L. A. Hirsch. “Ci veniva molta gente abbiente”, scriveva lui, “e si parlavano lingue straniere”.”

    Uno dei grandi donatori ebrei dell’Accademia Romena fu Jacques Elias. La sua casa, che si trova su Calea Victoriei, ha essa stessa una storia multiculturale. Felicia Waldman: “Dietro l’hotel Athenee Palace c’è la fondazione della famiglia Menachem Haim Elias. È la casa in cui Jacques Elias ha vissuto negli ultimi anni della sua vita. Fu acquistata durante la prima guerra mondiale da Maria Braicoff, la vedova di Jean Braicoff, un imprenditore olandese che realizzò opere pubbliche e che viveva a Bucarest. Era una casa costruita intorno all’anno 1900 dall’architetto svizzero John Berthet. In uno dei pochi reportage illustrati realizzati all’interno della casa e pubblicati nel 1936 dal settimanale Realitatea ilustrată, quando conservava ancora tutti i suoi elementi originali, notiamo dettagli dello studio, la sala fumatori che diventò salone per l’accoglienza degli ospiti e persino dettagli legati alla sistemazione delle foto di famiglia.”

    Uno dei più importanti punti di riferimento su Calea Victoriei è l’Ateneul Român, sede della Filarmonica di Bucarest. Anche qui ritroviamo l’impronta dello spirito ebraico. Felicia Waldman: “Un edificio su Calea Victoriei costruito con un contributo ebraico è anche l’Ateneul. Fu costruito tra il 1893 e il 1897, in due tappe. Prima vennero fatti gli investimenti, ma i soldi non bastarono. Solo dopo fu avviata la famosa campagna “date un leu per l’Ateneu” grazie alla quale la costruzione venne portata a termine. Alla seconda tappa della costruzione contribuì anche Leon Schwartz, conosciuto soprattutto con il nome di Leonida Negrescu, un architetto ebreo. Fu lui a realizzare la sala di marmo nella hall dell’Ateneul, che è un vero capolavoro in sé, la scalinata principale, nonché le due laterali.”

    Una delle più spettacolari sedi di banche della zona commerciale di Calea Victoriei è quella dell’ex banca Marmorosch Blank & Co., fondata da due ebrei. Felicia Waldman: “L’edificio della Banca Marmorosch Blank, opera dell’architetto Petre Antonescu, venne eretto fra il 1915 e il 1923. Fu costruito di granito, porfido, marmo, pietra di Rusciuc e ferro battuto. Lo stile predominante è quello neo-romeno con influenze gotiche e bizantine. L’interno è pensato negli stili art nouveau e art déco e include dipinti realizzati da Cecilia Cuțescu-Storck. Fondata nel 1848 e trasformata in società per azioni nel 1905, la Banca Marmorosch Blank fu uno dei promotori e azionisti fondatori della compagnia Air France. D’altronde, la banca finanziò anche la guerra d’indipendenza della Romania degli anni 1877-1878, la prima guerra mondiale e molti altri progetti nazionali strategici. Era conosciuta come istituzione finanziatrice di progetti nuovi e inediti. Finanziò anche l’industria del greggio, dello zucchero, finanziava tutto quello che era nuovo. Aveva rappresentanze a Vienna, Parigi, New York, Istanbul e faceva affari con le linee marittime americane, praticamente aveva contatti in tutto il mondo.”

    Gli edifici ebraici su Calea Victoriei furono costruiti da persone per le quali la libertà delle loro professioni era inalienabile. Residenze private, spazi pubblici, edifici monumentali, stili artistici, tutto ciò non è stato altro che la materializzazione di queste menti creative.

  • La casa dalle finestre sporgenti

    La casa dalle finestre sporgenti

    Nella parte orientale di Bucarest, nella zona che tempo fa era conosciuta col nome di Bariera Vergului e che segnava uno dei limiti della città, si stende uno dei quartieri storici della capitale, un quartiere mercantile, della piccola borghesia, entrato già nella mitologia urbana. In questa zona si trova anche la Casa dai vetri bombati, chiamata così a causa delle finestre concave, una novità all’epoca. La sua celebrità si mantenne fino ad oggi, e questo è forse anche uno dei motivi del suo recente restauro. L’architetto Andrei Atanasiu, il coordinatore dei lavori di ristrutturazione, ci ha raccontato la storia della casa dalle finestre concave: Non siamo riusciti a individuare la persona che ha progettato inizialmente la casa. Sappiamo solo che colui che l’ha costruita si chiamava Petrache Dancovici ed era un mercante che aveva un negozio sulla strada commerciale di Lipscani, vendeva materiali da costruzione. Secondo la leggenda, da qui deriva anche il nome della casa dai vetri bombati. Si dice che abbia scelto queste finestre concave ordinandole a Lipsia, perché non avrebbe voluto che si vedesse l’interno della casa. Ma, molto probabilmente, questa voce che girava era piuttosto legata al marketing dell’epoca. Cioè, è ovvio che si veda dentro la casa anche da queste finestre. Conosciamo con precisione anche l’anno in cui è stata terminata la costruzione, nel 1861. Era un periodo in cui molti mercanti costruivano case in questa zona di Bucarest che si chiamava Mahalaua Vergului, la Periferia Vergului. Dopo l’incendio scoppiato a Bucarest intorno all’anno 1840, la zona venne sistematizzata e pulita, poiché inizialmente le periferie erano alquanto insalubre, e la maggior parte dei mercanti che hanno costruito da allora in poi case nella zona le hanno fatte molto solide. Alla fine è apparso un quartiere che ha avuto molto da guadagnare in seguito a questi investimenti nelle case. La maggior parte dei figli di questi mercanti erano educati e così è diventato un quartiere di medici, poiché i figli, nella maggior parte medici, hanno ereditato le case dai loro genitori mercanti.

    Cos’è successo con gli eredi del mercante Dancovici, ce lo racconta sempre l’architetto Andrei Atanasiu: Il mercante Dancovici non aveva figli e lasciò la casa in eredità ai figli della sua sorella minore che era sposata con il mercante Constantin Paulescu. Uno di loro fu lo scienziato Nicolae Paulescu, che visse anche lui in questa casa assieme a sua sorella e ai figli di lei. Però, nel periodo comunista, la casa subì delle modifiche. Aveva anche un annesso, attaccato alla casa. All’inizio, molto probabilmente lo stile delle due costruzioni era quasi lo stesso, ma nel periodo interbellico l’annesso fu trasformato e venne costruito un condominio interbellico al suo posto. Anche la casa dalle finestre concave fu vittima di un maltrattamento nel periodo comunista. La facciata che dà sulla strada Hristo Botev è stata completamente privata da ornamenti. E’ possibile che alcuni si siano staccati e, per evitare che crollassero sul marciapiede, abbiano preferito eliminarli completamente. E’ stato molto difficile perché abbiamo dovuto riprodurre tutti quegli ornamenti. Ma, grazie al cielo, sulle altre facciate gli ornamenti originali si sono conservati e abbiamo potuto riprodurli e ricollocarli nella posizione iniziale.

    In seguito al restauro, gli elementi decorativi esterni in ferro battuto sono stati rifatti, come pure le vetrate all’ingresso principale. Le canne fumarie sono state riportate alla forma iniziale e mantenute solo a scopo decorativo. Lo scienziato e medico fisiologo Nicolae Paulescu ha abitato fino alla sua morte, nel 1931, nella Casa dalle finestre bombate che occupa anche oggi una superficie costruita di 237 metri quadri, ha solo un pianterreno e un soffitto. Chi l’ha progettata? Ce lo dice sempre Andrei Atanasiu: La casa non può essere inquadrata in uno stile preciso e allora parliamo di eclettismo, cioè un miscuglio di stili classici di tutti i periodi storici. La maggior parte delle case di Bucarest sono eclettiche, ovvero abbinano lo stile classico al barocco e ad altri elementi. Non esiste uno stile pulito, ma un mix di elementi. Era ovviamente una moda all’epoca. Anche oggi potremmo pensare che la casa sia un po’ kitsch, considerando queste finestre concave e la moltitudine di colori. Ma, all’epoca andava di moda. Cioè tutti i colori e gli elementi sono stati restaurati in modo tale da riportare l’immagine originale della casa.

    Oggi, la casa dalle finestre concave ci aiuta a ricreare meglio l’atmosfera del passato del quartiere ed è anche un esempio di restauro esemplare, tanto necessario nei quartieri storici della capitale.

  • La strada di Constantin Brâncuși dalla Romania a Parigi

    La strada di Constantin Brâncuși dalla Romania a Parigi

    La strada di Constantin Brâncuși dagli umili inizi come figlio di un falegname povero all’originalità scultorea raggiuta a Parigi è iniziata, infatti, a Hobița, un villaggio nel nord del principato storico dell’Oltenia, dove nacque il 19 febbraio 1876. Da qui è partito, all’inizio del Novecento, verso l’Occidente europeo, un luogo più adatto della sua Romania natale per la sua arte alimentata dalle tradizioni popolari e dall’avvicinamento alla natura. Prima di partire per Parigi, Brâncuși ha avuto un periplo formativo abbastanza sinuoso: qualche classe delle elementari frequentata nella località natia, successivamente l’apprendistato e la Scuola di arti e mestieri di Craiova e, alla fine, la laurea in belle arti ottenuta a Bucarest, nel 1902. Forse in quel periodo ha anche deciso di lasciare la Romania, ma non c’è nulla di chiaro per quanto riguarda la biografia strettamente personale di Brâncuși.

    Altrettante poche cose si conoscono sulla personalità e sul pensiero dello scultore, quindi è difficile ricostituire l’uomo-Brâncuși. Uno dei punti di partenza di questa iniziativa sarebbe il viaggio che lo ha sollevato dall’anonimato, un viaggio recentemente ricostruito da Sorin Trâncă nel suo libro intitolato „Drumul lui Constantin, Evadarea lui Brâncuși din România, o reconstituire” (La Strada di Constantin, l’Evasione di Brâncuși dalla Romania, una ricostituzione). Sin dall’inizio, Sorin Trâncă ha notato la precarietà dei dati disponibili su questo viaggio di Brâncuși: “Ho considerato che fosse partito nel 1903 e fosse arrivato nel 1904. Di molte cose, compresa la durata del viaggio, non si sa quasi niente. Lo scrittore Alexandru Vlahuță affermava, nel 1910, che questo viaggio fosse durato quattro mesi. Altri dicono che ci abbia messo otto mesi per arrivare a Parigi, altri parlano di 14 o 16 mesi, se non addirittura di due anni e così via. Quindi ci sono molte cose poco chiare e ancora non chiarite. E allora il mio desiderio è stato questo: di cercare di offrire un’ipotesi valida. Leggendo moltissimo e valutando quanto più attentamente possibile gli argomenti e le fonti, sono arrivato alla conclusione che è partito nel 1903 in primavera, o a inizio estate, arrivando a Parigi, molto probabilmente in occasione della Festa Nazionale della Francia, il 14 luglio 1904.”

    Stando a Sorin Trâncă, molto probabilmente Brâncuși avrebbe percorso la strada che porta dal regno di Romania di allora, da Hobița a Petroșani, entrando nella Transilvania, che allora faceva parte dell’Impero Asburgico, attraversando la dogana di Nădlac per arrivare in Ungheria. Avrebbe attraversato Budapest, per arrivare da Heidentor im Carnutum in Austria, sarebbe passato per Vienna, Linz e Salisburgo, per entrare in Germania, arrivando a Monaco di Baviera, poi a Konstanz e direttamente in Svizzera dove, a Basilea, pare che Brâncuși si sia ammalato. Dopo l’arrivo sul territorio della Francia, da Langres, lo scultore è andato col treno a Parigi, dove pare sia arrivato proprio il 14 luglio 1904, perché, come ricorda lui stesso, „la Francia mi ha accolto con fanfara e onori militari”.

    Ma con quali mezzi finanziari e di trasporto ha viaggiato? Qui ci sono ulteriori elementi sconosciuti, continua Sorin Trâncă: “Esistono alcuni punti importanti confermati da esegeti, da persone che lo hanno conosciuto anche personalmente, come l’avvocato e pubblicista Petre Pandrea. In linea di massima, sappiamo che è passato per Vienna, Budapest, Monaco di Baviera, Basilea, Zurigo, Langres, al passaggio in Francia. E da lì ho cominciato semplicemente a completare una mappa e a fare un itinerario partendo dall’ipotesi che Brâncuși abbia fatto questo viaggio, in un certo modo, a piedi. Qui c’è un altro tema di dibattito. Molti sostengono questa teoria: che sia andato a piedi, ma io non ci credo. Credo che sia partito come facevano i contadini o gli apprendisti. (…) Dopo aver finito l’apprendistato, ad un apprendista veniva assegnato il compito di realizzare un viaggio di crescita, in cui doveva andare di qua e di là, da un maestro all’altro, per imparare nuovi segreti del mestiere. Quindi il nostro contadino Brâncuși è partito per il mondo, ma lo ha fatto come apprendista, dopo aver portato a termine gli studi di belle arti a Bucarest, un’ottima scuola, infatti.  

    Quello che si conosce con certezza è che, dopo aver terminato gli studi universitari, Constantin Brâncuși ha partecipato a diversi concorsi per la realizzazione di monumenti pubblici, ma tutte le sue proposte sono state bocciate. Forse proprio questo lo ha spinto a lasciare il Paese, ma in assenza di una testimonianza diretta, anche questa è solo una supposizione. Sorin Trâncă: “Tutti i lavori pubblici che Brâncuși ha proposto sono stati respinti. Con alcune eccezioni. Una di queste è il complesso di Târgu Jiu, ma quando l’ha realizzato aveva già quasi 60 anni. (…) Dunque, arrivato alla vecchiaia, pochi avrebbero potuto correggere le sue opere. Ma fino allora tutte le sue opere pubbliche erano state bocciate. Altre eccezioni sono i monumenti a carattere pubblico commissionati da privati, come quelli nel cimitero di Buzău, quindi un monumento funebre. (…) Quindi rifiuto per il momento le affermazioni categoriche secondo le quali Brâncuși sarebbe partito arrabbiato da Bucarest prima di arrivare a Parigi, è possibile che sia partito deluso a causa della mediocrità che aveva affrontato. (…) Diciamo che non è stato un viaggiatore nel senso moderno della parola. Cioè, è partito per lavoro, non per divertirsi. (…) Tornando all’infanzia, la partenza di Brâncuși da Hobița a Parigi, a piedi, penso sia stata la sua quinta o sesta partenza di casa, perché tra i sette e gli undici anni era scapato più volte. Ma ci sono anche le sue partenze di casa all’ovile, intorno all’età di 5 anni. Era povero, proveniva da una famiglia con tanti figli e, sin da piccolo, era stato mandato a farsi un destino. Per la prima volta in un ovile, nei Monti Parâng. È anche il motivo per cui Brâncuși non ha studiato seriamente durante l’infanzia e si è assentato molto alle elementari.

    Desideroso di essere lui stesso, seguendo a tale scopo la sua strada iniziale, Brâncuși è riuscito, a Parigi, a creare nella scultura le forme tanto ricercate e in più a farle ammirare nell’intero mondo.

  • Jean Pangal

    Jean Pangal

    Ogni comunità umana ha i suoi personaggi pittoreschi, nonconformisti, più o meno inventivi. Nella storia della Romania, un personaggio del genere fu l’avvocato Jean Pangal, politico e diplomatico, considerato da coloro che hanno studiato la sua vita uno dei grandi artefici di macchinazioni. I sociologi lo considerano un creatore di reti sociali in cui simili individui mobilitano e dinamizzano le energie degli altri.



    Jean Pangal nacque nel 1895 a Nizza, in Francia, e morì nel 1950 a Lisbona, in Portogallo, all’età di 55 anni. Proveniva da una famiglia della piccola e media borghesia. Negli anni della Prima Guerra Mondiale studiò giurisprudenza presso l’Università di Iași e fu un sostenitore dell’entrata della Romania in guerra accanto a Francia, Gran Bretagna e Russia. Alla fine della Grande Guerra, quando la Romania si unì con la Bessarabia, la Bucovina, il Banato e la Transilvania, attraversò un periodo di riforme profonde e una nuova generazione di romeni si affermò sulla scena politica. Il voto universale e la riforma agraria furono due nuovi orizzonti aperti. Pangal, giornalista negli anni della guerra, aderì alla dottrina del țărănism (corrente politica e ideologica apparsa in Romania alla fine del XIX secolo, che partiva dall’idea del ruolo di guida della classe contadina, considerata come una classe sociale unitaria, in uno stato prevalentemente agrario) e, dalla seconda metà degli anni 1920, ricoprì diversi incarichi politici nella burocrazia statale. Fu deputato nel Parlamento della Romania nei periodi 1927-1928 e 1931-1932, nonché sottosegretario per la stampa e le informazioni tra il 1931 e il 1932. Entrò nella diplomazia e fu inviato come ministro plenipotenziario della Romania in Spagna, dal 1938 al 1939, e in Portogallo, tra il 1939 e il 1940. Il suo mentore politico fu Constantin Argetoianu, presidente, tra l’altro, del partito l’Unione Agraria. Come tante personalità pubbliche del suo tempo, Jean Pangal fece parte della massoneria romena che in grande misura controllava.



    Il sociologo Bogdan Bucur ha scritto la biografia di Jean Pangal ed ha scoperto negli archivi 474 note informative alle intelligence fornite dal segretario di Pangal, Gheorghe Chintescu, note che ha anche pubblicato: “Sono straordinarie perché forniscono particolari sulla vita quotidiana, su quello che faceva Pangal, sui colloqui che aveva e sul loro contenuto. Nessun’altra fonte ci può svelare il contenuto delle discussioni tra Jean Pangal e re Carlo II, tra Jean Pangal ed Elena Lupescu, l’amante del re. Non possiamo sapere cosa aveva fatto una parte importante e significativa dell’élite politica, diplomatica, massonica, romena e straniera, che era arrivata a Bucarest oppure era passata da queste parti. Questa azione mefistofelica del Servizio Speciale di Informazioni presieduto da Moruzov, di reclutare Chintescu, una cosa di una moralità discutibile, è estremamente valorosa, con conseguenze importanti per noi, oggi.”



    Quello che desta stupore in chi legge la biografia di Pangal è la sua capacità di socializzare facilmente in tutti gli ambienti e di avere forza senza, infatti, averla. Bogdan Bucur ha esaminato con i mezzi della ricerca sociologica i significati dell’atteggiamento di Jean Pangal: “In base a questi dettagli relativi alle interazioni di Jean Pangal, ho fatto, con l’aiuto di software specializzati, un’analisi delle reti sociali sviluppate da Jean Pangal. Esiste una rete di persone che incontrava e ho misurato la frequenza con la quale Jean Pangal si vedeva con diversi personaggi alle riunioni politiche. Le note sono talmente dettagliate che possiamo ricostruire la sua rete di potere, la sua rete d’influenza. Molti degli incontri di Pangal con il re non si ritrovano, poiché non erano ufficiali. Abbiamo, ad esempio, la frequenza con la quale Pangal incontrava diversi personaggi alle riunioni massoniche. Poteva incontrare Gheorghe Bibescu, grande maestro della Grande Loggia Nazionale della Romania, un massone importante, ma non così importante come Pangal, e poteva avere un colloquio sul re. Poteva parlare dello sviluppo dell’aeronautica, poiché il principe Bibescu era un pioniere dell’aviazione. Sempre con lui poteva parlare dell’origine nobiliare. Quindi con lo stesso personaggio poteva avere tre tipi diversi di conversazioni.”



    Arrivato nella cerchia di re Carlo II, Pangal fu anche l’autore della bozza della Costituzione del 1938 che insediava il regime autoritario del monarca. Monarchista col re, anti-carlista con i legionari, liberale con i liberali, lui diceva a ognuno la cosa che la rispettiva persona si aspettava di sentire. Una delle idee più eccentriche di Pangal è stata rivelata da Bogdan Bucur dopo aver studiato gli archivi: “Aveva un progetto inimmaginabile e di un’inventività diabolica, parola che include l’intelligenza, di riunire la massoneria con una delle organizzazioni fasciste e mi riferisco alla Lega della Difesa Nazionale Cristiana. Erano delle aberrazioni. Pretendeva di essere il capo di una massoneria nazionale. Ovviamente, approfittò del momento storico per accusare l’altra obbedienza competitiva di essere una massoneria internazionale, non romena e non patriottica. Non li eliminò dalla massoneria, ma cercò di cacciare via i cittadini romeni di nazionalità ebraica. La massoneria romena guidata da Jean Pangal cercava di sembrare una puramente romena, il che, di per sé, era un’aberrazione.”



    La fine della guerra determinò Jean Pangal a prendere una delle poche decisioni onorevoli della sua vita: si esiliò nel Portogallo di Salazar, rifiutando di essere complice nell’insediamento del comunismo.

  • La famiglia Macca e la sua residenza a Bucarest

    La famiglia Macca e la sua residenza a Bucarest

    Nella zona storica di Bucarest, vicino al centro città e alle principali strade come il viale Lascăr Catargiu e Calea Victoriei, si trova la sede dellIstituto di Archeologia dellAccademia Romena, ospitato nella casa Macca. Edificio dallarchitettura estremamente raffinata e ricca di ornamenti, la Casa Macca è anche uno dei più affascinanti edifici storici di Bucarest. La sua storia abbina il cosmopolitismo dellepoca grazie a John-Elisee Berthet, architetto di origine svizzera, alla biografia di alcune antiche famiglie autoctone, perché la casa fu fatta costruire dal colonnello Petru Macca e da sua moglie Elena, all’epoca una nota filantropa, che la donò al Ministero della Pubblica Istruzione dopo la sua morte. Da allora la casa Macca ha ospitato diverse istituzioni, tra cui il museo delle antichità nel periodo tra le due guerre, per diventare infine la sede dellIstituto di archeologia.



    Oana Marinache, storica dellarte, ha studiato negli archivi sia il passato della casa che i progetti architettonici e ora ci racconta del capolavoro realizzato dallarchitetto John-Elisee Berthet: In pratica si tratta di un edificio commissionato da una ricca famiglia. Tutti i redditi della signora Elena Macca provenivano, infatti, dallo sfruttamento dei possedimenti che aveva a Miroși. Così si chiamava all’epoca la località. E con laiuto del secondo marito, il colonnello Petre Macca, con pazienza, con molto impegno finanziario e con laiuto di imprenditori del tutto speciali, la maggior parte di origine straniera, perché le ordinazioni venivano fatte generalmente a Parigi e a Vienna, loro realizzarono questo gioiello architettonico. È, infatti, la somma di tutti gli stili della fine del XIX secolo. La costruzione fu commissionata allarchitetto Berthet nel 1891. Lintero lavoro artistico non poteva essere eseguito in brevissimo tempo. La realizzazione dellarchitettura e delle decorazioni risale al 1894. Fu allora che si trasferirono effettivamente nella nuova abitazione. Lungo il tempo succedettero anche avvenimenti meno piacevoli. Ad esempio, le stalle e gli annessi di casa Macca presero fuoco due volte, nel 1894 e nel 1897. Quindi, nel tempo, ci sono state alcune trasformazioni, anche della casa principale, ma in una certa misura la componente artistica di oggi è quella di allora. Ora infatti, attraverso il suo restauro, l’edificio rivela una serie di sorprese. Ci sono ancora affreschi, pezzi di stuccature, mobili che ci danno limmagine di un modo di vivere della fine dellOttocento e dellinizio Novecento.



    Ledificio si sviluppa su quattro livelli: seminterrato, piano terra, primo piano e soffitta. È decorato, sia allinterno che allesterno, con elementi barocchi come ghirlande di pietra, lesene classicheggianti e simboli araldici. Inoltre, sui soffitti e sulle pareti si conservano parti degli affreschi originali e alcuni stucchi sono parzialmente ricoperti con foglia doro. Ad un certo punto la casa venne modificata nel senso che i balconi furono adattati allo stile liberty, motivo per cui vennero trasformati in splendide serre invernali situate al primo piano. Sembra risalire a quellepoca anche una grande vetrata aperta sullex giardino.



    E, quando si parla della famiglia Macca, Elena Macca appare in primo piano, sottolinea Oana Marinache, storica dellarte: La proprietà era sua, fu realizzata con le sue risorse finanziarie. Direi che lei è, infatti, la quintessenza di uno stile di vita e un modello di donna impegnata nelle attività di beneficenza alla fine dellOttocento. Aveva avuto degli esempi molto speciali nella sua famiglia. Innanzitutto, si tratta di sua madre e della sua nonna materna. Quindi aveva avuto dei modelli femminili che non solo avevano ovviamente un certo status socio-economico, ma si occupavano anche della servitù, dei contadini della tenuta, dei piccoli imprenditori e degli affittuari che avevano nelle case. Direi che Elena è davvero un esempio che merita di essere riportato allattenzione del pubblico, anche se è morta nel 1911 e da allora sono passati più di 100 anni.



    Dopo che la Casa Macca fu donata allo Stato romeno, ospitò il Museo Nazionale delle Antichità a partire dal 1931, e dal 1956, quando fu fondato lIstituto di Archeologia e fino ad oggi, ledificio appartiene allAccademia Romena. Dato che era in cattivo stato di conservazione, recentemente è stata presa la decisione di avviare la ristrutturazione della Casa Macca sotto gli auspici dellIstituto del Patrimonio Nazionale.

  • Storia recente del vino romeno

    Storia recente del vino romeno

    Il vino ha una lunga tradizione nello spazio romeno. La coltivazione della vite è attestata fin dai tempi dellantica popolazione dei Daci. Lo storico greco Strabone, vissuto tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., racconta che il re daco Burebista aveva ordinato di bruciare le vigne per scoraggiare il consumo di vino. Al di là della frivola osservazione di Strabone, le fonti storiche menzionano frequentemente la presenza della vite in tutta la zona a nord del Danubio. La storia del vino nel periodo 1945-1989 è stata segnata dalleconomia centralizzata nella produzione e commercializzazione del vino.



    Marian Timofti è il presidente dellOrganizzazione dei Sommelier della Romania e ci ha spiegato qual’era la logica alla base della produzione del vino: “I vini prodotti in Romania a quel tempo erano vini destinati all’export per coprire alcuni debiti, cioè i raccolti erano molto grandi in termini di quantità. Nel momento in cui abbiamo una grande quantità di uva nella vigna per produrre vino, sicuramente la qualità del vino sarà bassa. Quanto meno i minerali estratti dalla terra dalla vite vengono divisi in meno chicchi o in meno acini, tanto più abbondanti sono in ciascuno. Quando i minerali vengono divisi in più chicchi, ovviamente ce ne sono in quantità minore. Così il corpo del vino, il suo sapore, gli aromi, gli antociani, che danno anche i colori, sono in quantità minore. Ma all’epoca, quella era la richiesta di vini, l80-90% veniva esportato. Gran parte del debito romeno è stato coperto con il vino venduto. Il primo importatore era lUnione Sovietica, che richiedeva vini con zuccheri residui, cioè zuccheri non trasformati in alcol, semisecchi, semidolci o addirittura dolci perché il freddo della zona richiedeva energia. In secondo luogo, i vini non dovevano superare il 12,5% di alcol e allepoca dicevamo scherzando che non doveva competere con la vodka. La viticoltura romena è stata distrutta da Nicolae Ceaușescu. Sì, la viticoltura di qualità sì, possiamo dire che è stata distrutta perché a quel tempo i capi delle aziende agricole, i direttori dei vigneti, venivano pagati a seconda della quantità di vino ottenuta per ettaro. Che fosse grano, che fosse mais, che fosse uva o altri prodotti, loro venivano pagati secondo la quantità ottenuta. I resoconti dovevano essere grandi, e non solo i resoconti, ma anche le quantità”.



    Tuttavia, in Romania cerano anche vini di qualità a cui non tutti avevano accesso. Erano vini eccezionali che partecipavano a concorsi internazionali. Marian Timofti: “La Romania è riconosciuta nel mondo per la qualità dei suoi vini perché c’erano anche vini prodotti in piccole quantità, su determinate parcelle. In ogni vigneto venivano scelte alcune parcelle e quel vino era riservato a poche persone. Questi vini sono stati inviati a concorsi internazionali e la Romania ha vinto molte medaglie. Solo che, quando si trattava di importazioni, gli occidentali avevano paura di importare dalla Romania perché non arrivavano i vini premiati.”



    Una delle invenzioni dellenologia romena di quegli anni è stato un vino chiamato “il vino di Ceaușescu”. Amante del vino, il leader comunista romeno ha sofferto di diabete nei suoi ultimi anni di vita. Nella Romania orientale, a Huși, è stata trovata una soluzione perché i diabetici potessero bere vino. Marian Timofti: “Si sapeva che il vino preferito di Nicolae Ceaușescu era il vino zghihara de Huși. Molte centinaia di bottiglie di questo vino venivano inviate al Comitato Centrale. È una varietà che accumula pochissimo zucchero, accumula unacidità molto elevata, superiore alla norma. E’ un vino da consumare prima di mangiare perché quellacidità produce succhi gastrici che aiutano la digestione. La quantità ridotta di zuccheri fece sì che Ceaușescu lo adottasse come suo vino, su consiglio di alcuni medici, i quali gli dissero che il vino aveva pochissimo zucchero e che non nuoceva al diabete di cui soffriva. E così il vino era conosciuto come “il vino di Ceaușescu”. Ma ai pasti di Ceaușescu si consumava anche un altro vino. Ad esempio, Elena Ceaușescu beveva Cabernet Sauvignon, le piacevano i vini prodotti nella zona di Dealul Bujorului. Il vino doveva essere semisecco, con un residuo zuccherino che lasciasse una sensazione dolce alla fine e coprisse la durezza dei tannini. Lì furono diretti i fondi per la piantumazione di 40 ettari di zghihară de Huși. In quel vigneto, inizialmente, non c’era una superficie così vasta e i soldi che arrivarono dal Comitato Centrale aiutarono questa varietà a proliferare, per aumentare la quantità di zghihară de Huși. A tutti gli incontri con altri presidenti di stato, Ceaușescu offriva anche il suo vino, che veniva apprezzato o meno, ma, per cortesia, tutti sorridevano e lo lodavano quando lo assaggiavano.”



    Una storia del vino romeno del secondo dopoguerra dovrebbe includere numerosi aspetti sociali legati alla produzione di questo liquore associato alla vita. È una lunga storia che senza dubbio continuerà.

  • Dimitrie Cantemir, musicista

    Dimitrie Cantemir, musicista

    Festeggiato nel 2023 in occasione del doppio tricentenario, il principe e studioso Dimitrie Cantemir nacque nel 1673 a Iași e si spense nella sua tenuta in Russia nel 1723. Durante la sua vita, Cantemir guidò il principato della Moldavia nel 1693, tra il 1710 e il 1711, lottò per difendere il suo Paese, lesse e scrisse opere di storia, geografia, musicologia, filosofia e letteratura, diventando persino membro dell’Accademia di Scienze di Berlino. Oggi è riconosciuto come il primo illuminista romeno. Dotato di una grande capacità intellettuale, Dimitrie godette, assieme al fratello Antioh, di un’istruzione di alto livello grazie al loro padre, Constantin Cantemir, anche lui principe della Moldavia, ma di cui si dice che fosse semi-analfabeta. Da giovane, Dimitrie fu mandato in ostaggio alla Sublime Porta di Istanbul, secondo il costume dell’epoca affinché il sultano fosse assicurato della lealtà dei voivodi vassalli dei principati romeni. Fu a Istanbul che il futuro principe raffinò la sua cultura ed educazione: imparò diverse lingue straniere, studiò teologia, filosofia e musica. Ovviamente, la musica di cui era esperto Dimitrie Cantemir era quella orientale, dominante in questa zona dell’Europa.



    Per i romeni e non solo, i contributi musicali del principe furono fondamentali in un’epoca in cui non c’erano spartiti, come ci ha raccontato il musicista Bogdan Simion: Non abbiamo manoscritti prima di Cantemir e quelli di Cantemir si leggono e s’interpretano con grande difficoltà. In primo luogo, perché non segna il tempo, non sappiamo quanto velocemente o quanto lentamente bisogna interpretare quelle canzoni. Certo, possiamo rapportarci alla cultura iraniana, a quella afgana o a quella turca e immaginarci un tempo lungo e strascicato. Abbiamo anche alcuni piccoli dettagli offerti dai viaggiatori stranieri che hanno ascoltato quella musica. Lui però ha inventato un sistema di notazione melodica. Nei Principati Romeni non si è scritto musica fino ad Anton Pann. Quando ha proposto L’ospedale dell’amore / cantante della nostalgia / Spitalul amorului / cântător al dorului, nel 1851, era un altro mondo e Anton Pann utilizzava già la notazione saltica. Dunque, Cantemir inventò un sistema abbastanza facile da scrivere e da leggere e da utilizzare, sistema che, ad esempio, i compositori dell’Impero Ottomano della corte del sultano utilizzarono quasi fino al 1900, quindi è ovvio che il sistema fosse buono. In primo luogo, quando arrivai a Istanbul, ebbi la sorpresa di apprendere che Dimitrie Cantemiroglu, come lo chiamavano gli ottomani, è ricordato come un grande pioniere della musica turca nell’Impero Ottomano. Si sa poco da quelle parti del fatto che è stato anche voivoda. Nessuno sa che ha scritto trattati di geografia, di filosofia, che parlava il latino e tanto meno che è stato membro dell’Accademia di Berlino. Invece, Dimitrie Cantemiroglu, secondo loro, proveniva da una provincia dell’Impero ottomano, forse di origine tartara, come gira la voce, e ha lasciato delle straordinarie tracce nella cultura musicale turca.



    Il suo principale contributo è il trattato di musicologia intitolato Il libro della scienza della musica secondo il tipo delle lettere”, scritto a Istanbul probabilmente tra il 1695 e il 1700, come ci racconta sempre Bogdan Simion: Il libro sulla scienza della musica, redatto in arabo fu dedicato al sultano Ahmed III, un grande protettore delle arti, un sultano appassionato della cultura in generale. E’ un’opera considerata dagli specialisti piuttosto politica che meramente culturale. Nel XVII secolo, a Cantemir venne chiesto di dimostrare che esiste musica turca. Intorno all’anno 1700, nell’Impero Ottomano c’era questo dibattito culturale molto acceso, in cui gran parte dei pensatori turchi era del parere che non ci fosse una cultura turca, bensì una cultura persiana decaduta. Intorno al 1700, apparve questo libro, in quell’Istanbul assai cosmopolita, in cui non c’erano solo pensatori e filosofi musulmani. C’erano forse i più saggi e colti greci ortodossi con i quali Cantemir ebbe dei legami straordinari là, perché, tuttavia lui non rinunciò mai alla sua religione. Quindi, là alcuni dicevano che non esisteva cultura turca e consideravano la cultura ottomana come un insieme di molte altre culture antiche, tra le quali la più importante era la cultura nobile e alta dei persiani. E ovviamente il sultano Ahmed voleva che questo giovane brillante dimostrasse che non era così. Nella prefazione cerca di fare un percorso storico in diacronia dei generi musicali, dopo di che comincia la parte interessante del trattato e gli spartiti in sé. E alla fine, una cosa forse più interessante per noi, propone delle composizioni originali scritte da lui, toccando, ad esempio, le musiche sefardite dell’Africa settentrionale e persine alcune suite che lui definiva suite moldave. Certo che se le ascoltiamo oggi, ci sembrano integralmente suoni tipici di Istanbul. Posso scommettere che nessun romeno dirà che ci sia qualcosa di folcloristico in quei canti, però se giriamo per la Moldavia Superiore, andiamo a Botoșani, andiamo nel Bugeac tartaro, nel centro della Repubblica di Moldova di oggi e ascoltiamo alcuni suoni di cobza riusciamo a capire come le musiche orientali hanno influenzato, ovviamente, in una prima fase, i bassifondi e le periferie e successivamente persino le musiche dei villaggi, con la liberazione dei rom dalla schiavitù.



    Ottimo conoscitore dell’Impero ottomano, sul quale ha anche scritto un trattato intitolato Storia della crescita e del declino della corte ottomana”, Dimitrie Cantemir ha cercato di far uscire la Moldavia dalla vassallità nei confronti della Sublime Porta, stringendo un’alleanza con lo zar Pietro il Grande. Il suo piano fallì con la sconfitta subita nel 1711 nella battaglia di Stănilești. Costretto a rifugiarsi in Russia, Dimitrie Cantemir passò il resto della sua vita presso la corte di Pietro il Grande, come consigliere. Le sue ossa furono rimpatriate nel 1935 e sepolte nella chiesa Tre Gerarchi di Iași.