Category: Pagine di storia

  • Le cariche pubbliche agli inizi della modernità romena

    Le cariche pubbliche agli inizi della modernità romena

    Nella prima metà del 19-esimo secolo venivano gettate le basi dello stato romeno moderno, sullo sfondo di ampie trasformazioni nei rapporti internazionali. Era il periodo delle guerre napoleoniche e dell’inizio del romanticismo. Iniziava il culto della nazione e i popoli piccoli, dominati dagli imperi ottomano e russo, vedevano in ciò una forma di emancipazione economica, sociale e politica.



    Nei principati romeni, le prime leggi che applicarono le idee del romanticismo furono i Regolamenti Organici del 1831 e 1832, elaborati ai tempi del governatore russo Pavel Kiseleff. I provvedimenti più studiati riguardavano la vita politica: la separazione dei poteri nello stato, l’elezione del principe e delle camere legislative, gli attributi di ciascuna istituzione. Sempre allora furono gettate le basi della burocrazia, delle cariche pubbliche e della loro occupazione.



    Lo storico Constanţa Vintilă-Ghiţulescu dell’Istituto di Storia Nicolae Iorga di Bucarest ritiene che l’entrata in vigore dei Regolamenti Organici e il loro funzionamento siano legati all’inizio della democratizzazione dello spazio romeno con l’accettazione in una carica pubblica solo in base alle capacità personali.



    L’idea di stato nazionale e la possibilità che tutti accedano a incarichi pubblici rende entusiasti i romeni. Però i criteri espressi in teoria venivano spesso trasgrediti. Lo storico Constanţa Vintilă-Ghiţulescu afferma che, fino verso la metà del secolo, la tradizione resta ancora forte.



    “Si può notare che nel primo periodo della modernità, le famiglie importanti continuano ad avere il monopolio delle funzioni più importanti. Quanto agli incarichi di minor importanza, è rilevante vedere che si crea una burocrazia e questa idea di lavoro pubblico diventa quasi un sogno per ogni romeno. Perché? Perché sempre in quel periodo appare il concetto di pensione. Dopo 8 anni di lavoro, uno poteva beneficiare di una pensione e, se moriva, la sua vedova poteva ereditarla. Inoltre i dipendenti ricevevano soldi per i vestiti che dovevano indossare in ufficio. Si crea anche una classe di funzionari, rispecchiata poi nelle opere di Ion Ghica. Lui lamentava, in una delle sue lettere, che i romeni erano cominciati ad essere molto interessati a questi incarichi pubblici, cosicché non c’erano più calzolai, sarti e altri artigiani indispensabili”, spiega Constanţa Vintilă-Ghiţulescu.



    L’entusiasmo e le idee dell’emancipazione non poterono però superare, nella prima parte della modernità romena, la mentalità formata durante secoli. Constanţa Vintilă-Ghiţulescu considera che questa sia stata una grande sfida per i riformatori dello stato.



    “Nella prima modernità contavano moltissimo le relazioni, le amicizie. Se lavoravi per un grande aristocratico, come ad esempio Grigore Brâncoveanu, quando gli veniva affidato un incarico importante, diciamo di ministro, tutti i suoi amici si spostavano con lui. Coloro che facevano un certo lavoro per il boiardo, presso la sua tenuta, potevano fare da scrittori nelle cancellerie, se sapevano leggere o scrivere. Oppure potevano essere nominati poliziotti in un villaggio. Se uno non aveva appoggi”, come diceva ad un certo punto Iordache Golescu, non poteva entrare a far parte del meccanismo dello stato. La selezione operata era abbastanza clientelare e c’erano numerosi abusi, che non venivano però puniti. Chi non faceva il suo lavoro, veniva licenziato, ma gli stessi appoggi di cui goveva faceva sì che fossero perdonati e ricevuti di nuovo al lavoro”, aggiunge Constanţa Vintilă-Ghiţulescu.



    La democratizzazione dell’accesso alle cariche pubbliche determinò anche trasformazioni, aspirazioni a un nuovo statuto. Apparvero così i nuovi ricchi. Constanţa Vintilă-Ghiţulescu definisce questo nuovo personaggio.



    “All’inizio del 19-esimo secolo, i grandi boiardi, che riescono ad ottenere incarichi importanti nell’apparato di stato, cominciano a sentirsi minacciati da personaggi che riescono ad avvicinarsi al principe e che, grazie al trattamento favorevole di cui godono, si infiltrano nella classe dei grandi boiardi. Sposano figlie dell’aristocrazia e acquistano poderi e perciò pensano di avere anche il diritto anche a ricoprire cariche importanti. Iordache Golescu, che ha scritto su questa nuova classe, apparteneva ad una famiglia importante della Valacchia. All’inizio del 19-esimo secolo, alcuni principi si portano con loro futuri principi da Costantinopoli, di origine greca, i quali, approffittandono dei rapporti privilegiati, cominciano ad acquistare terre, ad avere funzioni importanti e a guadagnare molto. I vecchi boiardi come Brâncoveanu, Golescu, Balş, Rosetti, sentendosi minacciati, danno alla nuova classe il nome di “ciocoi”, cioè nuovo ricco, tirchio e senza principi, capace di usare ogni strumento per accedere ad una classe sociale superiore”, conclude lo storico Constanţa Vintilă-Ghiţulescu.



    Il periodo di nascita della democrazia romena nella prima metà del 19-esimo secolo significò un miscuglio complesso di idee occidentali di modernizzazione, di istituzioni nuove, mentalità locali ed aspirazioni personali. Non sempre i risultati furono quelli desiderati, però furono conformi a ciò che viene chiamato lo spirito dell’epoca. (trad. Gabriela Petre)

  • Decreto vaticano sul martirio di Mons. Vladimir Ghika

    Decreto vaticano sul martirio di Mons. Vladimir Ghika

    Il 27 marzo 2013, Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto riguardante il martirio del Servo di Dio Vladimir Ghika, Sacerdote diocesano. Nato il 25 dicembre 1873, e ucciso in odio alla Fede a Bucarest (Romania) il 16 maggio 1954.



    Principe ortodosso per nascita, il monsignor Vladimir Ghika passò al Cattolicesimo e fu ordinato sacerdote a 50 anni. In precedenza, Ghika aveva preso parte alla vita sociale, politica e diplomatica della Romania durante la prima guerra mondiale, adoperandosi per l’Unità della Romania, a Parigi, Roma e in Vaticano.



    Spirito ecumenico, il monsignor Ghika soleva dire che era passato al cattolicesimo proprio per essere un buon ortodosso, e uno dei suoi desideri era che le due chiese – rispettivamente ortodossa e cattolica – si fossero unite.



    Dopo il 1923, quando fu ordinato prete, Vladimir Ghika fu inviato dalla Chiesa Cattolica a Sidney, Budapest, Dublino, Buenos Aires, dove partecipò ai congressi eucaristici internazionali. Inoltre, intrapprese missioni apostoliche in Giappone, Cina o Ceylon. Soleva benedire con uno spino come quella della corona di Gesù Cristo.



    Dopo la seconda Guerra mondiale, in seguito all’insediamento del regime comunista ateista in Romania, che aveva scatenato le rappresaglie contro i preti di tutte le fedi, Mons. Ghika fu incarcerato e, a cause delle torture subite, si spense nella prigione di Jilava, nel 1954.


    Vennero scritti numerosi libri sulla sua vita e morte, tra cui “La Memoria dei silenzi” della monaca Elisabetta de Miribel, ex-segretaria del generale de Gaulle, in cui viene delineata la personalità di Vladimir Ghika di cui papa Pio XI soleva dire, per scherzo, che era “il grande vagabondo apostolico del XX-esimo secolo.”


  • Stalin e lo stalinismo

    Stalin e lo stalinismo

    Il 5 marzo 1953 morì Josif Vissarionovič Stalin, il più sanguinoso criminale della storia, come caratterizzato non dagli avversari, ma dalle innumerevoli prove degli omicidi commessi dal suo regime. A 60 anni dalla sua morte si possono dire su di lui solo parole attinenti alla memoria attiva. Sebbene sia parte della storia dell’Unione Sovietica, per l’impatto globale che lui rappresentò nel periodo 1945 – 1991, Stalin è anche parte della storia di molte nazioni e, purtroppo, anche di quella dei romeni.



    Stalinismo è il nome dato dal pensiero politico alla tirannide: la più orrenda forma di governo politico in cui i principali elementi furono la volontà di un unico uomo e il terrore. Lo stalinismo portò le pratiche tiranniche all’apogeo, approvate però anche da individui e società, il che ha significato l’accecamento di fronte all’ideologia. Liviu Rotman, docente presso la Scuola Nazionale di Studi Politici e Amministrativi di Bucarest, è del parere che l’attaccamento degli altri all’ideologia e alla persona del conduttore, cioè alla sua incarnazione, sia la spiegazione della comparsa e della sopravvivenza dello stalinismo.



    “Nella definizione del tipo di regime comunista ci sono più approcci. C’era l’approccio ai tempi di Stalin, quando era considerato la più alta forma dell’ideologia comunista e della sua purezza. Si parlava di scrittori, storici, attori, pittori stalinisti, attivisti di partito stalinisti e tale attributo era un pregio, un omaggio. In generale, significava che loro erano i comunisti più decisi, duri e pieni di energia. Stalin stesso si era assunto questo pseudonimo, perché stal in russo vuol dire acciaio. L’idea che voleva imporre era che la sua politica fosse dura come l’acciaio, ma giusta e orientata verso l’adempimento agli ideali comunisti”, spiega Liviu Rotman.



    La percezione popolare dello stalinismo può essere però ingannevole. Per quanto sia autoritario, un tiranno deve essere credibile di fronte a coloro che lo sostengono. In altre parole, è necessario che il suo pensiero politico sembri logico a chi lo ascolta. Lo storico Cristian Vasile dell’Istituto di Storia Nicolae Iorga di Bucarest spiega in che cosa consisteva il pensiero politico di Stalin.



    “Erik Van Ree, specialista nel sistema politico sovietico, ha pubblicato un libro molto importante, “Il pensiero politico di Stalin”. Il libro è importante perché Erik Van Ree ha avuto l’opportunità di studiare negli archivi russi un certo tipo di fonte storica, le numerosissime note scritte da Stalin stesso sui libri della propria biblioteca. Questa fonte di informazioni è eccellente, Erik Van Ree l’ha sfruttata molto bene, ed ha modificato in un certo modo la percezione su Stalin e sullo stalinismo, soprattutto per quanto riguarda le fonti di ispirazione del suo pensiero politico. Van Ree pensa che si possa parlare di un pensiero, di una coerenza forte di Stalin. Cosa scopre Van Ree? C’è stata una grande discussione nella storiografia occidentale sulla fonte delle idee di Stalin: la tradizione autocratica russa, da Ivan il Terribile a Pietro il Grande come modernizzatore, che Stalin avrebbe preso come modello, oppure il marxismo occidentale, il movimento rivoluzionario dell’Occidente. Van Ree ha scoperto che la principale fonte di ispirazione di Stalin sembra essere stata la tradizione rivoluzionaria occidentale, la tradizione giacobina. Ed ha trovato persino note scritte da Stalin in tal senso, evidentemente passate per il filtro del pensiero leninista”, spiega lo storico.



    Molte opinioni espresse dopo il crollo del comunismo hanno attribuito la colpa del disastro all’incapacità dei leader sovietici di implementare gli scritti di Marx. Liviu Rotman ha voluto sottolineare la natura essenzialmente stalinista del regime comunista e l’impossibilità del suo funzionamento in condizioni diverse da quelle create tramite la tirannide.



    “Secondo me, Stalin, con il terrore e il suo sistema politico, ha significato forse il comunismo più puro. In generale, quando si è tentato di uscire dai cliché stalinisti, già dai tempi di Krusciov, il comunismo ha cominciato a scricchiolare, a non poter più adempiere ai suoi scopi. Proprio per questo, i sovietici tentarono di tornare allo stalinismo nel periodo di Brejnev il quale, senza annunciarlo pubblicamente, tentò di tornare alle pratiche staliniste. Nei Paesi-satellite, tra cui anche la Romania, questa immagine di Stalin è criticata, le sue statue scompaiono. Ma ciò era solo una facciata, la continuità del comunismo chiedeva il mantenimento tacito dello stalinismo, in un modo o in un altro, a seconda del contesto nei vari Paesi. Lo dico perché allorquando ci furono opinioni negative nei confronti di Stalin, si riferivano a Stalin stesso. Come se il comunismo, poststalinista o ante stalinista, fosse più umano, più vicino alla natura umana e all’andamento normale della storia”, afferma Liviu Rotman.



    Stalin e lo stalinismo hanno costituito modelli non solo per le società con un deficit di democrazia. Nel mondo democratico ci sono state simpatie per il suo modo di dirigere, il che dimostra che la democrazia non è un fatto naturale che funziona senza sincope. Ci sono stati degli Stalin, più piccoli e più grandi, che hanno imitato molto bene l’originale. Ma la verità, che non è solo un concetto filosofico, ma anche uno storico, si è imposta, come sempre. (trad. Gabriela Petre)


  • Ritratto del sociologo Dimitrie Gusti

    Ritratto del sociologo Dimitrie Gusti


    Il più importante nome della sociologia romena nella prima metà del Novecento fu quello di Dimitrie Gusti. Pochissimi i successi in questo campo che non siano legati al suo nome. Fu docente universitario, membro dell’Accademia Romena, ministro dell’Insegnamento nel 1932-1933, e fondatore dell’Istituto Sociale Romeno e direttore di pubblicazioni specializzate. Fu lui a iniziare le famose “equipe miste” formate da studenti e ricercatori in vari campi di attività, che conducevano degli studi sul posto, conclusi con l’elaborazione di monografie sui villaggi romeni.




    Fu un promotore del servizio sociale, in cui la ricerca accademica si abbinava all’azione e alla pedagogia sociale. Il suo ideale era quello di sollevare i contadini dallo stato di arretratezza economica, politica e culturale e trasformarli in cittadini della grande Romania, costruita tramite l’Unione del 1918. Nel 1936, Dimitrie Gusti creò un’istituzione pubblica di grande visibilità a tutt’oggi oggi: il Museo del Villaggio di Bucarest.




    Dimitrie Gusti è noto come il fondatore della più importante scuola romena di sociologia. Dimitrie Gusti e la sua scuola sono stati ri-analizzati dalla rivista francese “Les Études Sociales” in un numero doppio del 2011, sotto il titolo “Sociologie et politique en Roumanie (1918-1948)”. Alla domanda se Gusti sia stato un innovatore, il sociologo Vintila Mihailescu offre una risposta.




    ”Gusti non è un innovatore, non è un precursore, ma si iscrive nella tradizione romena di studi rurali. La questione è delicata. Qualcuno che si è proposto di fare della sociologia una nazionale, poteva farlo, cioè servire la nazione. Ma non una nazionalista. E Gusti lo rileva molto chiaramente: se per un certo periodo la costruzione nazionale è la principale posta in gioco della società attuale, la sociologia si occupa anche di questo. Se nel XXI secolo la sociologia si occupasse solo della questione dei contadini asserviti, sarebbe un po’ fuori luogo. Dopo la seconda Guerra mondiale, Gusti teneva in vista una storia del tutto diversa, quella delle Nazioni Unite. La sociologia doveva muoversi in un altro contesto. Ma nel contesto in cui oltre l’85% della popolazione era rappresentata dalla popolazione rurale, accusare o sospettare un sociologo di occuparsi solo dei contadini è un po’ strano”, spiega il sociologo.




    Dimitrie Gusti fu il fondatore della scuola di sociologia di Bucarest, che seguiva il modo in cui avvenivano i mutamenti nella società, come si potevano prevedere le tendenze e analizzare i processi sociali. Promosse il metodo di ricerca monografica tramite cui un soggetto era conosciuto solo se indagato dalla prospettiva di più discipline. Il sociologo Dumitru Sandu è stato domandato dalla rivista “Les Études Sociales” se la scuola creata da Gusti fu veramente una scuola.




    “Tentiamo di rispondere alla domanda “che tipo di scuola è la Scuola Gusti?”. Secondo me è una scuola, ma di che tipo? L’elenco delle denominazioni è conosciuto: la scuola Gusti, la scuola sociologica di Bucarest, la scuola monografica, la scuola romena. Se passiamo dal sistema della lista a quello dell’analisi, ci sono tre tipi di scuola: di metodo, di teoria, di metodologia-epistemologia. Aggiungo a questa classifica la scuola di promozione di un modello di azione sociale, cioè la scuola di intervento. La Scuola Gusti include tutti questi elementi”, dice Dumitru Sandu.




    Uno dei rimproveri mossi dalla rivista francese a Gusti è quello di essere stato sostenitore del fascismo. Antonio Momoc, docente presso la Facoltà di Giornalismo e Scienze della Comunicazione di Bucarest, ci ha indicato le affermazioni di Gusti che hanno determinato le accuse di fascismo nei suoi confronti.




    “All’Istituto Sociale Romeno si organizzavano dibattiti cui partecipavano tutti gli intellettuali di spicco dell’epoca. Si tratta di un’affermazione che Dimitrie Gusti fece durante un dibattito sulle dottrine dei partiti politici. Era nel 1922 e l’opera fu pubblicata nel 1924. Era l’inizio del fascismo italiano. In Romania, il movimento fascista non esisteva in quel periodo. Apparve nel 1922-23 in risposta alla Costituzione del 1923. Negli anni 1920, con tutti i cicli elettorali, il sostegno ai partiti estremisti era assai basso, si aggirava intorno al 3-4%. Negli anni 1920, il fascismo era una curiosità. L’unico a far riferimento al fascismo, a quello di Mussolini, fu Dimitrie Gusti. Nessuno dei presenti riteneva che fosse importante ciò che succedeva in Italia. In che contesto fece Gusti quel riferimento? Lui faceva una distinzione tra i partiti politici e, dal suo punto di vista, che concordava con il proprio sistema della sociologia politica ed etica, ci sono due tipi di partiti: quelli di programma e quelli opportunistici. Secondo lui, il partito fascista era uno di programma e c’era entusiasmo ed una certa emulazione intorno a quel partito. Tutto qui. Disse solo questo sul fasciamo italiano. Ma da qui fino all’accusarlo di simpatie fasciste c’è una lunga strada”, è del parere il docente.




    Dopo la guerra, Gusti collaborò discretamente con il partito comunista. Il che rileva, come nel caso di tanti intellettuali che hanno legato la scienza alla politica, che nessuno è al riparo dalle influenze del presente.

    (trad. Gabriela Petre)

  • La Securitate e la corrispondenza dei romeni

    La Securitate e la corrispondenza dei romeni


    Normalmente, gli archivi delle intelligence custodiscono documenti contenenti dei dettagli sul lavoro informativo di uno stato, su operazioni segrete, su questioni diplomatiche o su vari interessi politici. Come tante istituzioni dei Paesi comunisti, la Securitate, la polizia politica del regime comunista, aveva la caratteristica di controllare interamente la società. La corrispondenza fu una delle fonti di informazione predilette della Securitate e con l’aiuto del suo apparato repressivo seppe come reagire a certi comportamenti sociali nel più cupo periodo della storia recente della Romania.




    Liviu Ţăranu, ricercatore presso il Consiglio Nazionale per lo Studio degli Archivi della Securitate, è il curatore del volume “I Romeni nell’Epoca d’Oro. Corrispondenza degli anni ‘80” in cui sono raccolte alcune delle lettere inviate dai romeni alle istituzioni dello stato negli anni 1980. Il sintagma Epoca d’Oro, creazione della propaganda comunista, era parte del linguaggio e del culto della personalità di Nicolae Ceauşescu, ed era inteso a illustrare quello che il regime riteneva le performance raggiunte dalla Romania sotto la sua “saggia” direzione. La situazione reale era però il contrario di quella descritta dalla propaganda: crisi materiale e spirituale profonda e generalizzata, e degrado psicologico accentuato.




    Abbiamo chiesto a Liviu Ţăranu come potrebbe essere riassunto lo stato d’animo dei romeni nel nono decennio della cosiddetta Epoca d’Oro così come traspare dalle lettere. “Pessimistico e tragico. Forse il termine più adatto sarebbe drammatico. Ci sono lettere dalle quali traspare l’umorismo romeno. Ma domina la nota tragica, perchè il malcontento e le carenze quotidiane erano onnipresenti. Soprattutto coloro che avevano famiglie numerose lamentavano tutta una serie di difficoltà: il cibo, la corrente elettrica, il carovita e l’incertezza sul posto di lavoro. E’ davvero soprendente che negli anni 80 si parlasse dell’incertezza sul posto di lavoro e che questo fosse un argomento assai frequente”, spiega Liviu Ţăranu.




    Come dimostrato dagli storici nei loro saggi, la Securitate controllava attentamente la corrispondenza. Quella indirizzata alle istituzioni era verificata interamente. Tutte le lettere rivolte ai giornali, al Comitato Centrale, alle persone giuridiche, soprattutto della capitale, venivano filtrate dalla Securitate. Molte arrivavano alla destinazione, ma quelle contententi commenti estremamente critici, non erano più inserite nel circuito postale, per cui non arrivavano al destinatario. Ne troviamo gli originali nei dossier della Securitate. Però c’erano anche casi in cui i romeni mandavano lettere che arrivavano alle autorità del partito e dello stato”, aggiunge lo storico.




    La scontentezza dovuta al tenore di vita era dominante. C’era poi anche la paura di perdere il posto di lavoro, un fatto inimmaginabile per un regime che pretendeva di essere uno degli operai. Tale paura contraddice il cliché che negli anni del socialismo il posto di lavoro fosse sicuro. Tale timore era giustificato perchè la disorganizzazione nelle imprese statali, dovuta al fatto che venivano operati cambiamenti troppo rapidi, influiva sull’economia. C’era anche il problema della vendita dei prodotti fabbricati dalle imprese romene, le quali spesso non avevano la materia prima per produre quanto pianificato. Gli operai non prendevano gli stipendi e la direzione tentava di limitare il numero dei dipendenti per poter pagare gli stipendi agli altri operai. Tutte quelle riorganizzazioni e difficoltà a livello macroeconomico portavano all’incertezza sui posti di lavoro e alla disoccupazione. Alcuni venivano semplicemente licenziati e dovevano cercarsi un altro lavoro”, dice ancora Liviu Ţăranu.




    Una delle spiegazioni per il fatto che la rivoluzione romena sia stata così violenta è l’autorità portata all’estremo. Lo si nota nella corrispondenza riportata nel volume ricordato. In tutti i Paesi comunisti c’era la crisi, ma da nessuna parte la libertà di esprimere la propria scontentezza non veniva punita con tanta severità come nella Romania di Ceauşescu. Abbiamo chiesto a Liviu Ţăranu se c’è un legame tra la severità del regime negli anni ’80 e le violenze del dicembre 1989.




    Ne sono convinto. Perchè le tensioni non erano state sciolte al momento giusto, si erano accumulate, per cui hanno cominciato a manifestarsi sotto varie forme. Il fatto di aver tenuto sotto controllo quelle tensioni per un decennio, sebbene le cose andassero male già prima del 1980, non fece che determinare quella ribellione violenta. Il malcontento era troppo grande per cui le cose non potevano andare in modo liscio e pacifico, come in Cecoslovacchia o in altri Paesi della zona”, conclude lo studioso. (trad. Gabriela Petre)

  • Smaranda Brăescu, la prima donna paracadutista e pilota in Romania

    Smaranda Brăescu, la prima donna paracadutista e pilota in Romania


    L’aeronautica è stata molto popolare nella Romania degli anni 1920-1940, quando più giovani si impegnarono in club di volo, scuole, programmi, addestramenti e concorsi. Alcunni registrarono notevoli successi, paragonabili a quelli di competitori provenienti da Paesi con una lunga tradizione. Uno dei grandi piloti romeni fu Smaranda Brăescu, fatto ancora più spettacolare in quanto era un donna e non proveniva dall’elite.




    Smaranda Brăescu fu infatti la prima donna pilota, paracadutista e istruttore di piloti militari in Romania. Aveva un carattere forte e seguì con una tenacia straordinaria la propria passione. Nel 1931, a 34 anni, diventò campionessa europea di paracadutismo, dopo essersi lanciata da 6000 metri d’altezza, battendo un record europeo.




    Nel 1932 fu campionessa mondiale, si lanciò con il paracadute da 7400 metri al concorso di Sacramento, negli USA, battendo un record mondiale che resistette per ben 20 anni. Fu insignita dell’Ordine la Virtù Aeronautica, la classe Croce d’oro. Nonostante il suo hobby forte e impegnativo, la sua formazione intellettuale era una assai delicata. Aveva studiato l’arte decorativa e ceramica, presso l’Accademia di Belle Arti di Bucarest.




    Ana Maria Sireteanu è pronipote della grande campionessa e ricorda il carattere forte di Smaranda Brăescu che non ha rinunciato alla sua passione neanche dopo un incidente molto grave.




    ”A Satu Mare, dopo un lancio, fu trascinata dal paracadute e si fece male a entrambe le gambe. Fu ricoverata in ospedale per ben cinque mesi, ma un medico bravissimo la operò e riuscì a sistemarle le gambe. Dopo altri sette mesi, nonostante l’incidente subito, ottenne due nuovi record, uno europeo e uno mondiale, nel 1931 e 1932. Una prova della sua motivazione e dello straordinario desiderio di portare premi al suo Paese”, spiega Ana Maria Sireteanu.




    Informazioni sulle personalità del passato, ci sono rivelate soprattutto dalle fonti scritte. Ma forse su alcune vorremmo saperne di più, come erano nella loro vita quotidiana. Una fonte sono i diari, e quello di Smaranda Brăescu ce la rivela come una personalità molto forte.




    Dalle sue note personali, che lei voleva che non fossero pubblicate se non dopo la sua morte, risulta che Smaranda Brăescu era molto passionale come indole. Spesso rivolgeva attributi non molto cortesi a personalità dell’aeronautica che le avevano creato difficoltà. La sua attività nell’Associazione Romena di Paracadutismo ed Aeronautica è meno conosciuta. Smaranda Brăescu era però molto popolare e apprezzata da tutte le categorie di persone, non solo dai colleghi, ma anche dal pubblico entusiasta, appassionato e sostenitore dell’aviazione”, aggiunge la nostra ospite.




    Ana Maria Sireteanu ricorda anche il famoso episodio in cui Smaranda rubò l’aereo che voleva così tanto avere.




    Il Milles Hawk, costruito nel 1935 in Inghilterra, era molto leggero e performante per l’epoca, in quanto venne impiegato più legno. La carlinga era aperta, per cui quando pilotava quell’aereo aveva moltissima visibilità. Lei aveva pagato per l’aereo perché le allora autorità avevano istituito un’ottima legge, per cui chi faceva prova della propria performance otteneva un premio di quasi la metà del costo di un aereo. L’altra parte della somma fu ottenuta tramite una donazione pubblica, su iniziativa del giornale Universul che organizzò una campagna. Smaranda ordinò l’aereo e quando era quasi pronto, i responsabili della ditta costruttrice — che tra l’altro ricoda con epiteti non molto cortesi nel suo diario — non vollero consegnarglielo e pretesero più soldi, per la benzina. Allora lei rubò l’aereo, e scappò dall’Inghilterra volando sopra il Canale della Manica. Nonostante la nebbia, arrivò sana e salva in Francia e vi fu una valanga di notizie sulla stampa. Il colonello Andrei Popovici, il segretario dell’Aeroclub Romeno, le chiese scusa, ma le creò ancora difficoltà, rifiutandosi di rilasciarle il permesso di passaggio per i paesi europei. Alla fine ottenne un permesso dall’Aeroclub della Francia, lei che aveva un brevetto da pilota ottenuto negli USA nell’autunno del 1932 proprio su Roosevelt Field, l’aeroporto da dove era partito Charles Lindbergh nel suo volo transatlantico. Lì c’era una straordinaria scuola di pilotaggio”, spiega ancora Ana Maria Sireteanu.




    Durante la guerra, Smaranda operò come pilota nella famosa “squadriglia bianca” di aerei sanitari, sul fronte orientale e poi su quello occientale, in Transilvania, Ungheria e Cecoslovacchia. Firmò, assieme ad altre 11 personalità, una lettera che condannava il broglio elettorale del novembre 1946. Pedinata dalle autorità comuniste, Smaranda Brăescu scomparve. Trovò forse riparo in un monastero di monache le quali la seppellirono sotto un altro nome, il 2 febbraio 1948, quando morì, a 51 anni. (trad. Gabriela Petre)

  • La prima attestazione documentaria di Suceava

    La prima attestazione documentaria di Suceava


    Uno dei più antichi insediamenti urbani del principato medioevale della Moldavia è Suceava, il primo capoluogo attestato nei documenti. La nascita della città è legata alla creazione dello stato medioevale della Moldavia. Verso la metà del XIV secolo, ad alcuni romeni del Maramureş, capeggiati da un leader locale di nome Dragoş, il re d’Ungheria, Ludovico I, affidò la missione di proteggere la zona della Moldavia dal pericolo tartaro dell’est.




    Dopo il consolidamento dello stato della Moldavia nell’ultimo quarto del XIV secolo, Suceava diventò, per due secoli, residenza principesca durante il regno di Petru I Muşat (1375-1391). Ci sono due spiegazioni per il nome della città. La prima appartenne al cronista Simion Dascălul, il quale nel XVII secolo, scrisse Letopiseţul Ţării Moldovei până la Aron Vodă” (La storia della Moldavia fino al principato di Aron Voda) in cui citava un suo predecessore, Grigore Ureche, secondo il quale a Suceava si fossero stabiliti degli artigiani conciatori venuti dall’Ungheria.




    In ungherese, panciotto” (che veniva fatto dai conciatori) si dice szücs. Il nome della città sarebbe dunque un misto tra la parola ungherese e il suffisso romeno –eavă e significherebbe il luogo in cui si lavora la pelle e si fabbricano i panciotti”. Una seconda spiegazione, meno credibile, è che ”Suceava” sarebbe il risultato di un altro abbinamento tra il nume di un albero chiamato in romeno soc” (cioè sambuco) e il suffisso slavo -va, cioè foresta di sambuchi”.




    Della Suceava medioevale, oggi sono rimaste solo le due fortezze tra le quali si è sviluppata la città. La prima, Şcheia o la Fortezza Occidentale di Suceava, è sita nel nord-ovest della città, su una collina alta 384 metri, 80 metri sopra il livello del mare. Era parte del sistema fortificato fatto costruire dal principe Petru I alla fine del XIV secolo. Ai tempi di Alessandro il Buono, agli inizi del XV secolo, la fortezza fu abbandonata. Attualmente, le sue rovine sono incluse come sito archeologico sulla lista dei monumenti storici della provincia di Suceava.




    La seconda fortezza, Cetatea de Scaun a Sucevei, ovvero la Reggia di Suceava, si trova nell’est della città, a 70 metri d’altezza. Anche questa fortezza fu fatta costruire da Petru I, ma fu ulteriormente conservata e ampliata dai suoi eredi. Venne poi fortificata dal principe Stefano il Grande, e nel 1675 fu distrutta da Dumitraşcu Cantacuzino. Come quella di Şcheia, anche questa fortezza è attualmente in rovina e fa parte dei monumenti storici della provincia.




    La Suceava medioevale era una città multietnica in cui vivevano romeni, tedeschi, magiari ed armeni, con un’economia attiva basata sugli scambi commerciali. Durante il principato di Alexandru Lăpuşneanu, alla metà del XVI secolo, il capoluogo fu spostato a Iaşi, ma fino all’inizio del XVII secolo, Suceava continuò a fare da residenza di altri principi moldavi. (trad. Gabriela Petre)

  • Le operazioni valutarie della Securitate

    Le operazioni valutarie della Securitate


    Le economie comuniste hanno tentato di ricavare profitto massimo dai rapporti con il mondo capitalista, nel contesto in cui non erano state capaci di raggiuntere neanché la metà delle performance occidentali. La fame di valuta è stata una costante in tutti i Paesi del lager socialista, e la Romania non fu un’eccezione. Siccome l’economia socialista non poteva soddisfare il fabbisogno di risorse, il regime comunista di Bucarest affidò al suo apparato repressivo, la Securitate, il compito di ricavare soldi. Per i romeni, le operazioni valutarie della Securitate sono a tutt’oggi un mistero. Perciò le ricerche dello storico Florian Banu negli archivi del Consiglio Nazionale per lo Studio degli Archivi della Securitate rappresentano un inizio nello studio della storia dei servizi segreti romeni durante il regime.




    Per la Securitate, la questione delle operazioni valutarie si pose per la prima volta negli anni ’50. Nei primi anni vi furono difficoltà tipiche per qualsiasi servizio di informazioni, tanto più per una polizia politica com’era la Securitate. Il fabbisogno di valuta non era così grande, dato che i rapporti commerciali con l’Occidente erano stati interrotti. Poi, con l’apertura verso l’Occidente, con la ripresa dei rapporti commerciali con la Francia e poi con la Germania e la Gran Bretagna, si è posto anche il problema della valuta. Inizialmente, la valuta fu ottenuta recuperando patrimoni dei romeni stabiliti nell’Occidente. Operazioni del genere erano però occasionali. Successivamente, la valuta veniva ricavata anche attraverso i canali confidenziali della Securitate in cambio al rilascio dei visti agli ebrei e ai tedeschi di Romania che, ritenendo il proprio futuro in Romania abbastanza incerto e cupo, optava allora per l’emigrazione”, spiega Florian Banu.




    Infatti, lo stato comunista ha chiesto alla Germania Federale e a Israele somme ingenti per lasciare gli ebrei e i tedeschi andar via dalla Romania. Per il regime, la valuta era uno dei più preziosi obiettivi per il regime. Lo stato romeno deteneva il monopolio su tutte le somme in valuta, che erano considerate di proprietà dello stato. Fu elaborata una legislazione molto severa in materia e le somme prelevate dalla Securitate venivano deposte presso la Banca di Stato in un conto speciale, con evidenze molto controllate. Il 31 luglio 1965 il saldo in valuta era di 6.857.000 dollari. Il prelevamento delle somme di denaro avveniva tramite una tecnica operativa. Gli ufficiali che prendevano il denaro — per un certo periodo i pagameti furono effettuati in contanti — avevano addosso dei microfoni, le conversazioni venivano registrate e la possibilità che tenessero una parte dei soldi per loro era assai bassa. La Securitate poteva utilizzare il 20% dei soldi a scopo operativo, ad esempio per pagare certi informatori esterni e per acquistare tecnica dall’Occidente. In minor misura, furono acquistate armi da caccia per i vertici comunisti”, aggiunge lo storico.




    Durante il regime di Nicolae Ceauşescu, tra il 1965 e il 1989, la Securitate tentò di allargare le possibilità e le modalità per incassare valuta. Una novità, a cominciare dagli anni ’70, fu che si puntava sull’incasso della valuta tramite bonifico bancario. Il prelevamento di contanti diventò meno usuale, ma la pratica continuò anche negli anni ’80. Il compito di svolgere operazioni del genere spettava agli ufficiali della Direzione I Informazioni Estere. Dopo il 1978, quando l’allora vicecapo del controspionaggio romeno, il generale Ion Mihai Pacepa chiese asilo politico nell’Occidente, l’intero sistema di spionaggio fu riconfigurato e le cose cambiarono. Fu fondata un’unità per l’apporto valutario speciale. Alla fine degli anni ’70, le operazioni valutarie furono accelerate, in seguito all’indebitamento estero. Negli anni ’70 avvennero gli shock petroliferi, il primo nel 1973 e il secondo negli anni 1979-1980. Il sovradimensionamento dell’industria chimica e la perdita di alcuni mercati esteri, nonché l’aumento degli interessi per i debiti sovrani misero un’enorme pressione sullo stato romeno”, spiega ancora Florian Banu.




    Lo storico ha fatto anche un esempio di come la Securitate riusciva a recuperare una parte dei soldi. Cominciarono a dare indicazioni ben precise sui tipi di operazioni valutarie accettate. Ad esempio, il recupero di certe somme dai fondi confidenziali approvati dalle autorità romene a favore di cittadini stranieri che avevano intermediato la firma di contratti vantaggiosi per la Romania. Come si faceva? Lo stato romeno firmava un contratto per esportare trattori in Iran. Per vincere la gara d’appalto con lo stato iraniano, lo stato romeno offriva una certa somma ad un alto dignitario iraniano. Dopo la firma del contratto, il rispettivo dignitario veniva contattato dagli ufficiali della Securitate, i quali invocando il fatto che erano intervenute spese supplementarie, come l’imbarco, la preparazione per l’export, ecc., gli dicevano che doveva restituire una parte dei soldi. Se il dignitario aveva ricevuto tangenti del 10% del valore del contratto, la Securitate gli chiedeva di restituirne il 5%. E tale somma veniva trasferita nel Paese”, conclude lo storico Florian Banu. (trad. Gabriela Petre)

  • I rapporti romeno-polacchi alla fine del XIV secolo

    I rapporti romeno-polacchi alla fine del XIV secolo


    Le cronache della seconda metà del XIV secolo attestavano, nell’Europa sud-orientale, la presenza del futuro Impero ottomano, la più importante potenza nella zona, dal Cinquecento all’inizio del Novecento. Le nazioni cristiane balcaniche tentarono di bloccare l’offensiva ottomana, ma ci riuscirono solo per un breve periodo. Negli ultimi 25 anni del XIV secolo, il principe della Valacchia, Mircea il Vecchio (1386-1418) cercò alleati nella lotta contro i turchi, arrivati al Danubio, il confine del suo stato.




    Siccome le relazioni con l’Ungheria di Sigismondo di Lussemburgo (1387-1437), la potenza più vicina geograficamente che avrebbe potuto essere d’aiuto ai romeni, non erano tra i migliori, Mircea tentò di allacciare rapporti con la Polonia regnata da Ladislao II, detto anche Re Jagellone (1386-1434). Dopo la sconfitta dell’esercito serbo a Kossovopolje nel 1389, la posizione di Mircea era ancora più vulnerabile.




    Con la mediazione del principe della Moldavia, Petru Muşat (1375-1391), vassallo del re polacco, Mircea firmava il 10 dicembre 1389 un’intesa tramite cui i due si impegnavano ad aiutarsi reciprocamente sia contro il re d’Ungheria, sia contro altri nemici. Il principe valacco era rappresentato dai fratelli Manea e Roman Herescu, assistiti dal responsabile della giustizia e degli affari interni Drăgoi, l’inviato del principe moldavo. La ratifica dell’intesa avvenne il 20 gennaio 1390 a Lublino.




    Il trattato di Lublino fu seguito poco dopo da un’intesa a tre, alla quale di affiancò anche il re d’Ungheria. Secondo il nuovo accordo del 17 marzo 1390, i due re e il principe romeno si impegnavano ad appoggiarsi reciprocamente nella lotta contro il nemico comune. Per Mircea era un vantaggio l’adesione all’alleanza del sovrano magiaro perché la posizione dell’Ungheria rendeva più possibile il suo coinvolgimento nell’organizzazione di una campagna antiottomana anziche quello della Polonia. Anche se i rapporti con l’Ungheria erano buoni — Mircea aveva accettato di essere vassallo di re Sigismondo nel 1395 , il principe della Valacchia rinnovò l’alleanza con il re polacco negli anni 1404, 1410 e 1411 per mettersi al riparo dall’espansione ungherese. L’alleanza funzionò durante la battaglia di Grunwald del 15 luglio 1410. Un contingente valacco e uno moldavo contribuirono alla vittoria degli eserciti polacco-lituani contro i cavalieri teutonici. (trad. Gabriela Petre)

  • La ribellione dei legionari, i fascisti romeni

    La ribellione dei legionari, i fascisti romeni




    Dal 21 al 23 gennaio 1941, Bucarest fu la scena dello scontro tra l’allora generale Ion Antonescu e la Guardia di Ferro, il partito dei fascisti romeni, che si chiamavano legionari. Nella storiografia romena, le vicende sono note come la ribellione dei legionari. A settembre 1940, in seguito alla crisi del regime autoritario di re Carlo II che aveva posto fine alla democrazia nel 1938, Antonescu si alleava con i legionari e, su modello di Hitler, diventava il capo” dello stato.




    La dittatura di Antonescu mantenne le leggi razziali degli anni 1937-1938 e creò una commissione di romenizzazione. Ciò significò l’allontanamento degli ebrei dall’economia e la confisca dei patrimoni dei grandi industriali, bancheri e mercanti ebrei. Ulteriormente, con l’inasprimento delle leggi razziali e della politica antisemita, tutta la minoranza ebrea subì le conseguenze.




    Il 4 dicembre 1940, la Romania firmò un accordo economico con la Germania con la durata di 10 anni, che completava il patto greggio-armamento firmato il 27 maggio 1940. Nei quattro mesi e mezzo di coabitazione, sia il generale Antonescu, che la Guardia di Ferro tentarono di rafforzare le proprie posizioni nello stato, tollerandosi reciprocamente. Antonescu permise la presenza dei legionari nelle istituzioni dello stato, mentre loro accettarono il controllo del generale sui ministeri-chiave e sui servizi di informazioni.




    Inoltre, Antonescu accettò la vendetta dei legionari contro tutti i dignitari che li avevano perseguitati negli anni 1930. Nella notte fra il 26 e il 27 novembre 1940, nel carcere di Jilava, furono fucilati 64 dignitari. Inevitabilmente, le due forze arrivarono al conflitto armato a causa della sovrapposizione delle decisioni esecutive. Sostenuto dal giovane re Michele I e dall’esercito, Antonescu ottenne anche il sostegno di Hitler.




    La destituzione del ministro degli interni, il legionarie Constantin Petrovicescu, il 16 gennaio 1941, aprì le ostilità. I legionari rifiutarono di accettare la decisione di Antonescu e tentarono di arrestarlo e imporre il proprio controllo totale nello stato. Dal 21 al 23 gennaio 1941, nelle lotte di strada a Bucarest tra l’esercito e i gruppi di legionari, circa 120 delle vittime civili furono ebrei. Circa 8000 membri della Guardia di Ferro vennero arrestati, processati e condannati. La Guardia di Ferro fu allontanata, ma il processo non fu irreversibile. I suoi leader trovarono riparo in Germania che li strumentalizzò per minacciare Antonescu. (trad. Gabriela Petre)

  • Iuliu Maniu, il gentiluomo della democrazia romena

    Iuliu Maniu, il gentiluomo della democrazia romena


    Fu il regime comunista a rovinare il destino del grande politico democristiano romeno, Iuliu Maniu. Nato nel 1873, nel nord-ovest della Romania di oggi, Iuliu Maniu diventò avvocato, seguendo il modello di suo padre. La madre era figlia di un prete greco-cattolico. Nel 1896 Maniu si addottorò in legge presso l’Università di Vienna. Sin da giovane, si dedicò alla politica e fu membro attivo del Partito Nazionale Romeno. Nel 1906 fu eletto deputato nel parlamento di Pesta in Austria-Ungheria.


    Nel 1915 fu mobilitato nell’esercito austro-ungarico sul fronte italiano e nel 1918, alla fine della guerra, assieme a molti leader dei romeni della Transilvania, decise l’unificazione con il Regno di Romania. Nel 1926 fondò assieme a Ion Mihalache il Partito Nazionale dei Contadini, uno dei più importanti partiti della Romania interbellica. Dal 1918 al 1945, Maniu fu tre volte primo ministro della Romania. Democratico convinto, rifiutò ogni collaborazione con la dittatura fascista, e soprattutto con quella comunista. Imprigionato nel 1947, a 75 anni, il 5 febbraio 1953, Iuliu Maniu morì nel carcere di Sighet.


    Il grande politico riuniva in sè tutti i tratti della società romena della prima metà del Novecento. Incorruttibile, carismatico, tenace, Maniu fu veramente la personalità di cui i romeni hanno avuto bisogno nei momenti di svolta. Nella mentalità collettiva, è rimasto un modello di politico e di uomo speciale. In una testimonianza custodita dal Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena, Ioana Berindei, figlia di Ioan Hudiţă, membro di spicco del Partito Nazionale dei Contadini, ricordava nel 2000 i pregi di Iuliu Maniu.


    “Maniu era un uomo di una rara modestia! Un uomo molto gentile, dalla voce calda. Era spesso invitato a pranzo nella nostra casa. Come politico, era intransigente e ciò piaceva molto a mio padre. Si oppose con tutte le sue forze aglu abusi di Re Carlo II. Nel momento in cui si rese conto degli errori — quando era venuto in Romania nel 1930, Carlo II era carino e gentile, ma poi aveva dimostrato il suo vero carattere – Maniu fu deluso. Era stato lui a portarlo, ma dopo riconobbe il suo errore e gli si oppose con veemenza”, ricordava Ioana Berindei.


    Sergiu Macarie, membro attivo della gioventù nazionale contadina, confessava nel 2000, sempre al Centro di Storia Orale di Radio Romania, come l’ingresso dei sovietici nel paese costituì un segnale d’allarme per la società romena che si mobilitò contro questi suoi nemici. Nonostante l’età avanzata e la malattia, Iuliu Maniu non esitò a implicarsi attivamente.


    “Non passavano due-tre giorni senza uno scontro con i gruppi comunisti. C’erano riunioni più grandi e si sapeva che sarebbero venuti anche loro. A Bucarest, a Piazza del Palazzo ci si riuniva e si acclamava il re che poi usciva al balcone. Dopo di che, arrivavano le macchine con operai armati di bastoni. Ad esempio, il 15 maggio 1946, furono celebrati i 98 anni dal discorso del grande politico Simion Bărnuţiu sulla Pianura della Libertà di Blaj e venne anche Maniu. All’uscita, intorno all’Auditorium romeno c’erano macchine piene di operai con bastoni. Solo con difficoltà riuscimmo a salvare il presidente, forzando una porta mai utilizzata per farlo uscire”, diceva anche Sergiu Macarie.


    Iuliu Maniu fu più che un politico onesto. Fu il simbolo della democrazia stessa dopo l’insediamento del comunismo al quale si oppose con tutte le forze, ma che, però, stroncò la sua vita.

  • Gli inizi dell’aviazione civile romena

    Gli inizi dell’aviazione civile romena


    Oggi, il viaggio in aereo è accessibile a tutti, così come erano una volta quelli in treno o in autobus. Da oggetto di tecnica militare e mezzo di trasporto per le élite, l’aereo è ormai a portata di mano anche per la gente semplice, grazie all’apertura dei confini intra-europei e alla globalizzazione. All’ampliamento dell’offerta per tutti i tipi di viaggiatori hanno contribuito in modo significativo anche i voli low-cost.


    L’aviazione civile vanta una storia di circa un secolo. Durate la prima guerra mondiale, l’aviazione fu una grande novità e l’efficacia degli aerei determinò il suo sviluppo. Dopo la prima guerra mondiale furono scoperti anche altri benefici dell’aviazione civile, tra cui il trasporto di merci, servizi e persone.


    La Romania si annoverò tra i pionieri che l’hanno sviluppata nel terzo decennio del ventesimo secolo, parallelamente all’aviazione militare. Quando furono adottati i documenti internazionali che regolavano i voli civili, i rappresentanti romeni parteciparono alla loro elaborazione.


    Il giurista Radu Boros ha studiato diritto aereo in Italia, si è addottorato in Germania ed ha studiato diritto internazionale in Francia. E’ diventato consigliere presso il Ministero dell’Aria nel 1937, come esperto giurista alla Direzione Aviazione Civile, Sezione accordi, trattati, legislazione e regolamenti.


    Nel 1995, quando fu intervistato dal Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena, Radu Boros parlò anche del contributo della Romania all’adozione della legislazione internazionale sull’aviazione civile.


    “Nel 1919, alla fine della guerra, tramite i trattati di pace di Parigi, fu firmata la cosiddetta CINA, la Convenzione Internazionale di Navigazione Aerea. Allora non c’era, come oggi, il principio della libertà della navigazione nello spazio aereo. Si applicava la teoria della sovranità dello stato anche nello spazio aereo. Per poter organizzare una linea di trasporto aereo, andava firmato un accordo speciale con ciascuno stato per la concessione di queste linee di trasporto civile. Con la convenzione di Parigi del 1919, si volle portare una certa regolamentazione del diritto assoluto alla sovranità per quanto riguardava lo spazio aereo. Le regole stabilivano la qualifica del personale che pilotava l’aereo e le norme internazionali per la segnaletica sull’aeroporto, affinché i piloti potessero riconoscere la pista, il luogo di atterraggio, e per organizzare un codice internazionale per le informazioni meteorologiche o di navigazione”, ricordava Radu Borso.


    Durante i negoziati di pace di Versailles, l’allora ministro degli Esteri romeno, Nicolae Titulescu, ebbe l’idea – che condivise con i politici francesi – di fondare una compagnia di trasporto aereo civile, la Compagnia di Navigazione Aerea Franco-Romena, a capitale misto, fondata ufficialmente nel 1920.


    “Fu la prima società di trasporto aereo di lungo percorso in Europa, dopo la prima guerra mondiale. Ma era una linea a carattere politico, creata all’interno della Piccola Intesa. Era una linea politica, una linea di Stato Maggiore, tramite cui la Francia desiderava segnare la sua presenza nei Paesi della Piccola Intesa. Perciò anche la linea ebbe un percorso assai strano. Partiva da Bucarest a Belgrado, da Belgrado a Praga, da Praga a Strasburgo, da Strasburgo a Parigi. Certamente, la Romania, la Cecoslovacchia e la Jugoslavia sovvenzionavano la linea. Nell’accordo che avevamo firmato, loro dovevano addestrare uno o due piloti”, ha aggiunto il giurista.


    Dal 1924, all’Arsenale aeronautico di Cotroceni, i bombardieri britannici De Havilland DH 9 furono trasformati in aerei da passeggeri, mentre nel 1925 si inaugurò la prima linea interna tra Bucarest e Galaţi. Nel 1925 la Compagnia di Navigazione Aerea Franco-Romena fu sostituita dalla Compagnia Internazionale di Navigazione Aerea, un’antenata della Air France. Negli anni 1930, l’aviazione civile romena continuò a svilupparsi, però non senza ostacoli, come affermava Radu Boros.


    “Nel momento in cui entrai nell’aviazione civile, la Romania aveva, come linee internazionali, una fino a Praga e un’altra fino a Belgrado. Subito dopo fu inaugurata una terza per Varsavia. Ma la storia di queste linee fu molto travagliata. Nessuno può immaginare le difficoltà che uno doveva affrontare per organizzare una linea. Prima di tutto, andava risolto il problema politico del diritto al sorvolo. In secondo luogo, si doveva stabilire la linea, precisare le città che dovevano essere collegate. Poi c’era il problema dell’approvvigionamento con benzina. Erano molto alte le tasse di benzina, ma anche quelle aeroportuali, di manutenzione e l’assistenza tecnica dell’aereo. Poi, intervenne la questione del trasferimento nel Paese dei soldi incassati per i biglietti venduti in un altro Paese”, ha concluso Radu Borso.


    L’inizio promettente dell’aviazione civile romena finì dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale quando i piloti civili diventarono piloti militari. Con il 1945, si inaugurava un nuovo capitolo nella storia dell’aviazione romena.

  • Cenni sui rapporti tra la Romania e la Santa Sede

    Cenni sui rapporti tra la Romania e la Santa Sede


    Alla presenza di personalità culturali, esponenti della Chiesa Cattolica, diplomatici e fedeli, un busto di Papa Giovanni Paolo II è stato inaugurato ad agosto 2011 a Bucarest, in una piazzeta a lui intitolata, a pochi passi dalla Nunziatura Apostolica, che, insieme al Comune della Capitale, ha promosso l’iniziativa, per ricordare la storica visita di Karol Wojtyla in Romania, a maggio 1999, la prima di un Sommo Pontefice in un Paese a maggioranza ortodossa.


    La scultura in bronzo è opera dello scultore sloveno di origine bosniaca Mirsad Begic, uno dei più noti e apprezzati artisti del suo Paese. L’impegno ecumenico di Papa Giovanni Paolo II è ricordato con l’iscrizione Ut unum sint — Perchè tutti siano una sola cosa”, secondo il Vangelo di Giovanni.


    Nel suo intervento, il Nunzio Apostolico in Romania, l’Arcivescovo Francisco-Javier Lozano, ha reso omaggio al gigante Giovanni Paolo II, la somma autorità morale dei nostri tempi”.


    Papa Giovanni Paolo II è stato un buon amico della Romania, di questa nazione antica, ricca di storia e cultura. Era consapevole dell’importante ruolo della Romania nel dialogo tra la cultura orientale e quella occidentale, che arricchisce la famiglia di nazioni che è l’Unione europea. La Romania, bagnata dal maestoso Danubio, tra il mondo latino e quello bizantino, può diventare un punto di incontro e comunione, contribuendo al consolidamento della civiltà e dell’amore in Europa e nel mondo intero”, ha aggiunto il Nunzio Apostolico.


    Da parte sua, il sindaco di Bucarest, Sorin Oprescu, ha ricordato l’entusiasmo e l’amiczia espresse dai romeni durante la visita del Pontefice dal 7 al 9 maggio 1999. Definendolo il più necessario uomo della fine del 20esimo secolo, Sorin Oprescu ha sottolineato che Papa Wojtyla fu anche la persona che ha scosso la Cortina di ferro, cortina che è crollata anche grazie ai suoi sforzi”.


    Ha saputo dialogare, ascoltare, consigliare, insegnare, perdonare. Fu una persona di altissima sensibilità, con una volontà di ferro, in un mondo agitato dai cambiamenti. Papa Giovanni Paolo II ha concluso la visita in Romania, che ha chiamato il Giardino della Madonna, ripetendo le parole dei romeni — Unità, unità, unità”, ha detto il sindaco di Bucarest.


    Anche l’accademico Razvan Theodorescu ha evocato la storica visita di Papa Giovanni Paolo II a Bucarest, 12 anni fa, quando venne accolto dall’allora Patriarca della Chiesa Ortodossa Romena, Teoctist.


    Karol Wojtyla fu un grande amico della gente di tutte le fedi e un grande cittadino del mondo. Che la sua immagine raffigurata da questo busto ci ricordi sempre un eccezionale ospite di Bucarest, a giusta ragione diventato di recente Beato, che annuncia un Santo nel futuro prossimo”, ha sottolineato Razvan Theodorescu.


    I primi rapporti tra la Romania e la Santa Sede risalgono al Medioevo. Rilevante in tal senso è la corrispondenza tra la Santa Sede e i principi romeni. Nei secoli XIV-XV, i rapporti puntavano su un obiettivo comune: la lotta contro l’espansione ottomana e il desiderio del Vaticano di avere alleanze con gli Stati cristiani da queste parti dell’Europa.


    Notevole la corrispodenza tra Papa Sisto IV e il principe della Moldavia, Stefano il Grande, definito dal Sommo Pontefice come l’atleta di Cristo, in una lettera del 31 marzo 1475, dopo la vittoria del principe moldavo contro i turchi a Podul Inalt, il 10 gennaio dello stesso anno.


    Altrettanto rilevante la lettera di Papa Clemente VIII al principe Aron, con riferimenti particolari alla latinità dei romeni: “Siete i discendenti dei latini e degli italiani, e sicuramente, anche voi desiderate avere la gloria dei vostri antenati”. Lo stesso Sommo Pontefice definiva il principe della Valaccia, Michele il Bravo, come uno dei più bravi, forti, valorosi e saggi principi dei nostri giorni”.



    La Legazione della Romania presso la Santa Sede venne fondata il 1 giugno del 1920, con Dimitrie C. Pennescu, in veste di ambasciatore. Un ruolo notevole nei rapporti bilaterali svolsero anche gli ambasciatori Caius Brediceanu e Nicolae Petrescu-Comnen. Il 10 maggio del 1927 venne firmato il Concordato tra la Romania e la Santa Sede. Successiamente, nel 1938, i rapporti vennero elevati a livello di ambasciata, per tornare poi a quello di legazione nel 1940.


    Putroppo, dopo la fine della seconda Guerra mondiale, l’insediamento del regime ateista comunista in Romania ha colpito brutalmente i rapporti bilaterali. I cattolici di Romania sono entrati nella lunga notte delle persecuzioni, come ha ricordato il ministro degli esteri Teodor Baconschi.


    Nel 1946, l’allora Nunzio, Mons. Andrea Cassulo, fu dichiarato persona non grata dalle autorità comuniste, che denunciarono anche il Concordato, rompendo unilateralmente i rapporti diplomatici col Vaticano nel 1950. Tantissimi fedeli e preti cattolici subirono, insieme agli ortodossi maggioritari e ad altre confessioni, anni di carcere e persecuzioni del regime.


    Subito dopo la Rivoluzione anticomunista del 1989, i rapporti sono stati ripresi, il 15 maggio 1990. L’apice delle relazioni è stato raggiunto con la storica visita di Papa Giovanni Paolo II in Romania, dal 7 al 9 maggio del 1999.


    Da parte sua, a ottobre 2002, lallora Patriarca della Chiesa Ortodossa Romena, Sua Beatitudine Teoctist, ha reso visita in Vaticano.