Category: Agenda culturale

  • Dana Păpăruz, un’artista pluripremiata

    Dana Păpăruz, un’artista pluripremiata

    Dana Păpăruz ha iniziato la sua carriera come costumista all’inizio degli anni 2000, subito dopo essersi laureata alla Facoltà di Arti Decorative e Design dell’Università Nazionale di Belle Arti, e ha collaborato a numerosi film e centinaia di spot pubblicitari. “Oltre le colline” (di Cristian Mungiu), “La Gomera” (di Corneliu Porumboiu), RUXX (di Iulia Rugină e Octav Gheorghe), “Boss” (di Bogdan Mirică), “Ombre” (di Igor Cobileanski e Bogdan Mirică), “Warboy” (Marian Crișan) e “Lemonade” / “Luna de miere” (di Ioana Uricaru) sono alcuni di essi. Per i suoi successi, Dana Păpăruz è stata insignita di tre premi Gopo: nel 2016 e nel 2017 per i film diretti da Radu Jude, “Aferim!” e “Inimi Cicatrizate / Cuori cicatrizzati”, e nel 2019 per “Moromeții 2”, la seconda parte della trilogia “Moromeții / I Moromete”, diretta da Stere Gulea.

    I due film di Radu Jude, “Aferim!” e “Cuori cicatrizzati”, hanno rappresentato due grandi sfide per l’artista. Se la trama di ” Aferim!” (film insignito dell’Orso d’Argento per la regia al Festival di Berlino) è ambientata in Valacchia all’inizio del XIX secolo, “Cuori cicatrizzati” racconta la storia di un giovane affetto da tubercolosi ed è un libero adattamento dell’opera letteraria di Max Blecher. Dana Păpăruz: “Aferim!” è stato davvero difficile, penso che sia stato il progetto che mi ha aumentato in qualche modo il valore. In “Cuori cicatrizzati”, il budget era inferiore rispetto a “Aferim!” ed è stata una nuova sfida perché l’azione si svolge in un periodo totalmente diverso. È stata necessaria una stretta collaborazione tra i reparti trucco e scultura per creare i calchi indossati dai personaggi del film, che soffrivano di tubercolosi ossea e dovevano essere adagiati su letti mobili. E le loro vite erano piuttosto noiose, trascorse per lo più in sanatori e con movimenti limitati. La sfida più grande è stata che dovevo creare i costumi basandomi su questi calchi, quindi ho preso le misure e la maggior parte dei costumi di questo progetto sono stati creati dal mio team, pochissimi sono stati noleggiati. Almeno per il personaggio di Ivana Mladenovic, Solange, è stato investito molto, circa la metà del budget che avevamo, e sono stati creati dei cappelli molto speciali, compreso quello con l’uccello. Il periodo in cui si svolge la trama di “Cuori cicatrizzati” è il periodo tra le due guerre, molto attraente dal punto di vista della moda, quando c’era anche una sincronizzazione e il desiderio di adottare la moda europea. Tutti questi aspetti mi hanno aiutato a sfruttare al massimo la mia immaginazione. Inoltre, “Cuori cicatrizzati” è, in realtà, uno dei progetti in cui ho potuto giocare e ho apprezzato il fatto che Radu Jude volesse che io portassi delle idee audaci. E visto che parlavamo del cappello ad uccello indossato da Ivana Mladenovic, un esempio è proprio quel cappello. Ciò che mi ha ispirato a creare questo cappello è una copertina della rivista Vogue del 1939, copertina che ho mostrato al regista Radu Jude, il quale ha accettato la mia idea, quindi abbiamo cercato le opzioni per riuscire a realizzarlo. Ho documentato i costumi utilizzando tutto quello che ho trovato di quel periodo, riviste di moda, foto scattate da artisti romeni, ovviamente libri.”

    Un’altra collaborazione importante per la carriera di Dana Păpăruz è stata quella con il regista Cristian Mungiu, che l’ha assunta come costumista per il film “Oltre le colline”, uscito nel 2012. Scritto, diretto e prodotto da Cristian Mungiu, il film è ispirato ai romanzi di non-finzione della scrittrice Tatiana Niculescu e tratta il caso dell’esorcismo di una suora del monastero di Tanacu nella provincia di Vaslui. Dana Păpăruz: “In linea di principio, “Oltre le colline” non era stato annunciato come un film molto complicato in termini di costumi. Inoltre Cristian Mungiu solitamente ti dà tutta la libertà e aspetta che tu abbia delle proposte. Ma la parte complicata, che non ci aspettavamo, era data dal fatto che i personaggi indossavano costumi specifici ed è molto difficile documentare una cosa del genere sul posto, in un monastero, parliamo di un ambiente molto chiuso. Ma ho avuto la fortuna che le attrici nei ruoli protagonisti abbiano potuto trascorrere un po’ di tempo in un monastero, e questo ci ha aiutato molto a capire cosa significa la vita monastica. Così Dana Tapalăgă, che interpreta il ruolo della badessa del monastero nel film, ha cercato di scoprire dettagli che ci sono stati di grande aiuto, ad esempio come realizzare quel ricamo o come coprire la testa con il velo che le monache devono indossare permanentemente.”

    La più recente collaborazione di Dana Păpăruz è stata con il regista Stere Gulea, che ha lanciato alla fine dello scorso anno “Moromeții 3”, un film che conclude una trilogia, unica nel cinema romeno, basata sui romanzi e sulla vita dello scrittore Marin Preda.

    Dana Păpăruz: “È un film che spiega in modo profondo i cambiamenti che gli anni Cinquanta hanno portato in Romania. È anche un film in cui ci si mette molto cuore e molto lavoro. È stato un progetto molto impegnativo per me, non ho avuto un solo giorno libero durante le riprese, lavoravo anche a casa o rileggevo una nuova versione della sceneggiatura. È, allo stesso tempo, un film fresco dal punto di vista dei costumi, e penso che, soprattutto per gli spettatori più giovani, possa essere una storia sorprendente”.

    Vincitore del Premio del Pubblico al TIFF/Transilvania International Film Festival 2024, “Moromeții 3” è stato presentato in diversi festival cinematografici nazionali (TIFF, TIFF Chișinău, Romanian Film Nights – Iași, Film in Sat – Peștișani, TIFF Timișoara).

  • Nina Cassian torna all’editrice Casa Radio

    Nina Cassian torna all’editrice Casa Radio

    L’audiolibro (libro e CD) di grande successo “Dans / Danza”, con poesie lette da Nina Cassian, è stato ripubblicato dall’ editrice Casa Radio, in un’edizione sostanzialmente ampliata, con nuove poesie lette dall’autrice e un’intervista sull’opera e l’emigrazione, realizzata dal giornalista Emil Buruiană. Il nuovo audiolibro è stato realizzato in occasione del centenario della nascita di Nina Cassian nel 2024, e comprende 51 poesie lette alla radio da Nina Cassian tra il 1959 e il 2003. La prefazione è firmata da Cosmin Ciotloş e le illustrazioni da Tudor Jebeleanu. Saggista, traduttrice, compositrice e artista visiva, Nina Cassian proviene da una famiglia di origine ebraica. Durante l’adolescenza frequentò gli ambienti intellettuali di sinistra e a 16 anni aderì all’organizzazione della Gioventù Comunista, allora illegale, sognando “di salvare il mondo da tutti gli antagonismi fondamentali tra sessi, razze, popoli, classi”.

    Esordì nel 1947, con il volume di versi surrealisti “La scara 1/1 / A scala 1/1”, ma in seguito ad un attacco ideologico contro di lei, lanciato sul giornale Scânteia, iniziò gradualmente a scrivere poesie proletcultiste. “Dopo una deviazione di circa otto anni”, come lei stessa diceva, tornò alla poesia autentica e iniziò a scrivere anche letteratura per bambini. Come traduttrice realizzò eccezionali traduzioni di Shakespeare, Bertolt Brecht, Christian Morgenstern, Iannis Ritsos e Paul Celan.  “La storia di due cuccioli di tigre di nome Ninigra e Aligru”, una splendida poesia per bambini, le valse il Premio dell’Unione degli Scrittori Romeni nel 1969. Nel 1985, mentre si trovava negli Stati Uniti come visiting professor alla New York University, venne a sapere dell’arresto e dell’omicidio in carcere del dissidente Gheorghe Ursu, suo caro amico, nel cui diario confiscato dalla Securitate venivano menzionate le sue opinioni politiche, “evidentemente anti-Ceausescu”.

    Rimase in America mentre il suo appartamento in Romania fu confiscato e i suoi libri banditi e ritirati dalle biblioteche fino alla caduta del regime di Ceaușescu. Negli Stati Uniti pubblicò traduzioni di poesie scritte in romeno (“Life Sentence”), ma anche poesie scritte direttamente in inglese (“Take My Word for It!”, “Blue Apple” e “Lady of Miracles”), per le quali ottenne, nel 1994, il premio “Il Leone d’Oro” assegnato dalla New York Library. Trascorse gli ultimi 30 anni della sua vita a New York, dove scrisse le sue memorie, che considerava un “grande progetto della sua età e della sua vita”, specchio degli “anni rubati e regalati”. Intitolati “Memoria ca zestre / La memoria come dote”, i tre volumi sono apparsi in Romania tra il 2003 e il 2005.

    Il critico letterario Cosmin Ciotloş, curatore della recente edizione dell’audiolibro “Dans / Danza”, il regista Alexandru Solomon e lo scrittore Călin-Andrei Mihăilescu hanno partecipato alla presentazione organizzata dall’editrice Casa Radio. Cosmin Ciotloș ha parlato della longevità della poesia di Nina Cassian: “Ciò che mi ha interessato molto è quanto di Nina Cassian preserva la poesia romena di oggi. E quando dico oggi intendo un periodo lungo. Ha attirato la mia attenzione il fatto che, ad esempio, i numerosi giochi nella poesia di Florin Iaru abbiano debiti legittimi, belli e nobili nei confronti della poesia di Nina Cassian. Che le poesie di Mircea Cărtărescu dei volumi “O seară la operă / Una sera all’opera” e “Levantul / Il levante”, indirizzate a Ion Barbu, non vanno direttamente verso Ion Barbu, ma passano attraverso il filtro di Nina Cassian. Il che, ecco, è un atto di longevità. Mi ha colpito, d’altra parte, il fatto che i poeti molto giovani di oggi siano abbastanza in sintonia con la poesia di Nina Cassian. Ci sono alcuni giovani nei quali ho grande fiducia perché scuotono le acque troppo torbide e troppo veementemente viscerali della mia generazione di poeti a cui tengo, ma che non venero. Mi riferisco soprattutto a coloro che pubblicano sulla piattaforma Mafia Sonetelor / La mafia dei Sonetti, i giovanissimi Ioan Coroamă, Florentin Popa o Mihnea Bâlici, giovani nei confronti dei quali nutro speranze. Quindi penso che la nostra reazione a ciò che Nina Cassian ha lasciato di importante nella poesia debba essere lontana dalla semplice ammirazione cieca. È una poesia che va filtrata razionalmente, documentata quanto necessario, e al termine di questa documentazione, al di là delle posizioni etiche più o meno giudicabili, si può constatare che si tratta di una formula stilistica viva. Una formula stilistica ancora oggi produttiva, e ciò non è dovuto alla longevità di Nina Cassian, ma alla longevità dell’intelligenza di Nina Cassian.”

    Stabilitosi dalla fine degli anni ’80 in Canada, lo scrittore Călin Andrei Mihăilescu incontrò Nina Cassian per la prima volta nella località di 2 Mai, dove la scrittrice trascorreva le sue estati, poi, decenni dopo, a New York: “Questo è un audiolibro, quindi potete ascoltare Nina registrata alla radio tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni 2000. E posso dire che la voce di Nina Cassian è molto, molto alta se la collochiamo nel pantheon delle grandi voci romene. Era una voce educata. Era una voce estremamente intelligente, raffinata e allo stesso tempo erotica. Ho conosciuto meglio Nina a New York negli ultimi vent’anni della sua vita. Ad un certo punto andavo una volta al mese e facevo laboratori di scrittura creativa, a volte in romeno, a volte in inglese, a volte in entrambe le lingue. Facevo questi laboratori con Nina, che aveva una bottiglia di whisky della peggiore qualità, ma di solito da un litro, e beveva tanto. Ovviamente fumava più di me e, credetemi, io fumo tanto. Nina era una diva. Una diva che viveva in un condominio relativamente squallido a Roosevelt Island, un’isola situata sull’East River, dove Nina resistette alla tentazione di gettarsi, quindi non seguì l’esempio di Paul Celan o Gherasim Luca, che si suicidarono gettandosi nella Senna. Tutto era umido in quella zona tranne il suo appartamento, che era pieno di riviste, si potevano trovare molti numeri di Gazeta Literară e Romania Literară. C’era anche il famoso Paris Match del 1968, che raccontava della visita del generale de Gaulle a Bucarest.

    Molto emozionante anche l’evocazione del regista Alexandru Solomon, che durante la presentazione ha proiettato anche un video realizzato da lui quando era adolescente. Nelle immagini girate a Vama Veche, sono colte Nina Cassian e la madre della regista, la pittrice e insegnante di storia dell’arte Yvonne Hasan, insieme al gruppo di artisti di cui facevano parte.

  • L’evento teatrale “Horror Vacui”

    L’evento teatrale “Horror Vacui”

    L’evento teatrale più lungo del mondo si è svolto a Bucarest, dal 15 al 22 febbraio, presso la Galleria d’Arte Galateca nel centro della capitale – 7 giorni, 24 ore su 24, 505 attori (3 attori all’ora), 505 testi sul vuoto e l’abbandono – il progetto “Horror Vacui” (tradotto come fobia del vuoto), una prima teatrale a livello mondiale realizzata con il sostegno del Museo dell’Abbandono e di Papercuts – un’iniziativa per il cambiamento civico.

    Questa rappresentazione teatrale si è proposta di realizzare una mediazione emozionale e allo stesso tempo di invitare al riconoscimento di una parte del passato traumatico della Romania: l’abbandono dei bambini nel nostro Paese e la storia di questo fenomeno nel periodo comunista prima del 1989 e in quello post-comunista. Oltre 1 milione di bambini sono stati abbandonati durante il regime comunista, diventando vittime del sistema che li ha trasformati in “figli di nessuno”. Un’iniziativa che mira a incoraggiare il cambiamento sociale attraverso una maggiore resilienza culturale e civica.

    L’attore, drammaturgo e iniziatore del progetto “Horror Vacui”, Alexandru Ivănoiu, ci ha raccontato che cosa ha ispirato questo progetto: “Una domanda che mi è stata fatta molto spesso ultimamente. Con ogni rappresentazione, mi sembra di trovare una nuova risposta. Oggi mi sono reso conto che ho creato questa performance anche affinché i miei colleghi attori siano più uniti, arrivino a vedersi al di là forse di una sorta di differenza estetica o politica tra noi. Ero curioso, credo, anche di vedere se possiamo riunirci almeno 500 attorno a un unico progetto, attorno a un’idea. In un periodo in cui mi sembra che sia così facile trovare differenze ed è ancora più facile trasformare quelle differenze in ragioni molto forti per non stare con qualcuno o evitare qualcuno al lavoro. E credo che proprio come viene esplorata l’intera dimensione dell’abbandono in ogni storia, e così come esploriamo anche l’opposto dell’abbandono, credo che così esploriamo anche noi, artisti, formati nuovi e momenti in cui è più importante quello che facciamo insieme che quello che facciamo individualmente.”

    I testi utilizzati nello spettacolo-evento “Horror Vacui” si basano su testimonianze e racconti archiviati dal Museo dell’Abbandono o su testi di autori contemporanei. Questi tracciano una meditazione collettiva sul riconoscimento del passato e sulla ricostruzione del futuro. Inoltre, questa iniziativa mira a creare uno spazio intimo e continuo di dialogo per cercare soluzioni.

    Alexandru Ivănoiu ci racconta quali dati sono stati alla base di questo progetto: “Possiamo parlare almeno di 253 esempi, testimonianze, foto, materiali, che il Museo dell’Abbandono ci ha offerto per essere inclusi in “Horror Vacui”, assieme al resto degli elementi su cui abbiamo basato questa performance. Sono testi scritti da autori contemporanei, testi donati e testimonianze donate da altre ONG o altri attori sociali e culturali che lottano contro l’abbandono. Ringraziamo e siamo profondamente grati al Museo dell’Abbandono perché sulla base del loro lavoro d’archivio siamo riusciti a dare vita a questo spettacolo.”

    Quali sono state le sfide più grandi che il progetto ha dovuto affrontare? “Le principali sfide, ovviamente, sono state quelle legate al programma. È molto difficile far coincidere i programmi di 500 attori e molto spesso, vista la grandezza di questo progetto, il tempo era limitato, ma allo stesso tempo il paradosso è che non credo che ci fosse un tempo migliore. Quindi riunire 500 attori in due mesi è molto difficile, ma non impossibile.”

    Qual è stato l’obiettivo degli organizzatori con il progetto “Horror Vacui”, ce lo dice il suo promotore, Alexandru Ivănoiu: “Ciò che vogliamo ottenere con questo approccio è principalmente, alla fine, un cambiamento legislativo. Dovrebbe esserci una commissione per documentare e indagare sui fatti di abuso contro i bambini istituzionalizzati dal 1966 fino al 2007, cosa che noi Papercuts, il Museo dell’Abbandono e molte altre ONG chiediamo formalmente. Vogliamo fare una ricerca per avere un documento in cui sia precisato esattamente quanti, chi e come. Perché crediamo che solo sulla base di questo documento si possa generare un cambiamento. E fino a compensi o altri cambiamenti e mezzi punitivi, penso che un riconoscimento sia il passo più grande verso la guarigione, ed è così semplice farlo.”

    Alexandru Ivănoiu ci ha parlato anche di coloro che hanno partecipato alla realizzazione del progetto teatrale e allo stesso tempo della reazione del pubblico al progetto “Horror Vacui”: “In generale, le persone che hanno partecipato al progetto hanno risposto molto positivamente. Voglio dire, abbiamo beneficiato di una rete di volontari e attori aperti, che hanno anche trasmesso informazioni, hanno parlato bene dell’idea e penso che, a loro volta, siano, accanto a noi, messaggeri della missione che abbiamo. La reazione del pubblico è molto bella. Penso che la cosa più bella sia che abbiamo pubblico alle 5 del mattino, alle 4 del mattino. Le persone si svegliano per vedere i loro amici, familiari, colleghi e poi restano per vedere gli altri. Succede anche di notte. Si crea una piccola comunità, è una cosa molto speciale.”

  • Archeologia digitale

    Archeologia digitale

    Dall’estate scorsa fino alla fine di febbraio di quest’anno, al Museo del Municipio di Bucarest, nella sede al Palazzo Suțu, è ospitata la mostra “Archeologia digitale. Il passato medioevale di Bucarest da una prospettiva ceramica”. La mostra presenta un affascinante viaggio virtuale nel passato della capitale, nella città di Bucarest dal XV fino al XIX secolo. Una nuova comprensione del modo in cui si svolgeva la vita quotidiana e l’evolversi della città di Bucarest.

    Della mostra e del progetto che è stato alla sua base ci ha parlato Alina Streinu, la curatrice della mostra: “La mostra è nata come parte di un progetto co-finanziato dall’AFCN, con lo stesso tema: la storia medioevale di Bucarest da una prospettiva ceramica. Il progetto è stato realizzato in partenariato con colleghi dell’Istituto Nazionale del Patrimonio e il suo obiettivo è stato di mettere in risalto le scoperte archeologiche fatte in contesti archeologici di zone emblematiche di Bucarest. Abbiamo scelto dal patrimonio del Museo del Municipio di Bucarest i vasi che abbiamo ritenuto rappresentativi, provenienti da questi siti urbani e che, secondo noi, rilevano qualcosa della vita domestica dei bucarestini nei secoli XVII, XVIII e XIX.”

    Che tipi di vasi sono stati rinvenuti durante gli scavi archeologici che sono stati alla base della mostra al Museo del Municipio di Bucarest? Qual è la loro provenienza e che informazioni portano? “In occasione dello svolgimento del progetto, abbiamo notato che la maggior parte dei vasi, degli oggetti ceramici rinvenuti, sono principalmente da cucina, vasi per cucinare e per mangiare. La ceramica da cucina è, ovviamente, abbastanza uniforme, si assomiglia da molti punti di vista. Però si notano alcune differenze molto interessanti, a nostro avviso, per quanto riguarda i vasi di ceramica per mangiare. Ad esempio, abbiamo le brocche che assomigliano molto a quelle utilizzate nell’Impero Ottomano. Abbiamo delle pinte di birra che assomigliano molto a quelle usate nello spazio tedesco. Abbiamo vasi di acqua minerale e altri piccoli oggetti importati, risultati in seguito ai rapporti commerciali tra i Principati Romeni e le grandi potenze commerciali dell’epoca.”

    Alina Streinu ci ha raccontato anche della componente digitale della mostra al Palazzo Suțu, ovvero il sito mmb.cimec.ro, il catalogo digitale delle ricerche archeologiche legate alla ceramica rinvenuta sul territorio della capitale. Le ricerche archeologiche svolte dal Museo sono iniziate negli anni ‘50 e continuano ancora, portando alla luce oggetti che completano la storia scritta della città di Bucarest. Alina Streinu: “Il progetto e la mostra sono connessi anche al lancio del sito mmb.cimec.ro, dove sono presentati i risultati di questo progetto. Sono immagini dei 300 oggetti ceramici del patrimonio del Museo del Municipio di Bucarest, di cui 150 sono stati scansionati in 3D dai colleghi dell’Istituto Nazionale del Patrimonio e abbiamo persino postato online su questo sito immagini dell’archivio del Museo del Municipio di Bucarest con le ricerche archeologiche degli anni ‘50, ‘60, ‘70 realizzate in questi punti di riferimento archeologico di Bucarest.”

    Sempre la curatrice Alina Streinu ci ha detto qual è stato l’intento con il quale è stata realizzata la mostra “Archeologia digitale” presso il Museo del Municipio di Bucarest: “Una delle principali idee del progetto e della mostra è stata quella di attirare un nuovo pubblico, motivo per cui abbiamo utilizzato anche queste nuove tecniche di valorizzazione del patrimonio, come la tecnologia 3D di promozione del patrimonio. Utilizzando queste nuove tecniche che ci sembrano assai importanti per documentare correttamente e coerentemente gli oggetti di patrimonio, sfiorando questi nuovi settori, possiamo attirare anche un pubblico più giovane. Alla fine del progetto abbiamo avuto addirittura un workshop alla Facoltà di Storia, in cui abbiamo presentato tutti i materiali che hanno fatto parte di questo progetto espositivo, e i colleghi più giovani, gli studenti, sono stati estremamente interessati a questa parte 3D, hanno voluto sapere come sono stati realizzati i modelli 3D e tutto il processo di elaborazione. Quindi esiste un reale interesse dei giovani specialisti. Speriamo che rimangano a lavorare nel settore e che possiamo collaborare in futuro per l’evoluzione e lo sviluppo di queste tecniche di documentazione e promozione del patrimonio.”

    Alla fine della nostra chiacchierata, Alina Streinu ha passato in rassegna i siti archeologici della capitale dai quali provengono gli oggetti in mostra: “Gran parte dei vasi digitalizzati ed esposti online e nella mostra, che può ancora essere visitata al Palazzo Suțu, provengono dalle ricerche realizzate nel perimetro delle strade in cui attualmente si trova il Centro Vecchio, il centro storico di Bucarest, ricerche coordinate in gran parte dagli archeologi del Museo del Municipio di Bucarest, ma anche altre ricerche in zone come il Palazzo Cotroceni, il Colle Radu-Vodă e la Chiesa di San Nicola Udricani.”

  • “La morte di Iosif Zagor”, un documentario premiato

    “La morte di Iosif Zagor”, un documentario premiato

    Vincitore del premio-menzione all’Astra Film Festival di Sibiu e proiettato in apertura al Festival One World Romania, La morte di Iosif Zagor, il documentario di debutto del regista Adi Dohotaru, è uno dei più commoventi film romeni dell’anno scorso. Il film racconta la storia del videografo Iosif Zagor che documenta i suoi ultimi quattro anni di vita, la solitudine e la malattia, parlando delle sue paure di essere cacciato via da tre luoghi diversi in cui ha vissuto in condizioni precarie la sua vecchiaia.

    Iosif Zagor ha utilizzato la sua vecchia telecamera per riprendere scene della propria vita e di altre persone in abitazioni sociali. Il principale tema del documentario, l’abitazione, è guardato attraverso la vulnerabilità, presentando il contesto problematico in cui l’accesso delle persone vulnerabili o emarginate alle abitazioni diventa sempre più difficile. Inoltre, il film parla anche dei processi di evacuazione di queste persone e dei modi abusivi in cui questi si svolgono. Il film si propone di dare voce al protagonista, Iosif Zagor, e di creare un contesto di auto-presentazione, sostenendo che bisogna dare spazio alle persone vulnerabili affinché possano raccontare la propria storia e diventare visibili. Adi Dohotaru: “Nel 2017, alcuni amici della Società civile mi hanno presentato la situazione di alcune persone a rischio di evacuazione. C’erano circa 50 persone in questa situazione. Allora ho incontrato Iosif Zagor e i suoi vicini. Iosif aveva una vecchia telecamera, piena di polvere, di quelle a cassetta, e che non aveva utilizzato più da parecchio tempo. L’ho pregato di riprendere immagini della situazione sua e dei vicini, di modo che possiamo rendere noto il loro problema sia alle autorità che all’opinione pubblica. Però allora non siamo riusciti a evitare l’evacuazione. Tuttavia, l’abbiamo rinviata per un certo periodo, almeno quelle persone non sono state cacciate via d’inverno. Come risulta anche dal documentario, ho mantenuto i contatti con Iosif Zagor e con una parte dei suoi vicini e nel tempo si è creato un legame tra di noi. Visionando le videocassette da lui registrate e parlando dei suoi problemi e di altre persone nella sua stessa situazione, siamo diventati amici. E così abbiamo pensato nel tempo di realizzare un film in cui dare voce e persone vulnerabili come loro.”

    Adi Dohotaru, che esordisce con questo documentario, è un praticante della metodologia dell’Azione Partecipativa e nei suoi progetti ricorre alla tecnica dell’Antropologia Performativa per mettere in risalto i propri collaboratori. Compone leggi e poesie, fa ricerca civica e ambientale. “Ho realizzato la regia del film ‘La morte di Iosif Zagor’ perché ho fallito. Come attivista, come ricercatore o come politico, ho proposto, assieme ad altri esperti, attivisti e persone vulnerabili che ho incontrato, delle politiche pubbliche attraverso le quali le autorità investono in abitazioni sociali. La media nell’UE delle abitazioni sociali e accessibili è un po’ sotto il 10%, ma in Romania è ancora più bassa: dell’1%”, ha affermato il regista del film Adi Dohotaru: “In Romania la situazione è veramente molto peggiore rispetto alla media europea. Un grosso problema è che dopo il 1989, lo sappiamo tutti, le abitazioni pubbliche sono state privatizzate. Una politica alternativa, di sostegno a queste persone, sarebbe stata di mantenere molte più abitazioni pubbliche. In tal modo, avremmo dato una chance alle persone vulnerabili, agli anziani o alle donne che cercano di liberarsi da matrimoni abusivi. In tal modo, diverse categorie vulnerabili sarebbero state aiutate tramite politiche di questo tipo. Purtroppo, non è successo così. Le riserve di abitazioni pubbliche sono state privatizzate e non sono state costruite altre, com’è successo nell’Occidente. E vorrei precisare che si registra una tendenza internazionale negli ultimi decenni in questo senso, persino nell’Europa occidentale le riserve di abitazioni pubbliche sono diminuite. Alla fine, perché si è ritirato lo stato da queste politiche pubbliche? Abbiamo uno stato neoliberale, che nella maggior parte dei casi non incoraggia le politiche sociali e ambientali. Perciò, alcuni settori, come l’abitazione, non sono regolamentati dallo stato. Se e come possono essere cambiate queste cose, è un discorso lungo. In fin dei conti, nel film faccio vedere le situazioni attraversate da queste persone, in cui lo stato è quasi del tutto assente, oppure molto poco presente. Come dicevo, questa situazione non caratterizza solo la Romania, si nota a livello generale. Stiamo vivendo in un contesto molto competitivo, individualista, ognuno si arrangia da solo e allora ci manca il tempo necessario per essere sensibili ai problemi altrui, essendo già oberati dai propri problemi. In questo senso, dobbiamo lavorare molto non solo come individui, ma anche come società. E affinché le cose cambino c’è bisogno di movimenti sociali e politici che sollevino problemi del genere. E al momento, un’agenda interessata al tenore di vita degli altri, all’abitazione non è molto diffusa a livello dei partiti mainstream.”

    Il documentario è realizzato da Adi Dohotaru, prodotto da Monica Lăzurean-Gorgan attraverso la casa di produzione Filmways, in coproduzione con SOS – Società Organizzata in modo Sostenibile, co-produttori Adi Dohotaru e Radu Gaciu. Il montaggio è firmato da Alexandru Popescu. Il film è sostenuto dal Programma di Master nel Film Documentario della Facoltà di Teatro e Cinema dell’Università “Babeș-Bolyai” di Cluj-Napoca.

  • Il Festival Internazionale FILMIKON

    Il Festival Internazionale FILMIKON

    La seconda edizione del Festival Internazionale FILMIKON ha proposto una selezione di film premiati lungo gli anni da giurie ecumeniche e interreligiose in più di 30 festival cinematografici nel mondo, ma anche un dialogo sui valori cristiani e umani a partire da queste produzioni. Se la prima edizione di FILMIKON si è svolta a Bucarest nel 2024, la seconda edizione si è ampliata e ha avuto luogo a Iași, Cluj-Napoca, Oradea e al Vaticano, come parte del programma dell’Anno Giubilare 2025.

    Abbiamo parlato con Ileana Bârsan, critica e direttrice di FILMIKON, dei valori che stanno alla base dei film in programma al festival e del significato del Premio della Giuria Ecumenica che viene assegnato ai lungometraggi in concorso a festival cinematografici internazionali del mondo, come Cannes o Berlino: “La denominazione del premio può far pensare che i rispettivi film abbiano un legame molto stretto con la religione, ma queste produzioni non si rivolgono solo a persone che hanno uno stretto legame con la chiesa. La giuria ecumenica è composta da specialisti nominati da SIGNIS (Associazione Cattolica Mondiale per la Comunicazione) e Interfilm (organizzazione internazionale del cinema interreligioso) e il premio è un premio indipendente che viene assegnato ai film di questi festival internazionali che mettono in risalto i valori umani e cristiani, valori che abbiamo un po’ perso all’inizio di questo secolo. Ci sono alcuni film che cercano di renderci un po’ più attenti agli altri, che per mancanza di tempo, interesse, generosità, a volte perdiamo. Sono film che raccontano storie particolari ma che alla fine trasmettono un messaggio universale. Questo è stato l’obiettivo del festival FILMIKON, portare i film premiati dalle giurie attente a questi temi o sfumature, film che possiamo offrire al pubblico romeno e creare discussioni, persino preoccupazioni che vanno oltre la sala cinematografica. È molto importante che queste storie cinematografiche riescono a sfumare le questioni e i temi seri che di solito sentiamo nei notiziari. Ecco perché, attraverso questi film, in qualche modo cominciamo a porci qualche domanda e a guardare un po’ noi stessi, anche a chiederci cosa possiamo fare qui, nella nostra comunità, ecc. Perché a livello globale o, infine, a livello politico, in generale, siamo piccoli e non possiamo controllare queste cose, ma possiamo controllare ciò che ci circonda.”

    Per la prima volta, dal 2024, il Festival Internazionale del Film Transilvania TIFF ha istituito una giuria ecumenica, di cui Ileana Bîrsan ha fatto parte come membro. “Summer Brother” con la regia di Joren Molter, l’inquietante storia di due fratelli, film insignito del Premio della Giuria Ecumenica al TIFF 2024, ma anche l’avventura “Io, Capitano” di Matteo Garrone, che ha vinto il Premio SIGNIS, a Venezia nel 2023, un’odissea contemporanea che supera i pericoli del deserto, gli orrori dei centri di detenzione libici e le insidie del mare, sono stati inseriti in questa seconda edizione del Festival Internazionale FILMIKON. Filmikon ha presentato anche una selezione di film romeni che affrontano temi attuali o raccontano storie di personaggi reali, che possono servire da modello. Ileana Bârsan, la direttrice di FILMIKON: “«Unde merg elefanții / Dove vanno gli elefanti» è un film romeno realizzato da Gabi Virginia Șarga e Cătălin Rotaru, un film che ha ricevuto una Menzione Speciale della Giuria Ecumenica, al TIFF 2024. È la storia di un bambino circondato da adulti più sciocchi e più perduti nella propria vita di lui. Questo bambino, che ha un problema di salute, è pieno di speranza e serenità e così pieno di vita che in qualche modo riesce a trasformare la vita degli altri. In programma c’è stato anche il cortometraggio «Pisica moartă / Il gatto morto / Dead Cat” (diretto da Ana-Maria Comănescu), che ha vinto il Premio SIGNIS, al TIFF 2024. «Un munte de iubire / Una montagna di amore / A mountain of love”, un altro film romeno proiettato al FILMIKON, un film molto recente, realizzato alla fine del 2024, è diretto dal sacerdote Dan Suciu e ha Bogdan Slăvescu come direttore della fotografia. È un film omaggio a un prete un po’ diverso, purtroppo morto, Florentin Crihălmeanu. È stato anche vescovo greco-cattolico di Cluj-Gherla dal 2002 al 2021. Dico che è stato un prete atipico, non solo perché era molto legato alla gente, soprattutto ai giovani, che lo consideravano una guida spirituale, ma era anche molto appassionato di alpinismo, quindi il film racconta il suo rapporto con la gente e la montagna. E l’ultimo film romeno dell’edizione FILMIKON 2, realizzato nel 2019, «Cardinalul / Il cardinale / The Cardinal» di Nicolae Mărgineanu, è un film sulla vita del vescovo Iuliu Hossu. Un cardinale greco-cattolico che ha significato molto per la storia della Romania, un eroe della Grande Unione, imprigionato nel carcere di Sighet e morto durante gli arresti domiciliari. Stiamo parlando di un percorso di martirio, purtroppo non unico in quel periodo.”

    Il cine-concerto Christus e il film Il Cardinale sono stati presentati anche al Vaticano, nell’ambito del programma dell’Anno Giubilare 2025, in occasione del Giubileo delle Comunicazioni Sociali, svoltosi dal 24 al 26 gennaio. L’istituzione di un anno giubilare è una tradizione cattolica di oltre 700 anni, che si ripete una volta ogni 25 anni.

  • I primi Cantacuzino nel patrimonio del Museo del Municipio di Bucarest

    I primi Cantacuzino nel patrimonio del Museo del Municipio di Bucarest

    Il Museo del Municipio di Bucarest (MMB) propone al pubblico una nuova mostra documentaria presso la sede del Palazzo Suțu nel centro della capitale: “I primi Cantacuzino nel patrimonio del Museo del Municipio di Bucarest”. La curatrice della mostra, Mihaela Rafailă del Dipartimento di Storia Moderna e Contemporanea del Museo ci ha parlato dell’intento di organizzare questa mostra: “Tramite la mostra temporanea intitolata “I primi Cantacuzino nel patrimonio del Museo del Municipio di Bucarest”, ho voluto presentare al pubblico alcune scritte redatte su carta o pergamena, in slavo ecclesiastico e romeno, con caratteri cirillici, in cui i membri di questa importante famiglia sei secoli XVII-XVIII vengono menzionati come testimoni, tramite gli incarichi ricoperti nel Consiglio Principesco, ma anche tramite gli atti di compravendita che hanno firmato lungo il tempo oppure gli atti o gli ordini che hanno emanato, com’è il caso dei principi Șerban e Ștefan Cantacuzino.”

    Il primo degli alti funzionari, uomini di cultura e persino voivoda che ha fatto parte di questa famiglia principesca della Valacchia fu il postelnic (consigliere del principe) Constantin Cantacuzino (nato nel 1598 e assassinato nel 1663), personalità centrale della mostra presso il Museo del Municipio di Bucarest. Particolari da Mihaela Rafailă: “In seguito al matrimonio con la principessa Elina o Ilinca, come era chiamata a casa, la figlia minore del voivoda Radu Șerban, Constantin Cantacuzino iniziò a salire nella gerarchia della Valacchia. Oltre all’eredità personale ereditata e accumulata, egli beneficiò della dote di sua moglie, fatto che gli permise di apparentare i suoi 11 figli, sei maschi e cinque femmine, con le più agiate famiglie di boiardi della Valacchia e della Moldavia. Con un’istruzione speciale, il postelnic Constantin Cantacuzino fu anche un grande amante dei libri. Con numerosi rapporti economici e diplomatici, beneficiando anche del rispetto dei turchi, Cantacuzino fu considerato all’epoca il consigliere di fiducia del principe Matteo Bessarabo, essendo una personalità dominante della politica romena nel corso del XVII secolo.”

    Mihaela Rafailă ci ha presenato brevemente la moglie dell’alto funzionario, Elina Cantacuzino (1611-1687): “A suo turno, Elina dimostrò di avere qualità particolari: perdonò coloro che avevano ucciso il marito, fu tenace nel salvare la casa dopo la scomparsa della colonna della famiglia, prudente nel dividere il patrimonio tra i suoi figli, amorosa con i figli, ai quali consigliava con delicatezza di andare d’accordo come fratelli, e coraggiosa nel viaggio in Terrasanta.”

    Che documenti importanti per la storia di questa famosa famiglia romena porta la mostra di fronte ai visitatori? “Nella mostra, il fondatore della famiglia Cantacuzino in Valacchia, Constantin Cantacuzino, è menzionato per la prima volta nell’atto dell’8 giugno 1626 in qualità di testimone del Consiglio Principesco, occupando la carica di mare postelnic / grande consigliere.”

    La mostra “I primi Cantacuzino” porta davanti al pubblico tre volumi importanti per la storia della cultura romena. La mostra mette un accento particolare sulla “Bibbia di Bucarest”, conosciuta anche col nome di “Bibbia di Șerban Cantacuzino” – la prima traduzione completa della Bibbia in lingua romena, pubblicata nel 1688. Particolari da Mihaela Rafailă: “Nella mostra sono esposti anche tre libri stampati su ordine e a spese del principe Șerban Cantacuzino nel 1682. “Il Santo Vangelo stampato secondo le regole del Vangelo greco”, poi la Bibbia, conosciuta anche col nome di “La Bibbia di Bucarest”, e “La storia politica e geografica della Valacchia”, il cui autore fu individuato dal grande storico Nicolae Iorga nella persona di Mihai Cantacuzino. Tornando alla “Bibbia di Bucarest”, questa rappresenta la prima traduzione integrale del Vangelo, fatta per ordine del “Buon Cristiano e Illuminato nostro principe il voivoda Ioan Șerban Cantacuzino”. Fu stampato su carta filigranata. Le copertine sono di tavole di legno con fodera in cuoio, decorata con pressatura a caldo. La stampa della Bibbia rappresentò una tappa importante nel processo tramite cui la lingua nazionale fu imposta come lingua liturgica, essendo allo stesso tempo anche un momento di riferimento dell’arte tipografica della Valacchia. Questa ha fissato definitivamente la strada che avrebbe seguito la lingua ecclesiastica scritta. La Bibbia conobbe una larga diffusione nei Principati Romeni, Valacchia, Moldavia e Transilvania, e arrivò addirittura in Polonia una copia essendo regalata all’ex metropolita Dosoftei, che era in esilio. Un’altra copia arrivò nelle mani del Papa Benedetto XIV, e al momento si conserva presso la Biblioteca dell’Università di Bologna. La copia esposta circolò in Transilvania, nelle province di Alba e Hunedoara.”

  • Book.art.est

    Book.art.est

    Il 2025 inizia con l’avvio del progetto culturale “Book.art.est” – una mostra internazionale e multidisciplinare dedicata al libro come oggetto d’arte. La mostra si svolge alla Galleria Calderon Art Studio, nel centro della capitale, a partire dal 15 gennaio fino all’8 febbraio. Ci ha parlato della mostra Andreea-Eliza Petrov, da parte degli organizzatori della Cellula d’Arte: “La mostra «Book.art.est» è un progetto internazionale dedicato al libro artistico, guardato non solo come portatore di testo, ma anche come oggetto d’arte unico, ispirato all’arte sperimentale. Questo tipo di libro avvicina l’estetica visiva ad approcci concettuali e può offrire a chi guarda un’esperienza che supera la lettura classica. Il pubblico potrà esplorare una gamma variegata di interpretazioni del concetto di libro-oggetto qui, a Bucarest, essendo invitato a vedere il libro come medio artistico complesso in un’ipostasi artistica.” 

    Quali sono il concetto e l’obiettivo di questo progetto? “Book.art.est” mira a esplorare il libro come componente fondamentale della cultura e a mettere in risalto le sue valenze come simbolo culturale ed estetico, stimolando l’interesse del pubblico per la lettura e per l’arte, l’esplorazione del testo scritto e la sua comprensione come espressione sincretica. La mostra si propone di provocare la percezione del pubblico su quello che significa un libro, ma anche l’arte in sé, superando i loro confini formali.”

    Come possiamo guardare il libro nella proposta di “Book.art.est”, il libro come oggetto d’arte, ce lo dice Andreea Petrov: “Un libro è un’opera d’arte in sé, non solo un supporto per trasmettere informazioni. La sua forma rappresenta una parte integrante del suo concetto, essendo creato per diversi motivi. Ogni elemento, le parole, le immagini, la struttura, il metodo di stampa, la spillatura, i materiali utilizzati, dai tessili, alla carta, fino al marmo, ad esempio, e addirittura il sistema di chiusura del libro, svolgono un ruolo importante nella trasmissione del messaggio in generale. È interattivo, portabile e facile da condividere. Può essere considerato un mezzo per rendere l’arte più accessibile alle persone fuori dai contesti formali delle gallerie o dei musei. Questo tipo di oggetto librario si è evoluto molto lungo il tempo, ispirandosi a movimenti avanguardisti come il dadaismo, il costruttivismo e il futurismo.”

    Andreea Petrov ci ha parlato anche degli artisti partecipanti alla mostra e dei libri-oggetti proposti da loro: “Vi partecipano diversi artisti, pittori, scultori, illustratori, tipografi, scrittori e poeti. “Book.art.est” si propone di sostenere le nuove generazioni di artisti, incoraggiando l’esposizione di opere di artisti emergenti accanto ad artisti affermati. Gli artisti provengono dalla Romania, ma anche dalla Polonia – la mostra include opere degli studenti dell’Accademia d’Arte di Wrocław. Si fanno notare installazioni, illustrazioni, quaderni di schizzi, album fotografici, collage, libri con diversi interventi cromatici e non solo. I curatori della mostra saranno Evghenia Gritsku e Daniel Loagăr, che sono anche espositori.”

    Gli artisti sono stati selezionati in seguito ad una open-call. Particolari da Andreea Petrov della Cellula d’Arte: “La open call ha avuto in primo luogo un ruolo molto importante nell’attirare gli artisti partecipanti, che appartengono a una vasta gamma di specializzazioni. La selezione degli artisti ha rappresentato una sfida poiché la nozione di libro-oggetto è abbastanza vasta. Le opere degli artisti selezionati includono molteplici e complesse valenze del concetto di libro-oggetto, essendo però simultaneamente e molto chiaramente associate a tale concetto.”

    Che altri eventi propone “Book.art.est”? “Sono stati fissati nove eventi connessi nell’ambito del “Book.art.est”, che iniziano con un recital di poesia di Dar-avere in programma il 15 gennaio. Seguiranno una conferenza sui diritti d’autore nell’arte, un workshop di poesia dadaista, un workshop di collage, una performance, due masterclass sulla lettura pubblica e sul discorso pubblico, passeggiate nella comunità con audiolibri e una presentazione dei libri oggetto da una prospettiva editoriale. Perciò vi aspettiamo con grande piacere, così avrete l’occasione di godervi tutte queste attività organizzate nell’ambito dell’evento.”

    Il progetto “Book.art.est” è l’inizio di un progetto che promuove la lettura in spazi non-convenzionali, avviato dalla Società di Lettura Intermittente „Macondo” (SLIM). Particolari sull’iniziativa da Mircea Laslo rappresentante della SLIM: “La società di lettura intermittente “Macondo” parte dal desiderio di creare un book club, un club di lettura diverso, in cui non siano necessarie liste di lettura prestabilite e termini limite, e soprattutto dal desiderio di prendere la parola nel pubblico ed esprimere le proprie opinioni critiche sul libro letto. Tutte queste sono cose che le persone che frequentano il club di lettura cercano spesso, ma molti sono intimiditi. Loro associano la lettura ad attività che provocano ansia e abbiamo voluto creare un quadro in cui la lettura viene associata a cose quotidiane, che non richiedono una pianificazione, alle quali non pensiamo negli stessi termini in cui ci avviciniamo alla lettura, spesso come se fosse una questione molto più seria di un sacco di altre cose che facciamo quotidianamente.”

  • “Vis. Viață”, un documentario di Ruxandra Gubernat

    “Vis. Viață”, un documentario di Ruxandra Gubernat

    Con esperienza in progetti sociali e cinematografici di grande impatto, la regista Ruxandra Gubernat riesce a cogliere con empatia il modo in cui i giovani si relazionano con il mondo che li circonda e affrontano le sfide, nonché il modo in cui costruiscono la propria identità in una società in continuo cambiamento. Le riprese sono durate quattro anni e hanno colto l’evoluzione dei protagonisti che hanno attraversato un periodo di dura transizione, compresi i due anni di pandemia in cui le lezioni si sono svolte online e le persone sono state costrette a isolarsi. Ospite a RRI, Ruxandra Gubernat ci ha raccontato come è nato il suo interesse per la Generazione Z e come ha documentato l’argomento: “La mia carriera si è svolta tra la Romania e la Francia, dove ho vissuto per 7 anni. Tra il 2008 e il 2015 sono andata a studiare in Francia, ma sono tornata. E poi ho capito che mi erano rimaste molte domande relative a questa opzione di lasciare la Romania. Ovviamente sapevo che ci sono molte persone che lasciano la Romania per vari motivi. Potrebbero esserci ragioni economiche, come è successo con chi ha scelto di partire alla fine degli anni ’90, all’inizio degli anni 2000. Altri hanno scelto di partire dopo l’adesione all’UE, perché era diventato molto più facile emigrare e studiare in un altro Paese, come è stato il mio caso. Infine, per molti è stato anche il bisogno di conoscenza, uno dei motivi che ho scoperto nella generazione Z. È così che ho iniziato a pormi sempre più domande su questa generazione e sulle sue opzioni, a chiedermi se la maggior parte di loro sceglierà di andarsene o di restare in Romania. Ho poi letto molti studi da cui emergeva che molti giovani, circa l’80%, stavano pensando di partire e oltre il 25% lasciavano effettivamente la Romania. È così che ho iniziato la mia ricerca, scendendo sul campo e iniziando a parlare ai giovani. Sono andata a Timișoara, Cluj, Bacău, Brașov, Ploiești, Bucarest, Târgu Jiu e sono entrata in contatto con adolescenti molto diversi e dicevano di voler lasciare il Paese. In questo contesto abbiamo iniziato le riprese.”

    Mentre si fanno piani per lasciare la Romania dopo aver finito il liceo, Una – attrice, Habet – trapper e Ștefania – attivista ambientale, si ritrovano intrappolati tra drammi e dilemmi legati al futuro. Il documentario di Ruxandra Gubernat li segue nei rapporti con la famiglia, la scuola e la società. Ruxandra Gubernat, con particolari su come ha scelto i tre adolescenti dopo aver realizzato un’ampia documentazione: “Come dicevo, sono andata in molte zone del Paese per scoprire il più possibile cosa significa la vita degli adolescenti. Alcuni di quelli inizialmente selezionati hanno abbandonato perché non sentivano di poter portare avanti un processo a lungo termine. Ad altri ho dovuto rinunciare. Ma con Habet, Una e Ștefania si è instaurato un rapporto speciale e siamo riusciti a portare avanti un processo che ha significato molto per loro, li ho conosciuti quando avevano 16 anni e ho finito di girare quando avevano compiuto 20 anni, ovvero abbiamo attraversato insieme tutta la loro adolescenza. E ho sentito che loro tre stavano bene davanti alla telecamera sia individualmente, che insieme. Cioè, sono una combinazione molto adatta per illustrare cosa significa rispondere alle pressioni sociali, alla preoccupazione per l’ambiente e a ciò che accade intorno, in generale. Perché tutti e tre sono persone molto attive e molto diverse allo stesso tempo. Ștefania, ad esempio, guidava le proteste dei Fridays for Future in Romania in un momento in cui il movimento era diventato globale, e quello mi sembrava un ambito molto importante. Habet stava facendo trap e teatro sociale a Ferentari, e Una stava mettendo in scena uno spettacolo sulla partenza dalla Romania con i suoi compagni appassionati di teatro. Attraverso le loro preoccupazioni toccavano allo stesso tempo temi e sfide sia locali che generali. Parlavano di immigrazione, di classe, di tutti i problemi che affrontiamo come società, ma anche dei loro problemi. Inoltre, molto importante è stato il rapporto che sono riuscita a instaurare con ciascuno di loro e il fatto che siamo riusciti ad essere onesti è stato di grande importanza, è così che ci siamo avvicinati e ci siamo accettati reciprocamente. Perché alla fine questo film ha significato un processo di 4 anni e devi essere onesto con le tue aspettative così come con quelle degli altri. Senza questo, una storia autentica non può e non sarebbe venuta fuori.”

    Il documentario “Sogno. Viață” è stato incluso nella selezione ufficiale del Festival Internazionale del Film Documentario e dei Diritti dell’Uomo One World Romania International, del Festival Internazionale del Film Documentario Astra Film e del Moldox International Documentary Film Festival for Social Change. Ricercatrice e regista, Ruxandra Gubernat ha anche co-diretto “Portavoce” (2018), un mediometraggio, documentario-collage sulle ondate di proteste nella Romania degli ultimi quindici anni, nominato per il miglior documentario romeno all’Astra Film Festival 2018 e proiettato nell’ambito di diversi festival nazionali e internazionali.

     

  • “Moromeții 3”, la fine della trilogia ispirata al romanzo di Marin Preda

    “Moromeții 3”, la fine della trilogia ispirata al romanzo di Marin Preda

    “Moromeții 3”, con la regia di Stere Gulea, è stato uno dei più attesi film romeni dell’anno scorso e ha concluso una trilogia unica nel cinema romeno, basata sui romanzi e sulla vita dello scrittore Marin Preda. Se il primo film, lanciato nel 1988, è stato un adattamento abbastanza fedele del famoso romanzo “Moromeții / I Moromete”, la continuazione, “Moromeții 2” (2018), è stata ispirata al secondo volume, al romanzo “Viața ca o pradă / La vita come una preda” e alla pubblicistica di Marin Preda.

    L’ultima parte della trilogia, con una sceneggiatura firmata sempre da Stere Gulea è ispirata ai diari di Marin Preda, ma anche ai documenti e agli archivi che restituiscono l’atmosfera degli anni ‘50, un periodo di massima tensione sociale e ideologica, segnata dall’ascesa del Partito Comunista, diventato l’unico partito politico ufficiale in Romania.

    Il film continua con la storia di Niculae, il figlio più piccolo di Ilie Moromete, diventato un giovane scrittore di successo, l’alter-ego dello scrittore Marin Preda, deluso delle sue convinzioni politiche e dai colleghi scrittori, costretti a sottoporsi ai vincoli ideologici. La pellicola coglie anche il ruolo importante avuto da due artiste importanti nella vita di Marin Preda: Nina Cassian e Aurora Cornu.

    “E’ un’immagine che copre l’atteggiamento di Marin Preda all’epoca, in situazioni politiche. Ho cercato di capire, di intuire il suo itinerario e di illustrare questo viaggio essenziale, ma utilizzando la finzione. Mi è piaciuta l’idea di fare un film su quell’epoca che ora è in gran parte ignorata”, afferma il regista Stere Gulea a proposito del film “Moromeții 3”.

    Abbiamo invitato a RRI l’attrice Olimpia Melinte, che nel film interpreta il ruolo di Vera Solomon, un personaggio ispirato a Nina Cassian. Abbiamo parlato con lei delle trasformazioni subite dalla sceneggiatura scritta da Stere Gulea e di come si è documentata sul personaggio che interpreta, Nina Cassian essendo un’artista molto complessa, complice e problematica allo stesso tempo per il regime: “Tutto è cominciato con un casting. Incontrando però il signor Stere Gulea, conoscendo meglio la sceneggiatura e le sue aspettative, alla fine sono arrivata alla conclusione che, infatti, il destino aveva scelto me per interpretare questo personaggio. Se facciamo un paragone a livello fisico, se guardiamo la fisionomia mia e quella di Nina Cassian, non abbiamo molte cose in comune. Credo però ci unisca la passione. Nina Cassian era molto appassionata di poesia, musica, disegno e pittura, era attratta da tutte le belle arti. Era un’artista completa e credo che questa passione per le arti l’abbia sostenuta anche in quel periodo molto complicato, quando per un lungo periodo ha scelto di fare musica e di non pubblicare nulla, poiché il sistema era terribile. Questa passione per le arti mi ha legato molto al personaggio. Quanto alla documentazione sul rispettivo periodo, gli anni 50, e sul personaggio, ci sono stati alcuni mesi di discussioni e prove accanto a Stere Gulea. Ho letto i diari di Nina, le interviste, tutto quello che ho trovato online su di lei. Ovviamente, anche il documentario su Nina Cassian, “Distanța dintre mine și mine / La distanza tra me e me”, con la regia di Mona Nicoară e Dana Bunescu, mi ha aiutato parecchio. In più, mi ha aiutato a capire meglio quest’artista perché anch’io avevo dei preconcetti nei suoi confronti. Però anche i più piccoli preconcetti sono scomparsi nel momento in cui abbiamo cominciato effettivamente il lavoro perché io volevo tanto capire Nina nella sua intimità e profondità, così come non l’hanno vista gli altri, così come può essere vista verso la fine della sua vita nel documentario che ho menzionato. Erano i momenti in cui Nina Cassian si toglieva la maschera sociale, i momenti in cui si è permessa di vivere questa storia d’amore con Marin Preda, un amore che è difficile spiegare con le parole.”     

    Olimpia Melinte ci ha detto anche come è stato ricreato nel cinema il rapporto tra Marin Preda e Nina Cassian: “Non abbiamo voluto spiegare, perché nella vita non basta spiegare. Oppure forse dopo molti anni, quando due persone si incontrano nuovamente, arrivano a spiegarsi certe cose. Per quanto riguarda i nostri protagonisti, abbiamo cercato di ricostruire il rapporto tra di loro ricorrendo ai loro diari e abbiamo voluto che fosse quanto più vicino all’andamento delle cose nella vita reale. È stato un lavoro enorme per noi tutti, perché la sceneggiatura è cambiata moltissime volte, sono apparse sequenze nuove perché Stere Gulea ha lavorato in continuazione. A volte ci rendevamo conto proprio nel giorno in cui si girava che aveva introdotto una nuova sequenza. Ad esempio, la storia tra Marin Preda e Nina Cassian non era una principale nella sceneggiatura iniziale, quando abbiamo iniziato le prove. Credo però che si sia imposta sempre di più man mano che abbiamo avanzato con il lavoro e sono molto contenta che per le loro vite sia contata moltissimo.”

    Oltre a Olimpia Melinte, il cast riunisce alcuni dei più apprezzati attori romeni. L’attore Alex Călin interpreta il personaggio di Niculae Moromete e Horaţiu Mălăele, per la seconda volta nella carriera, Ilie Moromete. In “Moromeții 3”, gli spettatori possono vedere anche Mara Bugarin, Răzvan Vasilescu, Iulian Postelnicu, Cătălin Herlo, Dana Dogaru, Toma Cuzin, Ana Ciontea, Laurențiu Bănescu, Conrad Mericoffer, Ioan Andrei Ionescu, Andreea Bibiri, Ilinca Hărnuț, Dorina Chiriac e Oana Pellea. La scenografia è firmata da Cristian Niculescu, mentre Dana Păpăruz ha creato i costumi. Direttore della fotografia è Vivi Drăgan Vasile, il montagio è firmato da Alexandra Gulea, del suono si sono occupati Ioan Filip e Dan-Ștefan Rucăreanu, e la musica del film è stata creata da Cristian Lolea.

    Insignito del Premio del Pubblico al TIFF/ Transilvania International Film Festival, “Moromeții 3” è stato presentato anche nell’ambito di diversi festival del cinema nazionali (TIFF, TIFF Chișinău, Le Serate del Film Romeno – Iași, Film nel Villaggio – Peștișani, TIFF Timișoara).

  • La mostra “Eikon” al Museo Nazionale di Storia della Romania

    La mostra “Eikon” al Museo Nazionale di Storia della Romania

    La mostra presenta sia gli oggetti restaurati che il flusso tecnologico attraversato da un oggetto, dal restauro fino all’esposizione.

    Abbiamo parlato con Maria Popa, restauratrice presso il Museo Nazionale di Storia della Romania della mostra e delle iniziative del Museo volte a portare il restauro all’attenzione del pubblico: “La mostra “EIKON” è la prima mostra di restauro di pittura su legno organizzata presso il Museo Nazionale di Storia della Romania. Il restauro è un tema che il museo intende portare più spesso all’attenzione del pubblico, perché gli oggetti, prima di essere ammirati nelle vetrine in cui vengono esposti, passano per il laboratorio di restauro per una verifica veloce. Al Museo Nazionale di Storia della Romania sono state organizzate anche in passato mostre sul tema della conservazione e del restauro degli oggetti di patrimonio. Proprio l’anno scorso, nello stesso spazio che oggi ospita la mostra “EIKON” c’è stata una mostra di restauro, libri antichi e documenti.”

    Che cosa ha costituito la base di questa mostra, ce lo dice Maria Popa: “Alla base di questa mostra c’è stato il desiderio di presentare al pubblico una parte dell’attività che si svolge nel laboratorio di restauro di dipinti su legno.”

    La restauratrice Maria Popa ci ha raccontato che oggetti sono esposti nella mostra, come sono stati restaurati e che altri elementi possono essere visti dal pubblico: “La mostra include 12 oggetti, 11 della collezione del Museo Nazionale di Storia e uno di una collezione privata. La maggior parte delle icone appartengono alla scuola russa, dei lipoveni, e sono state realizzate nei secoli 18-20. Sono arrivate nel laboratorio di restauro con diversi problemi, da deposizioni di sporco sulla superficie a zone di carbonizzato causate dal caldo eccessivo delle candele collocate troppo vicino, fessure nel pannello, zone lacunari dove la pittura non si è conservata. Il pezzo centrale della mostra è un’icona raffigurante San Nicola proveniente dalla Transilvania Settentrionale o dal Maramureș. Lungo il tempo quest’icona ha subito due interventi di dipinto totale, e quando è arrivata nel laboratorio aveva un’altra pittura rispetto a quella che si può vedere nella mostra. La decisione di togliere via gli interventi è stata presa perché la qualità degli interventi era bassa sia dal punto di vista estetico che dal punto di vista tecnico, e la pittura portata alla luce in seguito a questi interventi di restauro era nettamente superiore. Il risultato finale e le immagini colte durante le operazioni di restauro si possono vedere nella mostra “EIKON”. Nell’ambito della mostra c’è una zona che ricrea un laboratorio di restauro. Qui sono inclusi materiali, utensili, equipaggiamenti di protezione che il restauratore usa durante il processo di conservazione-restauro. Sempre in questa zona potete vedere proiezioni di filmati realizzati durante il restauro degli oggetti esposti. In una delle vetrine sono esposte tre icone in diverse tappe di restauro, a cominciare dall’allontanamento delle deposizioni sulle superfici, il riempimento degli spazi vuoti dei supporti e l’integrazione cromatica delle zone mancanti.” 

    Del processo di restauro e delle sue particolarità ci ha parlato anche Marian Radu, restauratore del museo specializzato nei supporti di legno: “Nel settore delle attività di conservazione-restauro, lo scopo degli interventi è la conservazione del patrimonio mobile e immobile. I beni culturali si fanno notare per la loro grande diversità dal punto di vista della composizione, della struttura, della morfologia, delle dimensioni, dell’aspetto, dei colori, della funzionalità e ovviamente del loro valore. I fattori di degrado che agiscono sui beni culturali sono i fattori fisico-chimici, biologici e, non in ultimo, il fattore umano. Conoscendo i fattori, possiamo individuare anche il degrado che avviene nel supporto di legno …”

    Marian Radu ci parla anche del pannello delle icone su legno presentate nella mostra “EIKON” al Museo Nazionale di Storia della Romania: “Il pannello è consolidato con due sbarre paralleli, semi incastrate, inserite perpendicolarmente sulla fibra del legno, con un profilo trapezoidale. Le sbarre hanno un ruolo molto importante nella resistenza del pannello… A causa dell’età di due-trecento anni, le icone hanno subito nel tempo diversi degradi … che possono rendere molto difficile il processo di restauro …”

    Alla fine della nostra chiacchierata, il restauratore Marian Radu ci ha dichiarato a proposito della mostra “EIKON” ospitata presso il Museo Nazionale di Storia della Romania: “Il mestiere di restauratore è meno conosciuto in Romania, però attraverso questa mostra, che è una prima del Museo Nazionale di Storia della Romania, speriamo di essere riusciti a destare la curiosità del pubblico e di convincerlo di venire al museo, dove può vedere e capire meglio il frutto del nostro lavoro degli ultimi anni.”

  • Bianca Boeroiu, insignita del premio Emmy

    Bianca Boeroiu, insignita del premio Emmy

    Bianca Boeroiu, una delle più conosciute make-up artist romene, ha vinto il Premio Emmy 2023 al miglior trucco contemporaneo. Il prestigioso premio le è stato concesso per il trucco realizzato per la serie “Wednesday”, di Tim Burton, prodotta da Netflix e girata in Romania accanto a diversi artisti e tecnici romeni. L’artista ha messo la propria firma su diversi spot pubblicitari e video ed è arrivata a collaborare con attori famosi quali Samuel L. Jackson, Michael Keaton o John Malkovich. In Romania ha già nel palmares 3 trofei GOPO e 9 nomination per film come “Se voglio fischiare, fischio”, “Loverboy”, “Un passo dietro ai serafini”, “Funerali felici”, “Aferim”, “Campo di papaveri” e “Non aspettarti troppo dalla fine del mondo”.

    Bianca Boeroiu ci ha raccontato come è arrivata ad essere impegnata nella realizzazione della serie “Wednesday” e come si è documentata per la realizzazione del trucco: “La collaborazione con Tim Burton è iniziata in seguito a un colloquio che ho fatto con il designer di questo progetto. Così sono arrivata a lavorare nella squadra che ha realizzato il trucco degli attori, accanto ai colleghi di Inghilterra e di Romania. Ho fatto il trucco di molti personaggi, della maggior parte dei colleghi di Wednesday, e mi riferisco soprattutto a quelli dell’Accademia Nevermore. Ho realizzato anche il trucco del sindaco della città e di un personaggio molto importante, Eugene, uno dei più strani studenti dell’Accademia Nevermore e il presidente del club di apicoltura della scuola. Infatti, quasi tutti i personaggi di questa serie sono stati truccati da me, tranne ovviamente gli attori famosi di cui si è occupato il designer del progetto e la protagonista della serie, Jenna Ortega, che ha avuto il suo personal make-up team. Quanto alla parte di documentazione per un progetto di questo tipo, il regista ha già una visione sui personaggi. Ovviamente, leggiamo anche noi la sceneggiatura, abbiamo delle sedute di produzione, poi dei test. Se si tratta di una produzione d’epoca è una sfida in più per noi, ma anche per un film contemporaneo il trucco è assai importante. Nel caso della serie Wednesday, i personaggi erano abbastanza bene tracciati dal designer della serie e dal regista Tim Burton, ma anche noi abbiamo avuto il nostro contributo.”              

    All’inizio di quest’anno, Bianca Boeroiu ha partecipato alla cerimonia di consegna dei premi Emmy: “Sono riuscita ad arrivarci e sono molto contenta di averlo fatto. È stata un’esperienza straordinaria, spero di avere ancora l’occasione di partecipare a eventi del genere. Grazie a questo premio sono arrivata per la prima volta negli USA, a Los Angeles, e mi è sembrato affascinante. Sono rimasta per quasi una settimana e ho incontrato amici e colleghi specializzati nel trucco, con i quali ho collaborato anche ad altri progetti in Romania. È stata un’esperienza intensa ed emozionante, non dimenticherò mai il momento in cui hanno pronunciato Wednesday sul palco, perché il risultato non si conosce prima, è come ai Premi Gopo, solo quando viene aperta la busta sai se hai vinto o no. E questo premio, in qualche modo aumenta la tua popolarità. Io ho lavorato anche finora a produzioni internazionali, la maggior parte europee, ho avuto anche una collaborazione con Disney e sono aperta a proposte del genere.

    Insegnante dell’arte della ceramica, Bianca Boeroiu lavora da più di 20 anni al Palazzo Nazionale dei Bambini di Bucarest e al momento sta elaborando un supporto di corso per queste lezioni di ceramica: “Mi sono laureata presso l’Università Nazionale di Belle Arti di Bucarest, in Ceramica e Arti decorative e, subito dopo aver finito gli studi, ho cominciato a insegnare e questo posto di docente presso il Palazzo Nazionale dei Bambini mi è molto caro, non ci rinuncerei mai, a prescindere dal numero di offerte che potrei ricevere come make-up artist. È un settore in cui mi sento molto bene, i bambini mi danno un’energia straordinaria e molte soddisfazioni. Mi sono sentita attratta dal trucco già da piccola e un’amica mi ha suggerito di fare un corso in questo settore. All’inizio ero un po’ scettica, lo ammetto, non sapevo nemmeno che ci fosse un dipartimento per imparare questo all’Università d’Arte. Dopo averlo scoperto, tutto è venuto naturale, cioè ho fatto tutto con grande piacere ed entusiasmo. Da allora sono stata quasi tutto il tempo impegnata in progetti di questo tipo, all’inizio la maggior parte romeni, ma dopo sono apparse anche le collaborazioni internazionali.”

    Bianca Boeroiu è anche membro dell’Unione degli Artisti Figurativi di Romania. Le sue opere hanno vinto un premio al debutto alla Biennale Le Arti del fuoco.

  • Gusto, raffinatezza e sociabilità nella Bucarest della prima metà del Novecento

    Gusto, raffinatezza e sociabilità nella Bucarest della prima metà del Novecento

    La mostra “Gusto, raffinatezza e sociabilità nella Bucarest della prima metà del Novecento” ospitata presso la Casa Filipescu-Cesianu della Capitale, una delle sedi del Museo del Municipio di Bucarest (MMB) si è proposta di ricostituire un frammento di quotidianità, quello legato al rituale dei pasti dell’élite bucarestina, segnato da profonde trasformazioni culturali, tra la severa etichetta antebellica e gli atteggiamento sociali più rilassati che hanno caratterizzato il periodo interbellico. Dell’etichetta della società bucarestina all’inizio del Novecento ci ha parlato una delle curatrici della mostra, Andreea Mâniceanu: “Nella prima metà del Novecento, l’etichetta e lo stile di vita dell’élite di Bucarest sono stato caratterizzati da vari elementi, come l’influenza occidentale, poiché gran parte dei membri dell’élite di Bucarest aveva studiato all’estero, soprattutto in Francia, il che ha portato a un’adozione delle maniere e dello stile di vita occidentale. La moda, l’architettura e i costumi sociali riflettevano queste influenze.”

    Andreea Mâniceanu ci ha parlato anche del modo di vestirsi dell’epoca: “L’élite di Bucarest prestava particolare attenzione ai vestiti. Gli uomini indossavano abiti eleganti, che andavano molto di moda, ispirati alle tendenze dell’Europa occidentale, mentre le donne indossavano vestiti eleganti, spesso creati dalle case di moda. In più, le feste e i ricevimenti erano occasioni importanti per esibire questa eleganza.”

    La mostra presenta al pubblico anche il modo in cui viveva l’élite di Bucarest nella prima metà del XX secolo, dal punto di vista degli spazi abitativi o della vita sociale: “Le residenze dell’élite di Bucarest nella prima metà del Novecento erano spesse situate in zone centrali come Calea Victoriei oppure Cotroceni, ed erano caratterizzate da uno stile architettonico eclettico, che abbinava elementi Neoclassici, Art Nouveau o dello stile Neo-romeno. I membri delle élite partecipavano a balli, ricevimenti e pranzi organizzati presso il Palazzo Reale o in altre residenze sontuose. Caffetterie, club e ristoranti di lusso come Capșa, erano luoghi di incontro per politici, aristocratici e artisti. … La mostra “Gusto, raffinatezza e sociabilità” esplora la transizione e le influenze reciproche tra lo stile di vita e lo spazio abitativo nel periodo ante-bellico e interbellico, mettendo l’accento sulla dinamica tra esterno e interno.

    Nel periodo antebellico, lo stile di vita aristocratico era definito dall’opulenza e da una raffinatezza manifestata nell’architettura e nell’arredamento interno delle case. C’era una forte influenza dell’ambiente esterno, soprattutto per quanto riguarda il design degli interni ispirato a modelli occidentali e a correnti artistiche come il barocco. Le case riflettevano uno stile di vita orientato verso lo spettacolo e lo status sociale, e gli spazi interni erano concepiti per fare colpo sugli ospiti. I mobili, le decorazioni e i materiali utilizzati nelle case antebelliche esprimevano questo rapporto di continuità tra l’imponenza esterna e quella interna. Tramite questa alternanza tra la dinamica esterno-interno e interno-esterno, la mostra sottolinea il modo in cui i cambiamenti sociali ed economici dei due periodi influiscono sulla percezione e l’organizzazione dello spazio domestico nel periodo antebellico. Lo spazio interno era una riflessione del mondo esterno, delle gerarchie sociali e dell’etichetta, mentre nel periodo interbellico i cambiamenti degli interni nella vita quotidiana e nelle preferenze estetiche cominciano a modellare il modo in cui viene percepito e organizzato lo spazio esterno.”

    Andreea Mâniceanu ci ha parlato anche della vita culturale dell’epoca: “L’élite bucarestina aveva uno stretto legame con il mondo culturale. L’opera, il teatro e le mostre d’arte erano apprezzate da questa classe sociale. In più, i patrocini all’arte e alla letteratura erano un modo in cui le élite manifestavano il proprio prestigio.”

    Come presenta la mostra ospitata presso la Casa Filipescu-Cesianu la dinamica delle trasformazioni nella società bucarestina nella prima metà del Novecento?: “In questo modo, la mostra “Gusto, raffinatezza e sociabilità nella Bucarest della prima metà del Novecento” trasmette il messaggio di un’evoluzione da una società centrata sullo status e lo spettacolo a una funzionale, individualista, dove l’intimità e il confort personale cominciano ad avere la precedenza sull’ostentazione e la grandezza sociale.”

  • “The Breakup”, alla Galleria Mobius di Bucarest

    “The Breakup”, alla Galleria Mobius di Bucarest

    La produzione è realizzata da un gruppo di artisti europei guidati dalla regista Ioana Păun. Ioana Păun è una regista che concentra il suo lavoro sul comportamento umano in situazioni provocatorie. La regista ci ha parlato della squadra di realizzatori dello spettacolo: “La squadra iniziale era formata da artisti slovacchi e io ho fatto un progetto pilota con qualcosa del tutto diverso rispetto a quello che si vede adesso in Romania. A febbraio era ultra-iper-interattivo. In pratica, due spettatori si separavano senza conoscersi, in una specie di formazione nostra. Non mi è piaciuto quello che è venuto fuori e sono tornata su alcuni modi di esprimersi, diciamo più sicuri, performativi, che avevo più a portata di mano. Io volevo parlare emozionalmente a un pubblico di ciò che significa per ognuno di noi, una cosa speciale per loro, non per me. “La separazione”. … Anche la squadra di Bratislava aveva un nucleo che era formato da me e dallo sceneggiatore Matěj Sýkora. Facevo una specie di ping-pong di idee. “Come potrei…” oppure “come potrei io…” rappresentare o provocare gli spettatori a sentire qualcosa quanto più vicino a ciò che accade a loro quando si amano e poi si separano? E avevo una sola fissazione, l’unica cosa che mi interessava era esporre il pubblico a due persone che si baciano e si scoprono per la prima volta. Una specie di first kiss che abbiamo vissuto tutti e poi trovare altre azioni simili che continuino questo periplo emozionale.”

    “The Breakup” è un’esperienza discreta e intensa, creata per generare riflessione sul modo in cui abbiamo vissuto i nostri rapporti di coppia. Perché “The Breakup” (La separazione)? Ce lo dice Ioana Păun: “Era un argomento che mi interessava, perché effettivamente, dal punto di vista personale mi era difficile gestirlo. Cioè l’uscita di qualcuno dalla tua vita o la tua dalla vita di un altro, soprattutto dal punto di vista romantico, ma non solo, la chiusura di una relazione.”

    La regista Ioana Păun e la sua squadra esplorano un territorio in cui i confini tra un sentimento e il progresso tecnologico diventano sempre meno chiari. Abbiamo parlato con Ioana Păun della performance e di come è stata accolta dal pubblico: “Per quanto riguarda l’accoglienza, non si può sapere con esattezza cosa sente ogni persona, anche se parli con loro. Come è stata accolta? Te lo dico. In Slovacchia abbiamo girato a Bratislava e in città più piccole, c’erano giovani, anziani, millennials. I giovani sono stati molto infuocati e colti nell’idea e nel desiderio di esprimere le proprie esperienze e di esplorare sé stessi. È questo quello che vedevo nelle risposte. Il pubblico reagisce due volte. Lo vedevo in questa disponibilità di rispondere di più, in maniera più ampia, quasi di spogliarsi in un certo modo, anche se anonimo. Dunque in questo pubblico giovane, di 18, 25, 26 anni, ho visto un’allegria di esplorare esperienze emozionali con cui ci si confronta molto spesso, in un modo, non so, culturale.”

    Lo spettacolo propone al pubblico due codici QR tramite cui la gente si può implicare e interagire. Dettagli sull’interazione del pubblico dalla regista Ioana Păun: “Sì, è una specie di link che ricevi sul telefono, al quale rispondi. E la tua risposta è poi, in un modo o nell’altro, integrata nello spettacolo e resa pubblica, infatti, anche se è anonima. Si tratta di un pubblico ristretto, di circa 10 persone. Abbiamo avuto spettacoli con 4 persone, ma anche con 17. Ha funzionato meglio quando ci sono state intorno a 10 persone. Si crea una specie di comunità e ci sono vari momenti nello spettacolo in cui il pubblico fa qualcosa, completa, o afferma, oppure si lascia in qualche modo nelle nostre mani. E in un modo minimale. Dunque è uno spettacolo molto semplice, senza complicazioni. Ha reagito diversamente, ogni spettacolo è stato diverso. A volte il pubblico è stato molto impegnato, a seconda della sua disposizione e di quello che nasce in quel momento. Le attrici sentono il pubblico, ma non modificano il tempo, non modificano le azioni a seconda della disponibilità e di come sentono il pubblico che è interessato, impegnato oppure annoiato. Quindi mi è molto difficile rispondere a questa domanda legata a come ha accolto il pubblico lo spettacolo.”

  • “Clara”, un film drammatico di Sabin Dorohoi

    “Clara”, un film drammatico di Sabin Dorohoi

    Un nuovo film romeno di grande impatto, che tratta di un argomento importante e necessario, è stato di recente distribuito nelle sale di cinema del Paese. “Clara”, il lungometraggio romeno di Sabin Dorohoi, narra la storia dei milioni di romeni costretti ad andare a lavorare all’estero per garantire alle proprie famiglie una vita migliore. Il film è una prima nel cinema romeno perché è il primo lungometraggio che tratta l’argomento della migrazione dal punto di vista della problematica sociale dei bambini lasciati in Romania, dai nonni o da altri parenti. Il film racconta la storia di Clara, una professoressa che si prende cura della casa e della figlia di una famiglia tedesca, come milioni di romene che mantengono le proprie famiglie lavorando all’estero. Quando suo figlio, lasciato con il nonno, scappa di casa in un tentativo puerile di arrivare da lei, Clara torna nel suo villaggio natio in Romania, dove deve affrontare il proprio fallimento come madre e cercare di riconquistare la fiducia di suo figlio.

    Sabin Dorohoi: “L’argomento del film è nato molto tempo fa. L’idea di trattare questo tema mi è venuta nel 2012, quando la migrazione era diventata molto forte e ho notato che il fenomeno aveva cominciato a diffondersi all’epoca anche nel nord della Romania. Sempre in quel periodo ho letto sulla stampa un articolo su un ragazzino che si era suicidato perché gli mancavano tanto i genitori. La notizia mi è sembrata terribile, mi ha colpito molto e ho pensato di dover fare un film su questo. Così è nato il cortometraggio “Calea Dunării / La via del Danubio”, che ha avuto la prima nel 2013. Poi ho sentito il bisogno di sviluppare l’argomento ed è seguita la sceneggiatura scritta da Ruxandra Ghițescu.”

    “Clara” ha avuto la prima mondiale a Cottbus International Film Festival, nel 2023, dove ha vinto il premio del pubblico. Sono seguiti premi, nomination, critiche positive e una calorosa accoglienza da parte del pubblico presente a festival internazionali come Kolkata International Film Festival India, South East European Film Festival Los Angeles, Internationales Donaufest Ulm/Neu-Ulm, Ceau Cinema di Timișoara, Le Serate del Cinema Romeno, Iași e BIFF (Bucharest International Film Festival).

    Dan Burlac, uno dei produttori del film “Clara”: “E’ un film che solleva un problema importante. Ma non ci siamo proposti per niente di forzare la nota, destare tristezza con questa storia, oppure fare un film che faccia piangere inutilmente. Ci siamo, infatti, prefissi di puntare su un problema importante, che è diventato importante in tutto il mondo, non solo in Romania, o in Europa. Lo dimostra anche la reazione destata dal film “Clara” alla prima in India, dove i quasi 1000 spettatori presenti, hanno reagito con molta empatia e hanno percepito il film come se fosse stata un’esperienza personale. Per questo dico che la storia di Clara non è legata ad un determinato luogo, non dipende da questo, ma è la storia di tutti coloro che si trovano in questa situazione e sono costretti ad andare lontano da casa, a prescindere dal luogo in cui si trovano, nell’America Latina, Europa o India. Credo che il grande valore di questo film sia dato in primo luogo dal fatto che è riuscito a rimanere sempre onesto e a trattare con molta attenzione un argomento importante. Trattandosi di un tema importante, abbiamo voluto anche attirare quante più reazioni per trovare soluzioni a un problema che riguarda noi tutti. Perché il problema della migrazione interessa anche la società che stiamo costruendo, si tratta della prossima generazione che costruirà la Romania. È un problema che riguarda noi tutti, genitori, nonni, bambini, è un problema importante per l’intera comunità. Non è un argomento che tocca solo un livello, ma tocca, come dicevo, tutti gli strati della società. È un problema nostro, di tutti.”

    Dopo il lancio di galà a Bucarest, la squadra del film ha cominciato un itinerario nazionale che ha incluso proiezioni speciali in cui i realizzatori e gli attori del film hanno chiacchierato con gli spettatori in sessioni Q&A. Ad alcune delle proiezioni hanno partecipato anche esperti nel campo della pedagogia e della psicologia, tramite un partenariato importante tra l’equipe del film e l’organizzazione “Salvate i Bambini”, che sostiene il dibattito sociale iniziato dal film “Clara” in occasione del lancio nelle sale di cinema.

    Sabin Dorohoi: “Alla proiezione che abbiamo avuto a Timișoara è stato molto emozionante, perché praticamente siamo arrivati a casa. Come sapete, la maggior parte degli attori sono di Timișoara e, in generale, del Banato, tranne Ovidiu Crișan, il padre di Clara e il nonno di Ionuț nel film, che è di Cluj. A Timișoara, sia alla proiezione, che ai dibattiti di dopo, la sala è stata strapiena e ne siamo stati molto contenti, così come ci hanno fatto molto piacere anche le reazioni degli spettatori e le loro domande molto pertinenti. Però le domande più interessanti, persino dispute, ma dispute e dibattiti costruttivi, interessanti, ci sono stati a Iași. E non a caso, perché la Moldavia è la zona della Romania più colpita dalla migrazione. Come dicevo, questo si è riflettuto nel gran numero di spettatori, ma anche nei dibattiti molto interessanti.”

    La sceneggiatura del film “Clara” è scritta da Ruxandra Ghițescu, direttore della fotografia è Lulu de Hillerin, la scenografia è firmata da Anca Miron e Sonia Constantinescu, il montaggio è di Mircea Lăcătuș, mentre la colonna sonora appartiene a Eduard Dabrowski. Nei ruoli protagonisti: Olga Török (Clara), Ovidiu Crișan (Nicolae), Luca Puia (Ionuț) e Elina Leitl (Johanna).