Category: Il futuro inizia oggi

  • Progetti per i romeni all’estero

    Progetti per i romeni all’estero

    Con l’ingresso della Romania nell’UE nel 2007, il numero dei romeni emigrati è cresciuto da un anno all’altro, soprattutto in Italia e Spagna, ma anche in Gran Bretagna. I motivi della partenza riguardano principalmente un posto di lavoro meglio pagato. Muovendo dall’idea che moltissimi connazionali tornerebbero a casa, nel Paese sono stati concepiti vari progetti volti ad appoggiare coloro che vorrebbero rientrare in Romania per avviare un affare, anche con sostegno finanziario europeo.

    Ci sono delle opportunità in questa direzione nei prossimi anni, c’è la possibilità di sviluppare affari profittevoli anche in Romania. Se portano il loro know-how, le risorse e il desiderio di lavorare seriamente, allora riteniamo che possono recare un contributo importante alla Romania, dichiarava ad ottobre 2016 Marius Bostan, imprenditore sociale, ma anche esperto di progetti di sviluppo locale, finanziamento e management di compagnie, ministro delle Comunicazioni nell’allora governo tecnico di Dacian Ciolos. Un primo passo per stimolare il rientro in Patria di un numero quanto più alto di romeni era stato compiuto proprio allora, quando Repatriot, un progetto di Romania Business Leaders ha organizzato per la prima volta a Bucarest il Business Summit – Insieme per la Romania.

    L’evento, che ha riunito l’elite imprenditoriale romena, è stato concepito per incoraggiare la riconnesisone dei romeni all’estero con la Romania, soprattutto tramite investimenti nel Paese. Il sostegno di Bucarest si è espresso tramite informazioni e consulenza su un rapido accesso alle opportunità nel Paese. Stando alla maggioranza dei partecipanti, la Romania offre opportunità attraenti, che gli imprenditori intendono valorizzare, però ci sono ancora degli ostacoli davanti ad un ambiente d’affari sano, come la burocrazia eccessiva, il modo in cui vengono attuate e applicate le politiche fiscali, e la mancanza della prevedibilità legislativa.

    Di recente, un altro passo è stato compiuto col lancio del progetto Diaspora Invest, che si svolgerà fino a settembre 2020 tramite le associazioni del Centro di sviluppo SMART, il Padronato dei Giovani Imprenditori della Regione Sud-Est e la Lega degli Studenti Romeni all’Estero. Il progetto incoraggia lo spirito imprenditoriale dei romeni partiti a lavorare all’estero, stimolandoli di avviare il proprio affare in una delle sette regioni meno sviluppate della Romania. Con questo progetto, l’UE offre finanziamenti non rimborsabili di 40.000 euro al massimo per affari non agricoli nell’ambiente urbano, con la creazione di due posti di lavoro al minimo.

    Devono avere una residenza in Romania e dimostrare di aver vissuto all’estero negli ultimi 12 mesi. Auspichiamo un numero quanto maggiore di richiedenti di più Paesi, poichè ci interessa che loro portino delle cose nuove. Quindi, ad esempio, una persona che vive negli Stati Uniti, che ha imparato lì tante cose, la vogliamo portare a casa per aprire un affare ispirato dall’esperienza americana. Certamente, tentiamo di reclutare anche dall’Unione Europea, nonchè dalla Moldova e perchè no? – anche da Paesi più lontani dell’Asia, ha spiegato Radu Oprea, presidente del Padronato dei Giovani Imprenditori della Regione Sud-Est.

    Oltre ad applicare in Romania le migliori idee d’affari ispirate da sistemi economici di altri Paesi sviluppati, il progetto resta coerente col suo obiettivo di far rientrare in Patria i romeni che vivono o lavorano all’estero. Le statistiche indicano che circa 3,2 milioni di romeni sono emigrati. Certo, si tratta di un’ondata in crescita dal 2007, con l’ingresso della Romania nell’UE. Gli studi indicano che il 20% vorrebbe mettere su un affare in Romania o acquistare un terreno, costruire una proprietà. Certamente, la maggioranza è andata in Spagna, Germania o Gran Bretagna, e noi praticamente abbiamo come target i romeni dell’intero mondo. In tal senso, organizzeremo una serie di eventi in dieci grandi città europee e in tre città degli Stati Uniti, per promuovere questa opportunità, ha spiegato Iulian Cazacu, presidente dell’Associazione Centro di Sviluppo SMART.

    Attraverso Diaspora Start-up, sostenuto dal Ministero per i Romeni all’Estero, i connazionali che vivono in altri Paesi possono ottenere appoggio in Romania per attività indipendenti, imprenditoria e fondazione di imprese, comprese quelle piccole e medie innovative. L’obiettivo specifico è quello di aumentare l’occupazione sostenendo le aziende di profilo non-agricolo in ambienti urbani. La scorsa estate, l’autorità competente di Bucarest ha approvato 32 progetti per un valore di 76 milioni di euro, attraverso Diaspora Start-up.

  • L’Accordo di libero scambio Moldova – UE

    L’Accordo di libero scambio Moldova – UE

    Il 13 novembre 2014, la plenaria del Parlamento Europeo ha votato a favore della ratifica dell’Accordo di associazione tra la Moldova e l’UE – trattato internazionale che prevede la cooperazione in settori come il commercio, la politica di sicurezza e la cultura, contribuendo ad un’integrazione più profonda sotto profilo politico ed economico tra le due entità. L’Accordo di associazione include anche un Accordo di libero scambio, volto a ridurre le barriere commerciali tra l’ex stato sovietico e l’Unione. Il documento concede a ciascuna delle parti un migliore accesso al mercato ed ha come obiettivo anche l’eliminazione dei dazi doganali per l’importazione (ed esportazione, se c’è).

    Secondo le procedure di Bruxelles nello stabilire con i suoi partner commerciali delle Aree di libero scambio, anche nel caso della Moldova sono stati inclusi più settori, che vanno al di là del commercio abituale, prendendo lo spunto dal fatto che esso non può essere staccato dalle politiche interne relative ad acquisti, concorrenza, proprietà intellettuale o sviluppo durevole. Lo statuto di membro del Partenariato orientale ha conferito alla Moldova una posizione speciale nella relazione con Bruxelles, e i provvedimenti dell’accordo sono conformi all’acquis comunitario. Tutto ciò per modernizzare l’economia, attirare investimenti comunitari nel Paese e per un ambiente più prevedibile delle politiche.

    L’accordo di libero scambio con l’UE offre una serie di vantaggi alla Moldova, però esiste anche un potenziale non utilizzato, ha richiamato l’attenzione a Chisinau la commissaria europea per il commercio, Cecilia Malmstrom. La recente visita è avvenuta nel contesto in cui il governo della Moldova si pronuncia per l’approfondimento dell’implementazione dell’accordo di libero scambio, mentre il presidente filo-moscovita Igor Dodon sollecita la sua revisione. In una conferenza stampa congiunta con il premier Pavel Filip, la commissaria UE ha fatto riferimento anche alla negoziazione della possibilità di esportare sul mercato comunitario i prodotti di origine animale dalla Moldova. Cecilia Malmstrom ha spiegato che, oltre ai requisiti tecnici da riunire, tra cui le norme per garantire la sicurezza alimentare, vanno implementate anche delle leggi prevedibili e trasparenti, in grado di offrire sicurezza agli investitori.

    Le esportazioni della Moldova sul mercato europeo sono in crescita e attualmente si discute di possibili forniture di carne e uova nell’UE, ha precisato Pavel Filip. Parlo in primo luogo anche della possibilità di esportare dei prodotti di origine animale. Certamente, in tal senso anche noi abbiamo tanto da fare, però per noi le prospettive sono molto chiare, ha detto il premier moldavo.

    L’opinionista Vlad Turcanu ritiene che il commercio con l’UE ha sostenuto la Moldova a mantenersi in equilibrio dopo i successivi shock subiti dalla sua economia negli ultimi 20 anni. Allo stesso tempo, però, l’opinionista ha criticato le idee del presidente Igor Dodon sulle esportazioni di materie prime dalla Moldova verso la Federazione Russa. Vlad Turcanu è del parere che l’idea inoltrata dal leader filorusso non sarebbe favorevole ai produttori interni.

    Quello che mi è rimasto in mente da tutta questa fraseologia di Igor Dodon, che lui agita in tutte le occasioni, è che dovremmo puntare sulla relazione con la Federazione Russa per esportare frutta, verdura e vino. Esattamente il modello di funzionamento della RSS Moldava (la denominazione dello stato nel periodo sovietico), fino al 1991. Ciò significa fornire materia prima nella Federazione Russa e il valore aggiunto che otterrebbero i nostri produttori sarebbe inferiore ad un punto percentuale, ha detto Turcanu.

    Una situazione del tutto particolare in questa equazione è quella della Transnistria, regione separatista filo-moscovita all’est della Moldova. Una volta siglato l’Accordo di associazione, a novembre 2013, a Vilnius, la regione della Transnistria ha beneficiato di facilitazioni commerciali autonome da parte dell’UE. Perciò, per due anni, circa il 50% delle merci esportate dalla riva sinistra del fiume Dniester sono arrivate sul mercato dell’Unione Europea. Le facilitazioni commerciali sono, però, scadute alla fine del 2015, e l’area di libero scambio si è allargata, dal 1 gennaio 2016, all’intero territorio della Moldova, la Transnistria compresa. Cosicchè tutte le imprese della Moldova, quelle della Transnistria incluse, hanno esportato merci nell’UE in base allo stesso regime di libero commercio.

    Però le autorità di Tiraspoli hanno annunciato di non implementare l’Accordo di libero scambio con l’UE, in quanto sarebbe in contraddizione con la loro politica estera, stabilita col referendum sull’avvicinamento alla Russia, tramite l’integrazione nell’unione eurasiatica. La Transnistria ha ottenuto un regime asimmetrico, in cui Tiraspoli applica i dazi doganali, e le sue esportazioni arrivano sul mercato dell’UE senza tasse. L’inclusione della Transnistria anche in questa formula è stata definita da alcuni analisti come l’aspetto di una meta molto più importante – la riunificazione del Paese, muovendo dall’idea che un’integrazione economica più intensa della Moldova con l’UE consentirà la soluzione del conflitto relativo alla Transnistria.

  • La Romania e la sicurezza cibernetica

    La Romania e la sicurezza cibernetica

    Membro della NATO dal 2004 e dell’Unione Europea dal 2007, la Romania è profondamente impegnata, accanto agli altri stati membri, in tutti gli aspetti attinenti alla politica di sicurezza. In un’intervista a Radio Romania, il capo della diplomazia di Bucarest, Teodor Melescanu, ha ricordato che il nostro Paese concede un’attenzione speciale alla strategia globale di politica estera e di sicurezza e alla cooperazione tra l’Unione e l’Alleanza Nord-Atlantica.

    Oggi, la Romania non è solo un beneficiario della NATO, ma anche un partecipante rilevante al processo decisionale e al perseguimento degli obiettivi alleati, sia che parliamo del consolidamento della posizione di difesa e scoraggiamento sul fianco est, in equilibrio e coerenze tra le aree nord e sud, sia che parliamo dell’accoglienza del sistema di difesa antimissile, dei contributi particolarmente seri che abbiamo recato in Afghanistan o dell’appoggio che offriamo alla sicurezza cibernetica dell’Ucraina. La crescita del budget della difesa al 2% del Pil quest’anno ha rafforzato questa nostra credibilità anche a livello internazionale. Dobbiamo fissare e certificare queste capacità in vista del vertice della NATO del 2018, ha spiegato il ministro.

    Riunitisi questa settimana a Bruxelles in una seduta incentrata sugli sforzi di adattamento dell’Alleanza alle sfide del XXI secolo, i ministri della Difesa dei Paesi membri della NATO hanno esaminato principalmente le misure volte a migliorare il transito delle truppe alleate sia oltre l’Atlantico che all’interno dell’Europa, a rafforzare la difesa cibernetica, il programma di riarmo della Corea del Nord, ma anche l’inivio di truppe supplementari in Afghanistan. La NATO ha deciso di costituire due nuovi comandi destinati a rinforzare la capacità di intervenire a sostegno dei Paesi alleati, soprattutto europei, nell’eventualità di un conflitto. Uno dei comandi interessa la circolazione nell’Atlantico, mentre l’altro risponderà alle necessità logistiche della NATO.

    D’altra parte, i ministri hanno deciso di integrare i mezzi nazionali di difesa cibernetica con quelli dell’Alleanza. Integreremo le capacità cibernetiche nazionali nelle missioni e operazioni della NATO, così come abbiamo fatto con le capacità convenzionali – navi, carri armati o aerei. Rimarranno sotto controllo nazionale, però saranno integrate con le missioni della NATO, ha spiegato il capo dell’Alleanza, Jens Stoltenberg.

    Il tema sulla sicurezza riveste una nuova dimensione e questo fatto è connesso alla sicurezza cibernetica. Nessun Paese ce la fa da solo, perciò anche in sede della Commissione Europea è stato proposto un pacchetto di misure concrete, tra cui il quadro comune per la certificazione dei prodotti di sicurezza, ha dichiarato d’altra parte a Bucarest il commissario europeo per economia e società digitali, Mariya Gabriel. Per noi, questo è un passo in avanti, ha dichiarato il commissario – da una parte i consumatori devono sapere a che livello di sicurezza risponde un prodotto, e dall’altra vogliamo portare dei benefici alle compagnie europee, un certificato che sia riconosciuto nell’intera UE, riducendo il peso amministrativo e finanziario.

    Il tema è stato dibattuto nel corso di una conferenza amministrativa intitolata Nuove sfide globali nel campo della sicurezza cibernetica, incentrata sul potenziale del settore digitale. Attualmente troppo contenuto su internet istiga a terrorismo o radicalizzazione. Il 41% del contenuto illegale già segnato non viene rimosso, di cui il 28% rimane per più di 24 ore. Si sa che il più forte impatto di questi materiali è nelle prime due ore, ha aggiunto il commissario europeo. A sua volta, il ministro romeno con delega agli Affari europei, Victor Negrescu, ha spiegato che ogni anno i costi della mancanza di protezione online ammonta a 400 milioni di dollari. Se non riusciamo a fare quello che ci siamo prefissi a livello europeo, nazionale, i costi possono ammontare a 2,1 trilioni di dollari, il che significa costi enormi, che avranno effetti sul consumatore, e non solo sulle compagnie e sull’amministrazione pubblica.

    La Romania deve impegnarsi di più nella creazione di un reale mercato della sicurezza cibernetica e consolidare la sua posizione di leader regionale nel settore, ha valutato il ministro delle comunicazioni Lucian Sova, richiamando l’attenzione che i cittadini, ma soprattutto le compagnie, devono essere consapevoli anche dei pericoli e non solo dei vantaggi derivanti dallo scambio rapido di informazioni su internet. Dobbiamo incoraggiare l’ambiente d’affari a capire i pericoli che si trovano ovunque dalla prospettiva cibernetica, e d’altra parte contribuire in maniera attiva anche alla creazione di un mercato onesto, corretto, in grado di funzionare e recare il proprio contributo al rafforzamento della sicurezza in questo settore, ha detto il ministro.

    Le cifre indicano che fino al 2020 si conteranno 4,1 miliardi di utenti internet e più di 26 miliardi di impianti di rete, praticamente la popolazione globale triplicata. Dal punto di vista economico, ciò significa un contributo in più allo sviluppo europeo e, implicitamente, a quello globale. Le stime indicano che entro il 2020 il settore digitale potrà arrecare oltre un trilione di dollari. Ma anche dei costi. E le statistiche rilevano che oltre la metà delle compagnie europee si sono già confrontate con un attacco cibernetico. (traduzione di Iuliana Anghel)

  • Una legge priva di ispirazione

    Una legge priva di ispirazione

    La nuova legge sull’istruzione, adottata quest’autunno in Ucraina, ha destato numerose critiche ed è stata definita dalla maggioranza degli esperti come a dir poco priva di ispirazione. Stando ai rappresentanti delle minoranze in Ucraina, l’articolo 7 delle legge ostacola notevolmente il diritto di studiare in lingua materna. La legge prevede l’introduzione graduale del nuovo sistema dell’istruzione e, in contemporanea, la sostituzione delle materie insegnate nelle lingue delle minoranze con discipline in ucraino. La prima tappa della riforma è prevista per il 1 settembre 2018, la seconda per il 1 settembre 2022, mentre la terza e l’ultima, che interessa le classi superiori, dal 2027. Nelle classi medie, dalla V alla IX, l’insegnamento si farà nella lingua di stato con elementi della lingua della rispettiva minoranza nazionale, accanto all’insegnamento in ucraino. Inoltre, è prevista la possibilità dello studio della lingua materna delle minoranze in alcune scuole o presso le società o le associazioni culturali delle rispettive comunità etniche.

    La normativa è stata criticata dalle autorità romene, ma anche da altri Paesi della regione, che hanno delle comunità etniche nella repubblica ex-sovietica, ricordando che, ai sensi dei provvedimenti della Convenzione – quadro per la protezione delle minoranze nazionali, gli stati si impegnano a riconoscere il diritto di qualsiasi persona appartenente a una minoranza nazionale di insegnare nella propria lingua materna. Non poche le reazioni dalla Romania, che sono arrivate fino all’annullamento della visita che il presidente Klaus Iohannis aveva prevista in Ucraina. Secondo i critici, la legge potrebbe generare conflitti, scontentezze sociali e instabilità in Ucraina.

    Presente nell’aula del Parlamento ucraino, il deputato Grigore Timis, etnico romeno, non ha partecipato al voto, ritirando la scheda dal sistema elettronico e protestando contro l’adozione di questa legge. Ospite in un programma a Radio Romania, Grigore Timis ha valutato che la decisione delle autorità di Kiev si verifica sullo sfondo della tendenza di russificazione esistente nell’est del Paese, però la misura lede tutte le minoranze: Se finora noi, i romeni, eravamo orgogliosi delle oltre 100 scuole fino a poco fa, adesso ne sono rimaste 70 e, non so come, da un anno all’altro scompaiono. Soprattutto nella regione di Cernauti sono rimaste poco più di 60 scuole. Le legge attuale prevede l’insegnamento in lingua materna solo all’asilo d’infanzia e alla scuola elementare. Per gli altri livelli, si studierà in ucraino e resta come materia di studio in lingua materna la letteratura.

    Circa mezzo milione di etnici romeni vivono nello stato confinante, in maggioranza nei territori romeni orientali annessi nel 1940, in seguito ad un ultimatum, dall’ex Unione sovietica e attribuiti nel 1991 all’Ucraina, come stato successore. Bucarest ha criticato ripetutamente l’adozione della nuova legge sull’istruzione in Ucraina. I Ministeri degli Esteri, quello per i Romeni nel mondo e il Parlamento hanno preso posizione, mentre autorità dei due stati confinanti hanno svolto una serie di colloqui. Nulla ha convinto però Petro Poroshenko a cambiare idea di firmare la legge adottata dal parlamento ucraino all’inizio di settembre.

    Su richiesta della Romania, appoggiata da altri cinque Paesi, il caso è arrivato anche all’attenzione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, la quale ha adottato una risoluzione critica relativa alla nuova legge ucraina sull’istruzione. La risoluzione prevede che qualora gli stati non prendessero delle misure intese a promuovere la lingua ufficiale, esse non devono contravvenire alle misure volte a proteggere e a promuovere le lingue delle minoranze nazionali. Poichè se tale fatto non viene rispettato, il risultato sarà l’assimilazione e non l’integrazione, hanno richiamato l’attenzione i membri dell’Assemblea.

    Dei problemi relativi al rispetto del diritto all’istruzione in lingua romena si verificano anche in Transnistria, nell’est della Moldova. I licei nei quali si studia in romeno sulla riva sinistra del Dniester sono il target permanente delle politiche anti-romene dei separatisti di Tiraspoli. Un esempio in tal senso è il Liceo Stefano il Grande e Santo di Grigoriopol, lasciato senza sede dalle autorità della Transnistria già 15 anni fa. Cosicchè gli alunni e i professori sono costretti a fare la spola ogni giorno a Dorotcaia per studiare e insegnare in romeno. La direttrice del liceo, Eleonora Cercavschi, spiega: Sono decine di anni che i nostri diritti vengono violati. Ci siamo rivolti alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, che ci ha fatto giustizia. Da cinque anni, continuiamo a fare degli iter in difesa dei nostri diritti. Purtroppo, nulla è cambiato fino ad oggi e siamo venuti a dire alla Federazione Russa che la ferita è viva e sanguinante.

    La prof.ssa Cercavschi ha fatto questa dichiarazione durante una protesta davanti all’Ambasciata della Federazione Russa a Chisinau, per denunciare il fatto che Mosca non rispetta la decisione della CEDU del 19 ottobre 2012, tramite cui il governo russo era riconosciuto come responsabile della violazione del diritto all’istruzione nella regione separatista della Transnistria. (traduzione di Iuliana Anghel)

  • Posizione scomoda per la NATO?

    Posizione scomoda per la NATO?

    Il calo degli investimenti nel campo della ricerca e dello sviluppo può spingere l’Alleanza Nord-Atlantica in una posizione scomoda, soprattutto nei confronti della Russia e della Cina. La conclusione emerge da un documento presentato in occasione della recente sessione dell’Assemblea Parlamentare della NATO, svoltasi a Bucarest, dal relatore generale Thomas Marino (USA). Il documento paragona la situazione delle due grandi potenze dell’est a quella dei Paesi membri dell’Alleanza Nord-Atlantica e richiama l’attenzione sul fatto che il vantaggio tecnologico della NATO è in via di erosione. Appaiono cambiamenti notevoli nel campo della scienza e della tecnologia, e alcune tendenze potrebbero ledere l’equilibrio strategico in materia di produzione, a breve termine, e l’intelligenza artificiale, a lungo termine, considera Marino, stando al quale, per ora, la NATO non è pronta a far fronte a tutte queste sfide.

    E un principale motivo individuato sarebbero i bassi investimenti, in alcuni stati membri dell’Alleanza, nel campo della ricerca e dello sviluppo nel settore della difesa. In contropartita, le cifre per la Russia e la Cina parlano da sè: il budget destinato da Mosca alla ricerca e allo sviluppo nel campo della difesa è raddoppiato dal 2012 al 2015, mentre quello di Pechino supererà entro il 2022 quello di Washington che attualmente regge due terzi delle spese totali della NATO. Perchè sono importanti queste coordinate? Una possibile risposta può essere considerata la valutazione della Commissione politica dell’Assemblea Parlamentare della NATO, la quale indica in un rapporto che la Russia sta rafforzando le capacità militari ed estende le azioni al confine orientale dell’Alleanza Nord-Atlantica, portando pressione nello spazio euroatlantico.

    Ospite a Radio Romania, Vergil Chitac, il capo della delegazione della Romania presso l’AP della NATO, delinea il quadro geostrategico della zona: E’ chiaro che dopo l’annessione della Crimea da parte della Federazione Russa nel 2014, è finita la vacanza geostrategica che noi, in questa zona, abbiamo avuto per un quarto di secolo, dalla fine della Guerra Fredda finora. In questo momento, la Russia è un attore, diciamolo, scontento del posto che gli viene offerto al tavolo della geopolitica mondiale. La Russia crede – questa è la sua tesi – che le grandi potenze devono avere una parola da dire nelle loro aree di egemonia. Dal momento dell’annessione della Crimea sono state avviate delle azioni provocatorie nei confronti dell’Alleanza Nord-Atlantica – la militarizzazione della Crimea è una realtà. Dopo l’Esercitazione Caucaso 2016, il capo dello stato maggiore dell’esercito russo, il generale Gherasimov, ha detto – e cito dalla memoria – la Russia domina interamente il bacino del Mar Nero ed è capace di distruggere qualsiasi target dal momento in cui si mette in moto dal porto di dislocamento. Lo scopo strategico della militarizzazione della Crimea è stato il seguente: il complesso militare e la potenza militare della Crimea proietta il potere militare della Russia nell’est del Mediterraneo. In questo momento la Russia ha una presenza molto attiva nella zona di conflitto Siria-Iraq. Però più della militarizzazione della Crimea, la destabilizzazione dell’Ucraina, le azioni provocatorie attraverso esercitazioni militari, la Russia è una presenza attiva nei Balcani occidentali. Fa di tutto affinchè questi Paesi non possano aderire all’Unione Europea, tramite vari metodi – concede loro dei prestiti, progetti energetici, desta sentimenti anti-occidentali, soprattutto in Serbia. Non dobbiamo dimenticare questa guerra asimmetrica, la propagada, la diffusione di notizie false. Tutte le azioni della Russia altro non fanno che minare l’Alleanza Nord-Atlantica e tentare di dividere l’Europa, e persino di destrutturarla.

    La sicurezza nella zona del Mar Nero e la minaccia russa hanno costituito alcuni dei temi più ricordati nei discorsi dei partecipanti all’Assemblea Parlamentare dell’Alleanza Nord-Atlantica di Bucarest. Il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, ha espresso la gratitudine alla Romania per i contributi alla difesa collettiva, e ha precisato che la NATO mantiene le promesse e si adatta alle nuove sfide e a una nuova minaccia sulla sicurezza. Nel contesto della guerra informazionale della Russia, Jens Stoltenberg ha parlato della libertà di stampa ora che, precisava il responsabile NATO – siamo il target di tentativi dall’esterno, di interferenza o disinformazione. Siamo preoccupati della crescita militare della Russia nelle aree di confine e della mancanza di trasparenza delle esercitazioni militari di quest’anno, aggiungeva Stoltenberg, sottolineando che l’Alleanza non vuole isolare la Russia e neanche auspica una nuova guerra fredda.

    Alla minaccia della Russia ha fatto riferimento anche il presidente romeno, Klaus Iohannis, il quale si è pronunciato per il consolidamento del fianco est dell’Alleanza Nord-Atlantica. Va consolidato anche il Partenariato Nord-Atlantico, come pure quello tra la NATO e l’Unione Europea, alla luce dell’aggravarsi del clima di sicurezza, ha detto inoltre il capo dello stato, assicurando che la Romania continuerà a confermarsi un alleato affidabile.

  • Verso Schengen

    Verso Schengen

    Previsto inizialmente per marzo 2011, l’ingresso della Romania nell’Area Schengen, accanto alla Bulgaria, è stato rinviato ripetutamente. I motivi invocati lungo il tempo sono stati connessi al mancato adempimento di alcuni degli obiettivi assunti nell’ambito del Meccanismo di Cooperazione e Verifica. Si tratta di obiettivi riguardanti la corruzione, la giustizia e la lotta alla criminalità organizzata, però, ricordano i responsabili di Bucarest, non andrebbero fatte delle connessioni tra l’adesione a Schengen e il Meccanismo di Cooperazione e Verifica. Il fatto che la Romania ha riunito tutte le condizioni tecniche, riconosciuto da tutti gli stati membri già da parecchi anni, ricorre in dichiarazioni di fattori decisionali di Bruxelles o in varie cancellerie, però la concretizzazione ritarda. Sullo sfondo dell’afflusso massiccio di rifugiati dall’ovest europeo degli ultimi anni, la meta della Romania sembra sempre più vicina al raggiungimento.

    Poco dopo che, nel suo discorso sullo stato dell’Unione, il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, si è pronunciato a settembre per l’ingresso dei due Paesi nell’Area Schengen, il messaggio è stato ripreso a Bucarest dal commissario europeo per l’Unione della sicurezza, Julian King. Ma anche dal relatore speciale Ulla Schmidt, che sempre a Bucarest, in occasione della presentazione di un documento sulla Promozione della stabilità nella regione del Mar Nero, ha dichiarato che l’ingresso di Romania e Bulgaria nell’Area Schengen rappresenta un passo che ovviamente va fatto, le condizioni preliminari essendo riunite.

    L’iniziativa delle sinergie del Mar Nero va riportata in vita e completata da una strategia macroregionale. Credo che nel periodo 2018-2019, quando la Romania e la Bulgaria assumeranno la presidenza dell’UE, questi mandati metteranno in risalto l’immenso potenziale nella zona del Mar Nero, ha sottolineato per l’occasione Ulla Schmidt. Stando alla relazione elaborata dal relatore, la regione del Mar Nero ha un potenziale enorme, che però si confronta con grosse difficoltà, avendo l’opportunità di svilupparsi in una direzione positiva o affrontare nuove crisi. A settembre, la Commissione Europea ha sollecitato ufficialmente a tutti i governi degli stati membri dell’Unione di approvare la piena integrazione di Romania e Bulgaria, sottolineando la necessità che siano portate a termine senza ritardi le procedure di adesione per aumentare la sicurezza dell’Unione Europea davanti al terrorismo e alle sfide della migrazione.

    A Bucarest, il commentatore Bogdan Chirieac è scettico, però, sulle chance dell’entrata in Schengen, anche se Jean-Claude Juncker si è pronunciato apertamente a favore: Sapete molto bene che sono subito apparse le reazioni laddove non ci aspettavamo, anche dall’Austria, contro l’ingresso di questi due Paesi nell’Area Schengen. D’altra parte, in questo momento non credo fosse bene che la Romania e la Bulgaria entrassero in Schengen, poichè avremmo dei problemi insuperabili con la migrazione. Per ora, i flussi migratori passano per la Romania solo in modo collaterale, altrimenti tentano di entrare direttamente nell’Area Schengen. Quindi, da questo punto di vista, se entrassimo in Schengen, renderemmo piuttosto un enorme servizio all’Unione Europeo che un vantaggio a noi stessi.

    Le aspirazioni della Romania sono le stesse. Resta, però, da vedere se il segnale incoraggiante giunto da Bruxelles risolverà qualcosa o se ci saranno nuovamente dei riserbi da parte di Paesi come l’Olanda, finora contrari? Ospite a Radio Romania, il commentatore Cornel Codita spiega: Attualmente esiste una rottura tra quello che vuole la Commissione, quello che promuovono i media in un certo qual modo tramite il presidente della Commissione e quello che è l’umore, per così dire, politico dei leader dei principali Paesi europei, non solo in Olanda. Temo che abbia partita vinta il progetto ridisegnato nei giorni scorsi dal presidente francese Macron. Cioè l’idea di una cooperazione avanzata tra i Paesi avanzati acquisirà chiaramente sostanza e l’intera costruzione Schengen sarà riorganizzata. Cioè, molto probabilmente ci sarà un’Area Schengen del nucleo principale e un’altra cosa, non si sa che cosa, per gli altri. Quindi, se una decisione politica non viene presa – diciamo – entro un anno, un anno e mezzo, le chance di raggiungere il vecchio meccanismo Schengen stanno diminuendo fortemente. D’altronde, Emmanuel Macron si è pronunciato e ha detto chiaramente che il vecchio sistema Schengen, cioè quello attuale, non funziona più.

    Per ora, come annunciava Jean-Claude Juncker in una lettera d’intenti, Bruxelles ha proposto delle misure per mantenere e consolidare l’Area Schengen. La Commissione ha proposto l’aggiornamento del Codice delle frontiere Schengen, affinchè le norme sulla reintroduzione temporanea dei controlli alle frontiere interne siano adattate alle necessità del presente, rispettivamente essere in grado di rispondere alle minacce gravi persistenti e in continua evoluzione contro l’ordine pubblico o la sicurezza interna.

  • Germania dopo il voto

    Germania dopo il voto

    Ora più che mai, l’Europa ha bisogno di un governo federale stabile in Germania. Lo ha sottolineato il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, nella lettera di congratulazioni rivolta alla cancelliera Angela Merkel, la quale si è aggiudicata un quarto mandato in seguito alle elezioni politiche del 24 settembre. Atteso con interesse, lo scrutinio tedesco ha apportato delle modifiche alla gerarchia del legislativo federale. I risultati definitivi indicano i conservatori come grandi vincitori, con il 33% dei voti, però dell’8,5% in meno rispetto alle elezioni del 2013.

    Ospite a Radio Romania, il docente Ioan Bogdan Lefter delinea l’altra parte dello scacchiere politico della Germania postelettorale: I socialdemocratici sono arrivati secondi, una posizione che, già scendendo verso il 20%, li rende il secondo partito del Paese, un partito con una capacità modesta di avere influenza sul governo. Ciò se non entreranno più a farne parte, poichè sappiamo che la Germania ha avuto la grande coalizione, democristiani e socialdemocratici. Ora già i socialdemocratici, per la voce di Martin Schulz, hanno annunciato di non starci più nella coalizione con i democristiani. Seguono i quattro partiti che riuniscono oltre il 40% dell’elettorato e che rendono un po’ complicato il gioco politico. Era anticipato l’ingresso nel Parlamento dell’Alleanza per la Germania, la destra ultraradicale, e raggiungono risultati arrotondati verso il rialzo, attorno al 10%, i liberali, il Partito Democratico Libero, i verdi e La Sinistra – Die Linke. Sono soprattutto i liberali e i verdi ad essere compatibili con l’Unione Cristiano-Democratica (CDU), e probabilmente da quest’area emergerà la coalizione. Non è facile, anche lì ci sono delle vertenze tra gli uni e gli altri, ma da quel punto sarà costruito il governo che terrà le redini della Germania nei prossimi quattro anni.

    I democristiani della CDU si sono aggiudicati il maggior numero di seggi, però resta il gusto amaro della più bassa percentuale ottenuta dal 1949 ad oggi. I socialisti di Martin Schulz, che hanno registrato il più scarso risultato della loro storia, hanno annunciato subito dopo la chiusura delle urne di passare all’opposizione. Il leader socialdemocratico tedesco, Martin Schulz, considera però che la cosa più deprimente è il consolidamento dell’Alternativa per la Germania. E’ una svolta, ha spiegato Schulz il quale, anche dalla posizione di Presidente del Parlamento europeo, ha appoggiato costantemente la politica di apertura nei confronti dei migranti promossa dalla cancelliera Merkel.

    Il prof. Ioan Bogdan Lefter torna ad analizzare gli esiti dello scrutinio in Germania: Elezioni tranquille, con risultati molto prevedibili, con problemi posti dalla costituzione della coalizione e l’entrata del partito di estrema destra nel Parlamento. Insisto nel dire che la proporzione non è però talmente alta, il segnale è preoccupante, ma non si tratta di una percentuale in grado di mettere in pericolo in alcuna maniera la democrazia tedesca in questo momento. Vedremo cosa succederà nel Parlamento. La signora Merkel resta un leader politico di grande portata, dominerà la Germania e l’Unione Europea, la politica mondiale, anche nei prossimi anni.

    Sono in corso le discussioni sulla formazione del governo, però gli analisti concordano che i veri negoziati cominceranno appena dopo il 15 ottobre, quando i conservatori auspicano di vincere le elezioni amministrative nel lander della Bassa Sassonia. Un primo passo verso la formazione di una nuova coalizione può essere considerata la decisione del ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, di accettare la carica di presidente della camera bassa del Parlamento. Poichè così è stata aperta la strada che consente ad un altro partito di nominare un titolare del dicastero rimasto vacante. Un aspetto mica trascurabile nelle condizioni in cui il Partito Democratico Libero (FDP), ad esempio, ha già annunciato l’intenzione di ottenere questo ministero per entrare nella coalizione capeggiata dalla cancelliera Angela Merkel. Le agenzie stampa ricordano che Wolfgang Schäuble è diventato uno dei più influenti politici europei nel periodo della crisi dei debiti nell’eurozona, e la cancelliera spera che la sua autorità conferisca una maggiore visibilità alla carica di presidente del Bundestag e sia in grado di controllare le fazioni della Camera bassa del Parlamento tedesco, la quale, in seguito delle elezioni, ha due nuovi partiti.

    Che rilevanza ha l’esito delle elezioni in Germania all’estero? Il prof. Lefter spiega: La prima cosa che penso si possa dire è che la stabilità della Germania è utile all’intera Unione Europea e, alla fine, all’intero pianeta, a cerchi concentrici – UE, spazio euroatlantico e così via. Parliamo della stabilità di una Germania che è andata molto bene ultimamente, negli ultimi oltre 10 anni da quando la signora Merkel è cancelliera. Un’economia forte, stabile, un Paese con un ruolo moderatore notevole, la principale forza politica in contesto euroatlantico e globale, che ha sollecitato, ha imposto, si è pronunciato favorevolmente, ha insistito e ha anche ottenuto dei risultati dalle politiche di austerità che hanno ripristinato l’equilibrio nelle economie colpite dallo tsunami della grande crisi finanziaria, diventata crisi economica dopo il 2007-2008.

    Allo stesso tempo, aggiunge il prof. Lefter, non va dimenticato il ruolo di Berlino come principale forza politica in materia di negoziati, posizione e decisione in alcuni dossier difficili relativi alla politica recente nell’UE, come il caso della Grecia o la grande migrazione.