Category: La società

  • Chiesa e popolo, bilancio centenario

    Chiesa e popolo, bilancio centenario

    Il 2025 è stato dichiarato dal Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Romena Anno di Omaggio al Centenario del Patriarcato Romeno. Una legge in questo senso è stata adottata anche dal Parlamento di Bucarest. Infatti l’anniversario è doppio! Sono trascorsi 100 anni dall’elevazione della Chiesa Ortodossa Romena al rango di Patriarcato (il 4 febbraio 1925), non prima che la sua Autocefalia fosse riconosciuta 140 anni fa (il 25 aprile 1885). Si tratta, quindi, di un’occasione di grande gioia e festa, ma anche di bilanci centenari.

    Oltre all’attuale attività liturgica o all’assistenza religiosa che presta negli ospedali, negli orfanotrofi, nei penitenziari o nelle case di riposo per gli anziani, la Chiesa Ortodossa svolge da tempo anche una vasta attività socio-filantropica a sostegno delle persone svantaggiate o con diverse problematiche. Il consigliere per le questioni sociali del Patriarca della Chiesa Orodossa Romena Daniele, il padre Ciprian Ioniță, rievoca brevemente il passato di questa attività: “È il comandamento del nostro Salvatore Gesù Cristo amare il prossimo e chi ha bisogno di aiuto, e noi, come Chiesa, abbiamo sempre avuto centri socio-sanitari accanto ai monasteri, e recentemente alcuni di essi sono stati accreditati, autorizzati e offrono servizi di qualità alle persone vulnerabili. Subito dopo il 1990 sono nate fondazioni presso la Chiesa: parliamo dell’Associazione Diaconia del Patriarcato romeno, della Fondazione Santa Macrina, della Fondazione Solidarietà e Speranza di Iasi, che possiede anche il più grande ospedale che abbia la Chiesa Ortodossa… Sono tante! Abbiamo una mappa con tutti i servizi sociali, aggiornata, sul sito social-filantropic.patriarhia.ro. Lì troviamo assolutamente tutti i servizi che la Chiesa sta sviluppando in questo momento. Ogni diocesi ha almeno un settore socio-filantropico dove sono presenti un consigliere e degli ispettori diocesani, nonché delle ONG, e il sacerdote che vuole sviluppare un’attività a livello della sua parrocchia può rivolgersi sia alla diocesi per ricevere orientamento, sia a noi, al Patriarcato. Abbiamo anche una Federazione, quella del Patriarcato romeno, che riunisce le più importanti ONG che ha la Chiesa, al momento 27”.

    Le azioni della Federazione Filantropica, attraverso le associazioni e le fondazioni che la compongono, non escludono né l’ambiente urbano né quello rurale. Solo che, dato che nelle zone rurali il numero delle persone bisognose è maggiore, anche il sostegno a loro concesso è un po’ più consistente, pari a circa il 60%. Sentiamo il padre Ciprian Ioniță: ʺPosso farvi un esempio di oggi? La Federazione Filantropica ha lanciato una campagna dal titolo “Aiuta un vecchio a sorridere”: aiutiamo gli anziani vulnerabili. E abbiamo ricevuto una richiesta da una parrocchia da qualche parte al confine tra la provincia di Bacău e quella di Harghita… Abbiamo una campagna per offrire consulenza oftalmologica, ma anche occhiali gratuiti. Cosa facciamo? Andiamo con i nostri volontari, consultiamo gli anziani e poi veniamo a Bucarest, facciamo ordinare il tipo di occhiali di cui ogni persona ha bisogno e poi glieli portiamo oppure va il sacerdote. Proprio oggi abbiamo ricevuto una richiesta del genere per 70 persone. Abbiamo delle attività in corso che trovate sulla nostra pagina Facebook, nell’ambiente online… è così che ne è venuto a sapere il sacerdote, mi ha chiamato, gli ho detto di contattare prima il consigliere sociale dell’arcidiocesi di Roman e Bacău, e insieme a lui abbiamo fatto una richiesta, la presentiamo al Patriarca e ovviamente ci darà il via libera”.

    La Chiesa aiuta gli anziani: sono loro i beneficiari più numerosi. Ma aiuta anche circa 130.000 bambini messi a dura prova dal destino, madri single, donne vittime di violenza domestica, malati che non possono permettersi cure mediche a caro prezzo, che non hanno nulla da mettere sul tavolo o che necessitano di consulenza, ad esempio disoccupati o tossicodipendenti. Il Consigliere del Patriarca della Chiesa Ortodossa Romena ci ha detto: “La Federazione Filantropia è un fornitore di formazione e abbiamo un corso di specializzazione nella consulenza sulla dipendenza. Inizialmente pensavamo che sarebbe stato utile che i nostri confratelli sacerdoti conoscessero questa parte, ma nel frattempo abbiamo ricevuto tantissime, tantissime richieste da parte di insegnanti o di persone che lavorano in alcuni centri di contrasto della dipendenze e affrontiamo, in questo corso, tutti i tipi di dipendenza: da alcol, dipendenze digitali, tossicodipendenze… E’ un corso che, ultimamente, è molto apprezzato. I corsi vengono tenuti da coloro che vogliono aiutare le persone che si trovano in una situazione di dipendenza, ma abbiamo avuto anche un corso a Târgu Mureș, circa due anni fa, in cui c’erano persone che avevano superato la dipendenza e volevano fare questo corso per poter aiutare coloro che si trovano in simili situazioni.ʺ

    Il corso finalizzato al contrasto delle dipendenze esiste dal 2022 e grazie ad esso sono state formate finora circa 500 persone. Di grande interesse sono anche i corsi di specializzazione o di formazione professionale. Ad esempio, in futuro la Chiesa Ortodossa Romena vuole sviluppare una propria rete di assistenti domiciliari. Su questo progetto, ma anche su altri, il sacerdote Ciprian Ioniță: “Riteniamo che gli anziani siano molto vulnerabili e abbiano bisogno di aiuto, e per questo vogliamo formare una rete di assistenza domiciliare a livello di tutto il Patriarcato, soprattutto perché, col passare del tempo, le statistiche mostrano che la Romania sta diventando un paese piuttosto invecchiato e, in qualche modo, veniamo in aiuto di queste persone. È uno dei progetti, diciamo, del prossimo futuro. Sono stati presentati diversi progetti anche per i bambini. Abbiamo avuto progetti e ne avremo altri nel settore dell’ecologia. Abbiamo avuto iniziative nella Chiesa Ortodossa Romena insieme alla Repubblica Moldova. Proprio ieri sono tornato da un corso sulla violenza domestica, a cui ho partecipato come formatore per i sacerdoti della Repubblica Moldova. Abbiamo tanti progetti!ʺ

    Non dimentichiamoli e aggiungiamo qui quelli, numerosissimi, destinati ai romeni che vivono all’estero!

    “Il secolo di esistenza e di ricca attività del Patriarcato romeno – ha detto il Patriarca Daniele – è stato segnato da molte benedizioni, ma anche da alcune prove difficili”. Qual è la più difficile dal punto di vista dell’attività socio-filantropica? Il consigliere patriarcale Ciprian Ioniță: «La cosa più difficile, a volte, è quando, per mancanza di fondi, un centro chiude e dobbiamo convincere le persone che dipendono dai servizi che abbiamo in quel centro a spostarsi in un altro centro. Ma, grazie a Dio, anche se un centro chiude, probabilmente ne apriranno due. Se, ad esempio, nel 2022 avevamo 767 servizi, quest’anno ne abbiamo 100 in più – 867”.

    Il consigliere per le questioni sociali del Patriarca della Chiesa Ortodossa Romena, il padre Ciprian Ioniță, è coautore di un libro di bilancio sull’attività socio-filantropica centenaria della Chiesa Ortodossa Romena. Apparirà in ottobre, quando l’Anno di omaggio al Centenario del Patriarcato romeno culminerà con la grande consacrazione della Cattedrale Nazionale a Bucarest.

  • “Un lavoro per le donne” – soluzioni per la disuguaglianza di genere nei campi STEM

    “Un lavoro per le donne” – soluzioni per la disuguaglianza di genere nei campi STEM

    A livello globale, le statistiche dell’UNESCO mostrano che le donne rappresentano solo un terzo dei ricercatori scientifici e che questa percentuale è rimasta stabile negli ultimi dieci anni. Ai livelli più alti, cioè nelle posizioni dirigenziali e come membri delle accademie nazionali delle scienze, le donne rappresentano però solo il 12%.

    Secondo dati del 2023, in Romania le ragazze e le donne rappresentano il 41% dei laureati nel settore STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), al di sopra della media europea del 32,8%. Nella classifica europea, i due paesi con le percentuali più alte sono la Polonia e la Grecia. Tuttavia, le romene con un dottorato in scienza e tecnologia rappresentano solo lo 0,24% della popolazione totale della Romania, il che ci colloca all’ultimo posto nell’Unione Europea. Inoltre, solo una persona su cinque impiegata nei settori STEM in Romania è una donna.

    Gli esperti nel campo della scienza sono del parere che dovremmo guardare meno alle cifre che pongono la Romania al primo posto tra i paesi con donne che hanno una laurea o lavorano nel campo scientifico e più alla scarsa rappresentanza delle donne in posizioni di leadership nella ricerca. Una possibile spiegazione per l’apparente coinvolgimento delle donne romene nei campi STEM, cioè il fatto che abbiamo la più alta percentuale di donne laureate in Romania, può essere attribuita al passato comunista. Gli sforzi di alfabetizzazione e professionalizzazione di massa delle donne per modernizzare la società non erano basati su politiche di uguaglianza di genere o movimenti femministi.

    Alcune soluzioni, però, arrivano proprio dal mondo scolastico, dalle ragazze direttamente colpite da questa disuguaglianza. Il progetto “Ragazze nello STEM” è stato avviato nel maggio-giugno 2024 dall’organizzazione Girl Up Neuroscience, finanziata dalle Nazioni Unite e guidata da dieci giovani studenti delle scuole superiori. Marina Suvac, studentessa del dodicesimo anno del Collegio Nazionale “Vasile Alecsandri” di Galați (Romania orientale) e presidente dell’organizzazione Girl Up Neuroscience, spiega: “Io ho notato questa mancanza di rappresentazione in termini di femminismo, di donne in questo campo, e io sono appassionata di neuroscienze. È una passione personale, ci sono molti progetti tipo Ragazze nello STEM, ossia donne nella scienza in generale, e di solito sono concentrati sugli studenti delle scuole superiori, ma ho pensato di fare qualcosa di più specifico nelle neuroscienze, perché STEM è un’area più ampia, ne include di più, ed è fondamentalmente così che è nata Girl Up Neuroscience. Ho anche trovato questa iniziativa internazionale, Girl Up: hanno un sito web molto, molto dettagliato che permette molto, e da lì ho imparato qualcosa in più su di loro e ho voluto essere in qualche modo parte del loro cambiamento.”

    Sebbene esistano progetti che mirano a incoraggiare le ragazze a scegliere questo campo, Marina afferma che sono rivolti principalmente agli studenti delle scuole superiori. Secondo lei a questo punto è già troppo tardi: l’indirizzo della scuola superiore è già stato scelto, ed è già radicata l’idea che le scienze esatte siano un ambito più maschile. Alla domanda su cosa siano riuscite a fare finora, nel tempo libero, quando non frequentano le lezioni, Marina Suvac ha risposto: “Abbiamo fatto nove webinar, se ricordo bene, che sono eventi nazionali, in cui invitiamo relatori di vari settori. C’erano molte relatrici, provenienti da molti campi: anche donne nello stesso ambito STEM, ma anche che si occupavano solo di femminismo o solo di neuroscienze. Quest’anno siamo arrivati anche alla parte della salute mentale. Ragazze nello STEM, che era il nostro progetto estivo, si è svolto tra giugno e agosto ed è consistito in una conferenza e tre workshop, che erano hands on workshops, ovvero attività in cui le ragazze di età compresa tra 10 e 14 anni sono state invitate a fare esperimenti reali.”

    Per quanto riguarda gli effetti tangibili della mancata rappresentanza delle donne nelle scienze esatte, Marina Suvac afferma di averli sentiti sulla propria pelle. “Io, nella prima media, frequentavo questa scuola superiore i cui studenti partecipavano a varie Olimpiadi e principalmente Olimpiadi delle scienze, e nella mia classe a quel tempo c’erano cinque ragazze su 21 studenti. Era una classe di informatica e chimica.”

    Agli eventi organizzati da Girl Up Neuroscience hanno partecipato donne romene che si sono laureate nelle facoltà di scienze o lavorano nei campi STEM in Romania e all’estero. Oltre a conferenze, webinar e workshop con decine di esperimenti, il team di Girl Up Neuroscience, composto da più di duecento studenti delle scuole superiori che lavorano come volontari, ha pubblicato sul sito numerosi articoli esplicativi. Tra i temi trattati ci sono l’intelligenza emotiva, gli effetti dei traumi, il circuito della dopamina, la neurodiversità, ma anche temi che affrontano l’uguaglianza di genere.

    Uno studio del 2021 condotto in sette paesi ha dimostrato che inclusivamente gli stereotipi di genere dei genitori potrebbero svolgere un ruolo decisivo nel perpetuare la disuguaglianza di genere nei campi STEM. Pertanto, secondo le risposte, i genitori partecipanti al sondaggio erano sei volte più propensi a immaginare un uomo quando veniva chiesto loro di pensare a uno scienziato (85%) e otto volte più propensi quando pensavano alla professione di ingegnere (89%).

  • Il cancro e lo stile di vita

    Il cancro e lo stile di vita

    Si sente parlare, sempre più spesso, di decessi causati dai più diversi tipi di cancro. E il numero dei giovani che cadono preda di questa malattia è in aumento! La tendenza è osservata in tutto il mondo: uno studio che analizza le statistiche globali e si concentra su 29 tipi di cancro nelle persone di età compresa tra 14 e 49 anni mostra che, tra il 1990 e il 2019, l’incidenza dei tumori è aumentata di circa il 79%.

    Questa tendenza in crescita è valida anche in Romania. La realtà nazionale è crudele: il cancro è la seconda causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari: un decesso su sei è causato dal cancro. Nell’Unione Europea, la Romania è al primo posto nella mortalità per patologia oncologica, registrando il 48% di decessi in più rispetto alla media europea e oltre 20.000 decessi che potrebbero essere evitati ogni anno.

    Perché questo aumento dei casi, in generale, e tra i giovani, in particolare? Ci sono molte cause. Tra queste – lo stile di vita, compresa l’alimentazione, di cui parla il professore universitario Mircea Beuran, dottore in scienze mediche, specializzato in chirurgia oncologica presso l’Ospedale d’emergenza Floreasca di Bucarest: ʺIl cambiamento dello stile di vita! Lo osserviamo adesso come la punta dell’iceberg, ma ci sono osservazioni negli studi oncologici che i cambiamenti sono comparsi, lentamente, dopo gli anni ’50, con l’industrializzazione, con la modifica della vita nei paesi capitalisti, con la modifica delle emissioni inquinanti, della dieta, delle abitudini, ecc. Tutto ciò, nel tempo, nel contesto di alcuni cambiamenti genetici che tutti noi abbiamo, ha reso il terreno favorevole allo sviluppo del cancro. Questa analisi è internazionale: America, Giappone, Europa… questo picco di tumori tra i giovani è in aumento. Posso farvi un esempio, senza appoggiarmi alle statistiche puramente nazionali, ma ai dati che ha l’Ospedale Floreasca, in seguito all’incontro che noi medici abbiamo con questi giovani pazienti – abbiamo visto che il gran numero di tumori del tubo digerente, dell’esofago, dello stomaco, del colon, del retto, dell’intestino tenue, delle ghiandole annessiali, del fegato, del pancreas… sono in aumento. Ogni giorno, l’Ospedale Floreasca ha due, tre, quattro tumori del colon, del retto…complicati. È legato a molte cose: consumo di bevande gassate, bevande energetiche, alcol, fumo, stile di vita sedentario, lavoro sotto stress. Poi, molti sono dipendenti da attività sotto radiazioni blu, come il monitor del computer, il tablet, il telefono. Posso dirvi che ci sono alcune persone private del sonno, e non lo notiamo solo nei giovani adulti, ma lo notiamo anche, dalle discussioni con loro, nei loro figli.ʺ

    Secondo il professor Mircea Beuran, il tipo più comune di cancro è quello del colon-retto, che il famoso chirurgo attribuisce ad una dieta inadeguata: ʺMi riferisco al fatto che gran parte del cibo che mangiamo proviene da cose ultra-lavorate. Questa ultralavorazione non fa altro che caricare l’alimento in questione di una serie di sostanze dannose, che sono legate alla colorazione, alla conservazione, alla particolarità dell’odore, ecc. Attraverso il contatto diretto, giorno dopo giorno, non possono produrre che cambiamenti a livello cellulare. Questi cambiamenti a livello cellulare, nel tempo, sviluppano tumori. Tumori di ogni tipo. Consumate verdura, frutta quanto più possibile! E le opzioni alimentari di cui continuiamo a discutere riguardano il non utilizzare questo cibo che non viene cucinato in casa”.

    L’ultimo pasto della giornata – consiglia il medico – dovrebbe essere consumato intorno alle 19:00. E, quando mangiamo, non dobbiamo alzarci da tavola sazi, per dare al corpo la tranquillità di cui ha bisogno per digerire il cibo. Quanto al consumo di alimenti di notte, assolutamente sconsigliato. C’è un’opinione, nel mondo medico internazionale, che le bevande alcoliche dovrebbero riportare sull’etichetta, come il tabacco, un monito sul rischio di generare tumori. Il professor Dr. Mircea Beuran ritiene che sarebbe una buona cosa: ʺIl consumo di alcol, anche in piccole quantità, è associato a sette tipi di cancro. Il consumo cronico di alcol, anche in piccole quantità, modifica il comportamento dell’organismo favorendo l’obesità. E se l’alcol si unisce al fumo e alla sedentarietà, questo non porta che cambiamenti molto importanti, a cominciare dal cavo orale. Quindi, questi consumatori cronici di alcol hanno tumori alla bocca, all’esofago, alla faringe, alla laringe, sviluppano il cancro al fegato, sviluppano il cancro del colon-retto, le donne sviluppano il cancro al seno. L’alcol aumenta il livello degli ormoni, in particolare degli estrogeni e dell’insulina. L’aumento dell’ormone estrogeno è causa di cancro al seno, e gli estrogeni e l’insulina non fanno altro, come gli ormoni, che provocano una divisione, una moltiplicazione più frequente delle cellule, motivo per cui, ad un certo punto, l’organismo non riesce più a controllare questa divisione e possono trasformarsi in tumori cancerosi”.

    Insomma, grande attenzione alla quantità e alla qualità! Uno stile di vita pericoloso, che seguiamo da molto tempo, può distruggere la nostra salute e perfino la vita stessa.

  • L’abitazione come diritto umano fondamentale

    L’abitazione come diritto umano fondamentale

    I costi abitativi rappresentano la spesa maggiore delle famiglie nell’Unione Europea, e l’aumento dei prezzi delle case e degli affitti, i costi elevati di costruzione e l’aumento dei tassi di interesse ipotecari sono solo alcuni degli effetti. Dove si colloca la Romania in questo panorama? “L’alloggio deve essere considerato un diritto fondamentale, affinché tutti gli europei, compresi i giovani e i gruppi vulnerabili, possano godere di condizioni di vita dignitose e sostenibili.” Questo è stato il sentimento espresso all’unisono durante il primo forum sull’edilizia abitativa tenutosi alla fine dello scorso anno a Bruxelles.

    Un rapporto del 2023 ha mostrato che quasi la metà degli europei che pagano l’affitto ritiene di vivere con il rischio di dover lasciare la propria abitazione nei prossimi tre mesi perché non possono più permettersela. Nel frattempo, i senzatetto stanno diventando uno dei maggiori problemi del continente, con quasi un milione di persone senza tetto.

    Secondo il segretario generale della rete Housing Europe, Sorcha Edwards, l’attuale crisi immobiliare ha molti volti. Oltre alle aree e agli alloggi sovraffollati, che contrastano con le regioni sottooccupate, dobbiamo affrontare anche la povertà energetica, ovvero alloggi che non sono stati modernizzati e isolati e che spingono le persone in condizioni precarie: troppo caldo d’estate e troppo freddo d’inverno. Un altro problema sono gli alloggi per anziani e disabili, che non sono adatti alle loro esigenze. “Ci sono anche le vittime della violenza domestica che non hanno nessun posto dove andare. Poi abbiamo, ovviamente, il volto più visibile della crisi immobiliare: i senzatetto. Ma il problema e la ragione di questi problemi in alcune aree sono complessi. In alcuni casi, proprio perché si tratta di una questione molto complessa, gli enti locali e i governi non dispongono delle risorse necessarie; spesso non hanno le conoscenze necessarie per gestire questo complicato settore. Si sperava che il mercato si occupasse di questo problema e, naturalmente, quando lasciamo un settore come quello immobiliare esclusivamente al mercato, l’opportunismo e il profitto avranno la precedenza».

    Sebbene, secondo le statistiche Eurostat del 2023, la Romania sia il paese con la più alta percentuale di proprietari di casa (il 93% dei romeni possiede la casa in cui vive e solo il 7% la affitta), le case dei romeni sono tra le più affollate (40%), superati solo da quelli della Lettonia, con il 40,9%. Inoltre, le case in Romania e Slovacchia hanno il numero più basso di stanze per persona: 1,1 stanze contro una media europea di 1,6. Al polo opposto ci sono Malta e Lussemburgo, rispettivamente con 2,3 e 2,2 camere per persona. Nel 2023, solo l’1,5% dell’intera popolazione dell’UE viveva in famiglie senza servizi igienici all’interno, doccia o vasca da bagno, ma la percentuale di gran lunga più alta si trovava in Romania, oltre il 20% (seguita da Bulgaria e Lettonia, con il 7% ciascuna).

    Alla domanda su quali soluzioni la Romania potrebbe adottare, ispirandosi ai progetti di successo di altri stati membri, Sorcha Edwards ha risposto : “Ovviamente nel campo dell’edilizia abitativa un semplice copia-incolla delle soluzioni non è possibile. Bisogna considerare, tra l’altro, i bisogni locali, gli scenari specifici, le tendenze, il reddito medio della popolazione. Quali sono le previsioni riguardo agli sviluppi demografici, alle opportunità di lavoro; ci sono aree in cui sono previste maggiori opportunità di lavoro? I fattori da considerare sono quindi numerosi, ma una soluzione molto efficace è aumentare il numero di alloggi pubblici, sociali o a reddito limitato, a seconda del modello che meglio si adatta alla cultura e ai bisogni locali. I benefici di un simile approccio sono quelli di ridurre il rischio di esclusione abitativa, il tasso di sovraffollamento abitativo e offrire alle persone delle opzioni».

    Sebbene il panorama differisca da uno stato membro all’altro e anche da un’area all’altra, le principali difficoltà nel ridurre la crisi abitativa a livello europeo non differiscono molto da quelle affrontate dalla Romania. Sorcha Edwards: “Ora assistiamo a un aumento significativo dei prezzi dei materiali da costruzione, che rallenta il processo di consegna e al fatto che non abbiamo abbastanza accesso ai terreni necessari. Poi, se parliamo del potenziale di adattamento sostenibile degli edifici esistenti, che rappresenta un’ottima soluzione per ridurre l’impronta di carbonio (già incorporata nelle nuove abitazioni), uno degli ostacoli principali è ottenere i permessi da chi ha diritti di proprietà. Tutti questi problemi possono essere superati se abbiamo una visione chiara, una ferma volontà politica e obiettivi ben stabiliti”.

    Sebbene la Romania debba riprendersi sotto aspetti diversi rispetto agli altri stati membri, e sebbene anche qui i prezzi degli affitti e delle case siano aumentati, gli aumenti sono stati meno drammatici che nella maggior parte degli Stati. Se dal 2010 all’ultimo trimestre del 2024 i prezzi sono aumentati del 230% in Ungheria ed Estonia, del 181% in Lituania, del 113% in Portogallo e del 110% in Bulgaria, in Romania l’aumento è stato inferiore al 30%.

    Inoltre, secondo le parole dell’esperta Sorcha Edwards, “il settore immobiliare gioca a favore degli investitori”, e se il loro interesse non va oltre la massimizzazione del profitto nel più breve termine possibile, l’accesso alle case per tutti i cittadini europei continuerà a rimanere un problema.

  • “Ho bisogno di te!”

    “Ho bisogno di te!”

    Durante gli anni dell’università era nota come “la ragazza che salva cani”. Studentessa, nel 2010, della Scuola Nazionale di Studi Politici e Amministrativi di Bucarest, Laura Fincu incontrò Sache in circostanze tragiche: buttato dalla finestra del dormitorio studentesco dove abitava Laura, Sache, allora solo un cucciolo, è rimasto gravemente ferito ed è dovuto rimanere ingessato per mesi, durante i quali è stato curato da Laura e dai suoi colleghi. Ora, quasi 15 anni dopo, Laura si ricorda: «L’ho portato nel dormitorio e Sache è ne diventato l’emblema. Tutti poi si sono presi cura di lui e cosi’ ebbe ancora più amici. Ho provato a cambiare le cose e a lasciare quel dormitorio diverso da come l’avevo trovato. E ci sono riuscita! E’ così che ho iniziato, non avevo molte conoscenze nel settore, studiavo Comunicazione e Relazioni Pubbliche, avevo un altrro percorso nella vita e non sapevo esattamente cosa fare con gli animali randagi e ho iniziato col prendermi cura di loro, col tenerli in vita, col nutrirli e ulteriormentecol sterilizzarli… E infine, quando ho lasciato il dormitorio studentesco, ho trovato famiglie per 15 cuccioli e l’ho lasciato completamente vuoto di cuccioli randagi.ʺ

    E non solo! Sache ha cambiato completamente il corso della vita di Laura Fincu. Dopo aver terminato gli studi, Laura e una sua collega hanno deciso di aprire un piccolo studio veterinario, credendo, a poco più di 20 anni, di poter risolvere il problema degli animali randagi in Romania. Ciò che seguì superò le loro aspettative: nel 2016 nacque e si sviluppò l’associazione che porta il nome di Sache… Sache Vet: «Sache è sempre stato molto più di un semplice cucciolo. Siamo persone molto razionali, siamo un team medico ancorato alla realtà, ma Sache ha creato tantissima magia attorno a sé e penso che effettivamente il momento più bello sia stato quando mi sono resa conto che ha coagulato un team enorme di persone che hanno messo tutta la loro vita e le loro abilità al servizio del bene. E non solo! Sacheha salvato decine di migliaia di animali. È un promemoria o un simbolo che ci fa svegliare la mattina pieni di motivazione. Da un veterinario siamo arrivati a sei, un team medico di 16 persone, a 100.000 animali sterilizzati in 8 anni, migliaia di animali curati ogni anno e, ora, la costruzione di un ospedale sociale per gli animali”.

    L’80% delle famiglie con animali in Romania non può permettersi di offrire ai propri animali cure veterinarie adeguate, i costi sono elevati anche per le persone con un reddito medio. Per quanto riguarda gli animali randagi, troppo pochi sono i fortunati che incontrano soccorritori, la maggior parte dei drammi restano, quotidianamente, sconosciuti. Tuttavia, l’Associazione Sache cura gratuitamente qualsiasi animale senza famiglia o proveniente da una famiglia vulnerabile. E si adopera a espandere la propria capacità di aiutare gli amici a quattro zampe in difficoltà, costruendo – come avete appena appreso – il primo ospedale veterinario sociale in Romania.

    Situato nel comune di Tărtășești, nella provincia di Dâmbovița, l’ospedale veterinario Sache, destinato alle grandi emergenze, offrirà assistenza gratuita agli animali randagi e a quelli provenienti da famiglie senza mezzi finanziari. Per il resto dei clienti offrirà servizi a prezzi sociali per sostenere il programma gratuito: oltre il 90% del profitto verrà reinvestito nella causa e il resto in miglioramenti. Laura Fincu: ʺEsiste anche una categoria di persone capaci di molta violenza contro gli animali e noi esistiamo per quegli animali, per i più vulnerabili, per coloro che hanno bisogno di noi per vivere un altro giorno. Dopo 3 anni di lotta sì, è quasi pronto, l’ospedale è completo al 90%, siamo nella fase di allestimento interno, ma la soddisfazione cresce vedendo che ha preso forma ed esiste ed effettivamente è un sogno diventato realtà. Manca ormai poco all’inaugurazione che ci consentirà di fare ancora di più. Il nostro lavoro è al 90% basato sulla chirurgia, da 8 anni facciamo sterializzazioni gratuite, puntiamo moltissimo sulla prevenzione, riteniamo estremamente importante ridurre il numero di animali randagi. L’ospedale avrà, oltre alla chirurgia, al laboratorio, alla radiologia, ecc., un centro di formazione per veterinari e studenti, perché per noi è molto importante condividere ciò che sappiamo”.

    Poiché i casi sono troppo numerosi, il concetto di medicina veterinaria sociale è più che necessario – afferma Laura Fincu: ʺSiamo anche un’impresa sociale, siamo anche un’ONG, per noi è stato molto importante portare questo concetto nella medicina veterinaria. È molto necessario, la richiesta di aiuto è enorme. Incoraggiamo sempre più veterinari a provare a lavorare in questo modo, perché è incredibilmente gratificante, e assicuriamo loro che ci saranno molte più persone che si uniranno alla loro impresa di quanto possano immaginare”.

    Perché queste storie non parlano solo di animali che hanno bisogno di aiuto, ma anche, forse prima di tutto, di persone: di misericordia, compassione, empatia, responsabilità, umanità… Pensate a cosa vuol dire essere soli, non poter parlare e non sapere come e a chi dire che ti fa male! Immaginate cosa vuol dire amare e non poter aiutare, quando vedete la sofferenza! – ci ricorda Sache Vet.

  • Paese più ricco, gente più povera

    Paese più ricco, gente più povera

    Il rischio di povertà o di esclusione sociale rappresenta la situazione di una famiglia che affronta almeno uno dei tre rischi associati: reddito inferiore alla soglia di povertà (che, nel 2023, era di 1619 lei al mese – circa 325 euro a persona), deprivazione materiale e sociale e bassi livelli di lavoro (quando gli adulti lavorano meno del 20% del loro potenziale annuo). Secondo le statistiche Eurostat del 2023, gli abitanti della Romania erano al primo posto per quanto riguarda questo rischio (32%), seguiti da quelli di Bulgaria (30%), Spagna (26,5%) e Grecia (26,1%).

    Inoltre, secondo uno studio condotto dall’organizzazione « Salvate i Bambini », quasi un bambino romeno su due (41,5%) è colpito dalla povertà ed è a rischio di esclusione sociale, quasi il doppio della media europea. Anche altri dati forniti da Eurostat mostrano che in Romania, più che in qualsiasi altro paese dell’UE, la povertà è ereditaria. Solo il 4% dei romeni che crescono in famiglie con un basso livello di istruzione proseguono gli studi universitari. Solo in Bulgaria questa percentuale è più bassa (3,9%) mentre gli spagnoli, i portoghesi e i greci hanno le maggiori possibilità di progresso generazionale e di conseguimento di un titolo universitario provenendo da famiglie senza istruzione superiore: rispettivamente il 49,8%, 37,6% e 34,5%.

    Perché un terzo dei romeni vive sulla soglia di povertà se, nel 2023, il Prodotto Interno Lordo del Paese è aumentato del 2,4% rispetto al 2022 e se siamo tra gli europei che trascorrono il maggior numero di ore settimanali al lavoro, 39,7 ore, rispetto a una media europea di 36,4 ore? Andrei Țăranu, politologo e professore universitario presso la Scuola Nazionale di Studi Politici e Amministrativi, a Bucarest, spiega questo divario: «Nel nostro Paese la crescita economica è stata fatta nonostante e contro tutte le politiche sociali. Inoltre, è stata la vostra generazione che, nel 2017, era contro l’assistenza sociale, contro gli “sdentati”, desiderando un tipo di generazione che fosse completamente purificata da quelli provenienti dalle campagne, dalle piccole città, da tutto ciò che significava il passato comunista della Romania – e soprattutto i pensionati. C’è un’immagine terribile a Iași (nord-est della Romania), da dove tra l’altro provengo, dove alcuni giovani lanciavano banconote da 1 leu contro un anziano affinché (lui) raccogliesse i soldi. Penso che quello sia il momento più terribile.”

    Andrei Țăranu spiega che la generazione problematica a cui fa riferimento sono i romeni nati dopo il 1990, addirittura dopo il 1985, l’inizio dei Millenials. Una generazione che, secondo l’esperto, vive in una bolla economica e sociale nelle grandi città, che dimentica che esiste un’altra parte della Romania e che vuole rompere ogni legame con il passato, senza capirne nulla. Il politologo definisce questa generazione come quella del nuovo capitalismo, “ostacolata” dall’esistenza dell’altra generazione, che proviene dal periodo di transizione dalla fine del comunismo e che ha altri comportamenti di consumo e stili di vita: « Tutte le politiche pubbliche realizzate in Romania dopo il 2004 sono state realizzate esclusivamente con l’idea dello sviluppo economico. Sono stati dati soldi per le microimprese, per le PMI, per le start-up. Oggi si investono ingenti somme nelle autostrade, ma si dimenticano l’assistenza sociale e buona parte delle classi sociali vulnerabili. E quelli che vengono fatti emergere, ad esempio gli anziani dei vari villaggi, vengono fatti emergere piuttosto per ragioni elettorali, contro i governanti che si dimenticano dei nostri antenati, gli ultimi custodi della tradizione».

    Alla domanda su quali sarebbero le soluzioni per correggere questi squilibri sociali ed economici, l’esperto non è troppo ottimista. “Ovviamente le soluzioni sono politiche, non possono che essere politiche. E ciò richiederebbe una massa critica che comprenda i gruppi sociali e generazionali. Non penso che sarà possibile. Buona parte di questi rimasti indietro, che svolgono lavori precari, senza istruzione o solo con istruzione secondaria, che lavorano nel campo dell’edilizia o in altri settori precari, compreso quello statale – che una parte di loro sono, ad esempio, spazzini (anche loro sono considerati dipendenti statali, di cui dobbiamo sbarazzarci)… tutta questa categoria è scesa oggi in piazza e sostiene tutti questi movimenti radicali-fascisti. Ovviamente le altre categorie socio-generazionali non tenderanno loro la mano, proprio perché li considerano nemici, “quelli che vogliono portarci fuori dall’Ue, dalla Nato, quelli che vogliono far saltare in aria la Romania…”. Queste persone non vogliono far saltare in aria la Romania, ma semplicemente non possono più viverci».

    L’esperto ritiene che il 2004 sia stato un momento decisivo che ha diviso ulteriormente le diverse categorie sociali e che gran parte della responsabilità sia dei media. Sostiene che, nella corsa al sensazionalismo, i media omettono di presentare il contesto più ampio in cui si verificano tragedie, casi di deviazione comportamentale e situazioni di criminalità, il più delle volte associati ad aree ad alto rischio di povertà ed esclusione sociale. Queste cosiddette “sacche di povertà”, sfruttate dai media, sono quelle zone del Paese e categorie dimenticate della popolazione, per le quali non vengono prese misure per la riduzione dei divari rispetto alla popolazione privilegiata delle grandi città.

  • Un pericolo da non ignorare: bambini tossicodipendenti e cosa fare per aiutarli

    Un pericolo da non ignorare: bambini tossicodipendenti e cosa fare per aiutarli

    Il 31 maggio sarà la Giornata nazionale di sensibilizzazione sui rischi legati all’uso di droghe. Si tratta di un disegno di legge recentemente adottato dalla Camera dei Deputati di Bucarest, quale organo decisionale. Secondo il deputato Brian Cristian, dell’Unione Salvate Romania, l’opposizione parlamentare filoeuropea, una giornata simbolica di sensibilizzazione sui rischi legati all’uso di droghe non risolve un grave problema della nostra società. Il deputato ha precisato che in Romania un giovane su 10 e un quarto degli studenti delle scuole superiori hanno consumato droghe almeno una volta, questi essendo i dati presentati in pubblico dalle autorità e dai media. E’ la conseguenza di decenni di cattive politiche pubbliche nel campo della lotta alla droga, dell’impotenza dello Stato romeno nella lotta contro i grandi narcotrafficanti, afferma Cristian. Secondo lui “i giovani vengono trattati come criminali, e i grandi trafficanti restano impuniti”. “Servono misure antidroga concrete, non una giornata simbolica”, ritiene il deputato dell’USR: “Senza programmi efficaci di prevenzione, senza risorse per i giovani e programmi di consulenza, senza risorse sufficienti per lo sport, che rappresenta un’ottima alternativa per passare il tempo libero per i giovani, la Romania continuerà a perdere la lotta contro la droga”, aggiunge la fonte citata.

    In effetti, la realtà sul campo è dura. Bambini di 12 anni hanno già provato le droghe, a cui hanno avuto accesso grazie a spacciatori di solo 14 anni, ignari degli effetti devastanti che queste sostanze lasciano sul loro cervello. Radu Țincu, primario di terapia intesiva e tossicologo, ha spiegato in una conferenza specialistica che sono necessari quanti più programmi possibili di prevenzione e sensibilizzazione, considerando che la maggior parte dei giovani non è consapevole degli effetti devastanti che il consumo di tali sostanze può avere: “Il consumo di sostanze psicoattive in così giovane età, nel contesto in cui il sistema nervoso centrale non ha completato il suo sviluppo, porterà alla comparsa di postumi nell’area neurocognitiva, con disturbi comportamentali, disturbi del pensiero, dell’attenzione, alcuni dei quali potrebbero essere irrecuperabili. Inoltre, l’uso di droghe durante l’adolescenza aumenta il rischio di sviluppare una malattia mentale in età adulta, il che solleva ancora una volta grandi interrogativi dal punto di vista sociale. Come sarà una società in cui questi giovani avranno disturbi mentali o disturbi comportamentali? Se parliamo di overdose e terapia intensiva si possono spendere fino a 20-30.000 euro per ogni singolo caso e, successivamente, durante il periodo di riabilitazione in un centro psichiatrico, anche lì fino a 10.000 euro”.

    Uno dei programmi antidroga realizzati nel 2024 in Romania è stato “Scegli di scegliere – Una carovana artistica per la prevenzione dell’uso di droga”, attuato dall’Associazione non governativa “E Ceva Bine” („Qualcosa va bene”) e finanziato dal Ministero dell’Interno, attraverso l’Agenzia nazionale antidroga. Il progetto, svoltosi in 9 città del nord-est della Romania, nelle province di Botoşani, Neamţ e Vaslui, mirava a sensibilizzare ed educare i giovani tra i 12 e i 25 anni, nonché i loro genitori, sui rischi legati al consumo di droga. Il progetto si è proposto di rafforzare la fiducia e la resilienza dei bambini e dei giovani esposti al rischio del consumo di droga, nonché dei genitori, attraverso attività ricreative come alternative al consumo di droga, all’insegna della scelta e dell’espressione attraverso l’arte, ma anche attraverso altre forme di educazione non formale. Hanno beneficiato di questo programma 8.000 giovani.
    Qual è il modo migliore per un giovane o un bambino di affrontare una dipendenza dalla droga? Iulian Văcărean, presidente dell’Associazione “E Ceva Bine”: “Credo che la cosa più importante sia farlo sapere ai suoi cari, perché i genitori, gli insegnanti e chi ti vuole bene davvero ti aiuterà sempre a scegliere la strada migliore per te.”

    Gli specialisti sono arrivati anche nella provincia di Suceava, nel nord della Romania, dove hanno parlato con gli studenti, i genitori e gli insegnanti delle scuole di Fălticeni, racconta l’esperto antidroga Cătălin Ţone, collaboratore permanente della radio pubblica in questo campo: “L’emittente Radio Romania Attualità, insieme ad altri partner, continua una campagna antidroga lanciata circa due anni fa. Andiamo in giro per la Romania, svolgiamo attività di prevenzione con gli studenti, con i genitori, ma anche con gli insegnanti. Sono tutte interattive, diamo loro dei premi, li incoraggiamo a dialogare con noi. Pensiamo che solo così possono imparare certe cose. Stiamo cercando di rompere le barriere delle attività preventive classiche, che spesso non hanno l’effetto atteso. Si avvertono cambiamenti concettuali. I responsabili dei tre livelli, prevenzione, contrasto e cura, hanno cominciato a parlare, hanno cominciato a discutere. Veniamo qui portando buone notizie riguardo al pacchetto legislativo, soprattutto nel settore della lotta, dell’aumento delle pene, dell’anagrafe dei narcotrafficanti, senza la sospensione delle pene. Un’altra buona notizia è legata al fatto che quattro mesi fa è stato promulgato un disegno di legge riguardante l’istituzione di otto centri per il trattamento della tossicodipendenza. Inoltre si discute molto sulla riorganizzazione dell’Agenzia nazionale antidroga, che a mio avviso è auspicabile per adattarsi alle nuove esigenze, in quanto essa è lo stratega nazionale in questo settore”.

  • Lavorare dopo il pensionamento

    Lavorare dopo il pensionamento

    Uno studio recentemente pubblicato da Eurostat ha mostrato che solo il 13% dei cittadini dell’Unione Europea continua a rimanere attivo nel campo del lavoro dopo l’età pensionabile. Per il 36% di loro la motivazione principale è il desiderio di rimanere produttivi e il fatto che gli piace quello che fanno, mentre oltre il 28% è spinto da esigenze finanziarie. Altri motivi menzionati dagli intervistati sono il desiderio di rimanere socialmente integrati (11%) e l’attrattiva finanziaria del lavoro (9%). Lo stesso studio mostra che i paesi baltici hanno la percentuale più alta di anziani che continuano a lavorare dopo la pensione: quasi il 55% (Estonia), 44% (Lettonia) e quasi 44% (Lituania). Al polo opposto ci sono Grecia e Spagna (rispettivamente 4,2% e 4,9%) e all’ultimo posto, con solo l’1,7% dei pensionati rimasti attivi sul mercato del lavoro, la Romania.

    Tuttavia, un sondaggio condotto da BestJobs contraddice la statistica. Nel 2021, otto dipendenti romeni su dieci hanno affermato di considerare di lavorare anche dopo il pensionamento. Per comprendere meglio la realtà della Romania, abbiamo parlato con Sorina Faier, specialista in risorse umane con una carriera di oltre 17 anni nel settore. “Penso che la verità sia nel mezzo. Non credo che neanche Eurostat abbia completamente ragione, perché non dispone di tutti i dati e l’altro gruppo dice soltanto che intende lavorare, ma non che sta lavorando. Perché in realtà a molti pensionati la pensione non basta per sopravvivere – sappiamo tutti quanto siano basse le pensioni in Romania – e allora lavorano. Ma molti datori di lavoro assumono illegalmente ed è chiaro che non compaiono sul libro paga, e quindi Eurostat non potrebbe nemmeno tenerne conto.”

    Alla domanda su quali siano i motivi per cui i pensionati romeni scelgono di restare nel mondo del lavoro, Sorina Faier ritiene che prevalgano le esigenze finanziarie, ma che sia importante anche il desiderio di non isolarsi. “Essendo persone socievoli, ancora dinamiche, fisicamente e mentalmente sane, desiderano moltissimo continuare la loro attività per mantenersi in forma.”

    Esistono, tuttavia, differenze significative tra i dipendenti del top management e del middle management e i lavoratori qualificati e non qualificati. Nel primo caso, la maggior parte vuole restare nello stesso campo di attività. Poiché la mentalità dei datori di lavoro è cambiata negli ultimi dieci anni, afferma Sorina Faier, sono più aperti a trattenere o assumere persone che hanno superato l’età pensionabile, consapevoli dei vantaggi apportati dall’esperienza di professionisti senior in posizioni dirigenziali. “Ho notato da tutte le interviste che abbiamo e da tutti gli incontri che abbiamo con il top management che sono molto più aperti ad assumere persone anziane, il vantaggio essendo la loro anzianità e le conoscenze che hanno che possono portare come beneficio. Ma se parliamo di lavoratori qualificati e non qualificati, sicuramente la maggior parte di loro va verso altri settori e i settori principali sarebbero i servizi di sicurezza, perché vediamo guardie ovunque che sono piuttosto anziane e chiaramente in pensione. Di solito quando vanno in pensione, proprio come ho detto, (loro) si dirigono verso i servizi, possibilmente servizi di pulizia, servizi di sicurezza, forse servizi di catering e taxi.”

    Ci sono anche anziani che, dopo il pensionamento, scelgono di intraprendere la strada dell’imprenditorialità, il più delle volte nel settore in cui hanno accumulato esperienza, con sufficiente fiducia da poter aprire un’attività da zero. “La maggior parte di loro hanno un piccolo affare, sufficiente a garantire loro comfort e integrare la pensione, e sì, si concentrano sulle aree che conoscono e sull’area in cui hanno formato una rete abbastanza forte da far sì che l’attività abbia successo.”

    Sorina Faier afferma che la mentalità è cambiata rispetto a dieci anni fa, quando raramente si pensava di lavorare dopo l’età pensionabile. Oggi i romeni capiscono che rimanere attivi porta molti vantaggi, sia dal punto di vista della salute e dell’equilibrio mentale, ma anche dal punto di vista finanziario. Un’altra opzione è lavorare come freelance in progetti nel campo dell’istruzione, nel campo della traduzione, offrendo lezioni private o anche nel campo informatico. Questi ultimi, anche se non sono una percentuale molto elevata, tendono ad essere persone che sono costantemente migliorate e sono rimaste al passo con le ultime tecnologie.

    I dati dell’Istituto Nazionale di Statistica mostrano che 4,9 milioni di romeni sono in pensione, di cui un milione non ha ancora raggiunto l’età pensionabile standard. L’età per ricevere la prima pensione in Romania è una delle più basse tra gli stati membri dell’UE: 59,5 anni, solo l’Austria ha un’età altrettanto bassa di 59,6 anni. D’altro canto, Islanda, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia hanno l’età pensionabile più elevata: tra 64 e 66,2 anni. Gli esperti romeni ritengono che, essendo una media, ci siano differenze molto grandi tra coloro che vanno in pensione anticipatamente e coloro che continuano la loro attività fino alla vecchiaia. Tra le professioni che offrono il pensionamento anticipato in Romania ci sono la polizia, la gendarmeria, i servizi segreti, il servizio militare, la magistratura e l’aviazione.

  • L’albero di Natale, tra tradizione e modernità

    L’albero di Natale, tra tradizione e modernità

    Può sembrare sorprendente, ma il primo albero di Natale decorato in Romania risale solo al 1866, uno degli anni importanti della storia della Romania, perché da allora iniziò una nuova era, segnata da colui che sarebbe diventato Carlo I. A meno di otto mesi dall’arrivo nel paese del principe prussiano di Hohenzollern-Sigmaringen, il palazzo reale di Bucarest ospitò, nel dicembre 1866, il primo albero di Natale della Romania decorato con spettacolari addobbi portati dal paese natale del sovrano. La tradizione dell’albero di Natale, come lo conosciamo oggi, che prese forma in Germania, fu, quindi, importata in Romania attraverso la Casa Reale, piacque e si diffuse in tutto il Paese, prima imitata dalle élite urbane, poi nelle zone rurali.

    Ma perché l’abete e non un altro albero? Perché già i romeni gli attribuivano significati molto più antichi, ricordati da uno dei più importanti ricercatori etnologici della Romania, la docente Doina Ișfănoni: ʺNon dimentichiamo che l’abete è per noi romeni l’albero sacro. È, se vuoi, l’albero della vita che collega Cielo e terra. È l’albero che, a partire dalla nascita fino alla sepoltura, accompagna la vita dell’uomo, venendo addobbato, a seconda delle fasi d’età, in modi diversi. Alla nascita viene scelto un cucciolo di abete, lasciato nella foresta o trasferito più vicino a casa. L’albero è, in qualche modo, una sorta di barometro dell’evoluzione del bambino. Man mano che l’albero cresce, anche il bambino crescerà, diventando alto, bello e, naturalmente, credendo nella giovinezza senza età – proprio come l’albero non cambia mai il suo ornamento verde, così “verde”, tra virgolette, rimarrà il futuro giovane e adolescente che è il destinatario o il guardiano dell’albero. Poi anche l’albero nuziale che tutti conosciamo è decorato con carte colorate, nastri, campanelli in cima. Così è l’albero funebre! È adornato, nel caso dei giovani non sposati, con nappe nere, un velo – indossato dalle ragazze locali, e una campana. Ecco dunque l’albero per noi romeni, sicuramente; ha una connotazione molto complessa”.

    A questi molteplici significati attribuiti all’abete si aggiungono quelli cristiani, con l’adozione di questo albero, anche da parte dei romeni, come elemento centrale della celebrazione della Natività. Le sue connotazioni cristiane sono esaltate dalla scelta di ornamenti specifici. Doina Ișfănoni: ʺPer esempio, le luci natalizie – in origine, le candele che venivano messe sull’albero – conferendogli quell’aspetto magico, si riferiscono al simbolismo della candela, che è il sostituto di Gesù. La cera è il corpo, la fiamma è lo spirito. Inoltre, le mele aggiunte all’albero di Natale non sono solo semplici ornamenti. Si preferivano, sì, le mele rosse affinchè fossero il più visibili possibile, ma rimandano al peccato originale di Eva con la famosa mela e alla cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre. Anche le noci vengono poste nell’abete. Vestite, però, di carta stagnola, perché rappresentano, se volete, una particella di luce, una luce che si riflette nello spazio interno e dona così una lucentezza in più. La noce è anch’essa un simbolo in queste usanze legate al solstizio d’inverno e al cristianesimo. Perché la noce è il frutto che dura nel tempo ed è espressione della fecondità, della ricchezza, dello scorrere del tempo senza danni. E da un punto di vista cristiano, avendo al centro il segno della croce, rientra nel simbolismo dell’albero di Natale come celebrazione della nascita del Salvatore. Ma anche l’intero nocciolo nella sua forma ricorda il cervello e significa questa volta illuminazione. È il momento in cui sappiamo che, a Natale, attraverso la nascita del Salvatore, ciascuno di noi ha la promessa, potrei dire, di una rinascita. È il momento in cui le tre sorelle – Speranza, Amore e Fede – si accompagnano, dando all’uomo una forza in più, dandogli, se vuoi, un’energia in più e una speranza in più che, nel nuovo anno che sta per nascere sarà tutto meraviglioso. Naturalmente, in cima all’albero c’è l’angelo o la stella che condusse i Magi a Betlemme, dove nacque il Salvatore. È un altro simbolo.ʺ

    Purtroppo, afferma l’etnologa Doina Ișfănoni, molti di noi oggigiorno perdono di vista la moltitudine di connotazioni dell’abete, che da simbolo si trasforma in semplice decorazione. ʺSe chiedi ai romeni cosa significa l’albero di Natale, ti daranno risposte molto, molto diverse e scoprirai che nessuna si riferirà all’albero cosmico, nessuna parlerà delle sue decorazioni come fusione sincretica tra cristianesimo e pre-cristianesimo. È anche la nostra missione, se volete, come specialisti, risemantizzare, riportare alla loro attenzione tutta questa ricchezza semantica e il fatto che ogni gesto ha un significato, un valore, una motivazione”.

    L’albero è l’elemento che raccoglie attorno a sè famiglia e parenti, che a Natale si riuniscono attorno ad esso, fanno e ricevono doni, per poi sedersi a tavola insieme. Non prima di aver accolto i bambini e giovani che cantano canti natalizi che annunciano la nascita di Gesù.

    Nella zona rurale della Romania, si conservano ancora le antiche tradizioni per la celebrazione della Natività. Ecco perché la Romania si annovera ancora – secondo Doina Işfănoni – tra i paesi dell’Europa sudorientale dove l’insieme di comportamenti culturali che hanno una lunga tradizione storica ci fanno dire che, per noi, il Natale continua ad essere quel passo verso il sacro, che si apre alla vigilia del 25 dicembre e si conclude il 6 gennaio, festa del Battesimo del Signore.

  • Un Patto criticato, il Patto sulla migrazione e l’asilo

    Un Patto criticato, il Patto sulla migrazione e l’asilo

    Nel mese di novembre si è svolta a Bruxelles la nona edizione del Forum europeo sulla migrazione, dove si è discusso del ruolo della società civile nell’attuazione del Nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo. Lanciato nell’aprile del 2024, il documento ha sostituito l’ex Regolamento Dublino III e mira a sostenere l’Unione Europea nell’attuale impasse sul tema migratorio: rafforzando la sicurezza alle frontiere del continente, facilitando la procedura di asilo e rimpatrio e rafforzando la solidarietà con gli Stati membri situati alle frontiere esterne dell’Unione. Lungi dall’essere applaudito all’unanimità, il Patto ha ricevuto numerose critiche da parte di ONG, pubblicazioni e specialisti da tutto il continente – sia da parte di partiti anti-immigrazione che di estrema destra (per i quali il nuovo regolamento non propone misure sufficienti per fermare la migrazione) che esponenti della sinistra e attivisti (per i quali il documento rappresenta un pericolo per i diritti umani).

    Alla fine del 2023, ad esempio, 50 organizzazioni no-profit hanno firmato una lettera aperta alla Commissione Europea per esprimere i loro timori su un sistema futuro con possibili falle. Questo sistema favorirebbe la normalizzazione della detenzione arbitraria dei migranti, la profilazione razziale e l’utilizzo di procedure di “crisi” per negare l’ingresso alla frontiera e dirottare le persone verso i cosiddetti paesi terzi sicuri, esponendole a rischi di violenza, tortura e detenzione arbitraria. Le retticenze nei confronti della nuova regolamentazione sono state spiegate a RRI dal professor Cristian Pîrvulescu, preside della Facoltà di scienze politiche della Scuola Nazionale di Studi Politici e Amministrativi e presidente del gruppo Integrazione e immigrazione del Comitato economico e sociale europeo:
    “Abbiamo avuto le nostre riluttanze nei confronti del Patto, in primis quelle riguardanti la definizione di Paesi terzi, perché l’elenco dei Paesi terzi verso cui può essere espulso chi non ha ricevuto asilo nell’Unione Europea non è affatto certo. Dal nostro punto di vista, ci sono molte lacune nel modo in cui la Commissione ha stilato questo elenco, e ci sono Stati che apparentemente sono sicuri, ma che la situazione geopolitica può trasformare in Stati assolutamente non sicuri. Allo stesso modo, una delle nostre questioni riguarda il diritto essenziale di tutti coloro che arrivano alle frontiere dell’UE, sia che si parli di frontiere Schengen che non Schengen, che hanno il diritto di chiedere di entrare nel territorio dell’Unione Europea e devono passare attraverso le procedure di asilo. Inoltre, le procedure di asilo, così come sviluppate nel nuovo Patto, sono notevolmente accorciate.”

    Nel 2023, più di 117 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case e l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati in Romania stima che entro la fine del 2024 il numero salirà a 130 milioni. Tuttavia, la maggior parte rimane nelle regioni di origine e solo un piccolo numero cerca protezione in Europa.

    In occasione del Forum Europeo sulla Migrazione, RRI ha parlato con Flavius Ilioni Loga, direttore esecutivo dell’Associazione LOGS, un’organizzazione di base presente a Timișoara dal 2019, che promuove l’integrazione dei gruppi vulnerabili di migranti attraverso l’educazione e la lotta contro la tratta di esseri umani. Ilioni è stato designato nel 2021 “Eroe urbano” a Timișoara e il suo team è composto da assistenti sociali, psicologi e mediatori culturali. Gli abbiamo chiesto quali sarebbero, dal suo punto di vista, alcuni dei punti deboli del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo:”Non possiamo dire che siamo i più adatti a fare un’analisi giuridica del Patto. Ma ci sono critiche a livello delle organizzazioni riguardo alle posizioni relative ai respingimenti, a ciò che sta accadendo alle frontiere esterne, compreso il confine della Romania con la Serbia, alla presenza di FRONTEX – a quanti membri del personale FRONTEX vengono verificati per vedere se, in effetti, proteggono i diritti di chi è rifugiato e di chi ha il diritto di chiedere asilo. Ci sono anche critiche legate all’attuazione del Patto esclusivamente con il sostegno delle autorità, non anche quello della società civile. Stiamo parlando di questa responsabilità esclusiva dei governi nazionali nel determinare chi sarà coinvolto nello spostamento o nell’integrazione di persone provenienti da altri Stati. Il trattamento delle domande di asilo spetta ovviamente alle autorità nazionali, ma per quanto riguarda l’assistenza legale e la consulenza, come si farà? Ciò può essere visto come un ostacolo alla presenza di organizzazioni come la nostra, che abbiano accesso diretto alle autorità di Bucarest, ad esempio, che sono a 600 chilometri da noi, da Timișoara, e ciò potrebbe rappresentare un problema per quanto rigurda l’aiuto e il sostegno all’approccio solidale a livello locale e comunitario.”

    Alla domanda se le autorità statali abbiano consultato le ONG durante la stesura del Patto sulla migrazione e l’asilo, l’esperto risponde:
    “No, da quanto ho capito, e questa è stata un’altra osservazione che ho fatto io, ma anche le altre organizzazioni – o diverse organizzazioni a livello europeo: che, nella creazione di questo Patto, le organizzazioni della società civile non sono state consultate, soprattutto quelle piccole. D’altra parte, possiamo in qualche modo comprendere la natura politica di questo accordo e il meccanismo a livello legale e di leadership dei paesi. Ancora una volta siamo d’accordo con ciò che sostiene il Patto, perché è costruito attorno a questa solidarietà europea in cui anche noi crediamo e per la prima volta, con poche eccezioni, tutti gli Stati hanno mostrato il loro sostegno a questo Patto a livello dichiarativo.”

    Secondo i dati forniti dall’Ispettorato generale per l’immigrazione che saranno pubblicati e interpretati dal Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli, nel 2023 la Romania ha ricevuto 10.346 domande di protezione internazionale di cui, alla fine del 2023, erano state esaminate solo 5.561. Di queste, solo 491 avevano ottenuto lo status di rifugiato e 438 la protezione sussidiaria. I dati hanno mostrato un tasso di rigetto delle domande di protezione schiacciante, pari all’83,3%. La maggior parte dei richiedenti proveniva dal Bangladesh (per il quale non sono state accettate domande), Siria, Pakistan e Nepal.

    Flavius Ilioni crede che la Romania possa crescere solo se impara ad abbracciare la diversità, ad essere più inclusiva con le minoranze, e non solo con quelle locali o tradizionali, ma anche con queste nuove persone che arrivano da altri continenti per costruire una vita migliore. L’attivista sostiene che dobbiamo capire che i migranti che arrivano in Romania in numero crescente portano, oltre al valore e ai contributi al bilancio statale, tutti i tipi di talenti che possono arricchire la nostra comunità.

  • Lotta al cyberbullismo

    Lotta al cyberbullismo

    Cyberbullismo. Oppure abuso online. Si verifica allorquando una persona o un gruppo di persone riceve messaggi aggressivi da altre persone. Circa la metà dei giovani nell’Unione Europea è esposta ad abusi online. È il risultato di un rapporto Eurostat del 2023 da cui emerge che il 49% dei giovani europei di età compresa tra 16 e 29 anni si è imbattuto in messaggi online considerati ostili verso determinati gruppi o individui.

    È un periodo della vita estremamente vulnerabile, segnato dalla formazione dell’identità, dal rafforzamento dell’autostima e dallo sviluppo delle relazioni sociali, che fa sì che le esperienze negative abbiano un impatto psicologico più intenso.

    Al primo posto, secondo questo rapporto, c’è l’Estonia, con il 69% dei giovani di questa fascia d’età che sono stati esposti a tali messaggi online. Seguono Danimarca – 69%, Finlandia – 68%, Francia – 65% e Slovacchia – 65%. Secondo Eurostat, 12 dei 23 paesi per i quali sono disponibili dati presentavano tassi superiori al 50%. In fondo a questa lista ci sono: Croazia – 24%, Romania – 27% e Bulgaria – 31%.
    Nella maggior parte dei casi, i discorsi d’odio erano legati a opinioni politiche o sociali, con una media del 35% nell’UE, sottolinea Euronews, che ha presentato questo rapporto Eurostat. Questa categoria era più alta in Estonia (60%), Finlandia (56%) e Danimarca (49%). I messaggi ostili rivolti alla comunità LGBTQ+ hanno colpito in media il 32% dei giovani adulti nell’UE. Le percentuali più alte sono state registrate in Estonia (46%), in Slovacchia e in Portogallo (44%). Inoltre, il 30% dei giovani adulti nell’UE ha ricevuto messaggi di odio razziale, con i Paesi Bassi e il Portogallo i paesi più colpiti, con il 45% ciascuno.

    Nora Enache è una psicologa e ha lavorato, nel tempo, con diverse fasce di età sul tema dell’abuso emotivo, online e non solo. In generale, il cyberbullismo provoca un’ampia gamma di problemi emotivi. Abbiamo chiesto a Nora Enache in che modo gli abusi online influiscono sull’autostima e sulla salute mentale dei giovani : “L’autostima è la valutazione complessiva del proprio valore. L’autostima influenza il nostro atteggiamento verso noi stessi. Se guardiamo noi stessi attraverso la lente online, i nostri amici fungeranno da specchio sociale in cui guardiamo per avere un’idea di come ci vedono gli altri. Il rischio che si presenta è che non tutti quelli con cui interagiamo ci conoscono, non tutti ci vogliono bene, non tutti ci valutano correttamente. Ci sono così tante variabili nelle interazioni online che è difficile stimare cosa rende esattamente questo ambiente non favorevole allo sviluppo.”

    Stiamo parlando, quindi, di uno specchio online composto da tanti frammenti, ognuno dei quali rappresenta una persona diversa, con un carattere e una personalità unici, che si riflettono in noi. Stiamo parlando di un mondo immaginario che vuole ostinatamente passare nella realtà di un giovane confuso e che cerca di capire chi sia. È un gioco estremamente pericoloso quello che ci propone il mondo online, una guerra sconosciuta e che si traduce, dice Nora Enache, attraverso vari segnali. “I segnali che indicano che esiste una vittima dell’ambiente online sono il ritiro, l’isolamento, la mancanza di concentrazione su ciò che deve fare. La maggior parte delle volte, a seguito di questi cambiamenti di atteggiamento e di comportamento, è la famiglia a chiedere aiuto e non la vittima”.

    Poiché diventa sempre più difficile per gli adulti limitare il tempo trascorso davanti allo schermo dai nostri figli, il danno causato dall’abuso online potrebbe non essere più evitabile, ma è curabile. Spesso basta un solo commento negativo perché il mondo interiore di un giovane crolli. Psicologicamente c’è però una soluzione, ci assicura la nostra interlocutrice, Nora Enache. “I traumi causati da esperienze negative nell’ambiente online possono innescare, ad esempio, la fobia sociale. Durante le sessioni di counseling sono previsti interventi mirati alla ristrutturazione cognitiva, un training di rilassamento mentale, l’automonitoraggio,l’ esposizione per lo sviluppo di abilità sociali o l’analisi dello sviluppo”.

    E sì, la psicoterapia è buona, ma una sana interazione nel mondo reale sembra essere migliore!

  • Come sono cambiate le condizioni di lavoro nell’era post-pandemia

    Come sono cambiate le condizioni di lavoro nell’era post-pandemia

    Se il datore di lavoro lo imponesse, oltre l’82% dei dipendenti non si opporrebbe al lavoro esclusivo in ufficio, anche se, ammettono, non sarebbe molto conveniente per loro.

    Questi sono i risultati di un sondaggio recentemente pubblicato da uno sviluppatore immobiliare in Romania. Nel 2024 prosegue la tendenza al rientro negli uffici, emersa già lo scorso anno. Secondo i risultati di questo sondaggio nazionale, su 1.168 intervistati, i dipendenti affermano che si adatterebbero molto rapidamente a questo tipo di lavoro. Gli intervistati valutano che il ritorno fisico al lavoro consenta una migliore separazione tra vita personale e professionale (45%). Per il 53% degli intervistati l’interazione con i colleghi è un motivo molto importante per tornare fisicamente al lavoro. Inoltre, se il datore di lavoro imponesse il ritorno in ufficio, meno del 18% dei dipendenti inizierebbe a cercare un altro lavoro remoto o ibrido o sceglierebbe di dimettersi dal lavoro attuale.

    Ne abbiamo parlato con Andra Pintican, fondatrice di una scuola di Human Resources. Attivista attiva per l’igiene mentale dei dipendenti sul posto di lavoro, Andra Pintican non crede nelle ricette esclusive: “Personalmente non credo alle ricette universali. Ciò che funziona per un’organizzazione potrebbe non funzionare per un’altra. Per quanto riguarda l’argomento del ritorno in ufficio, penso che sia ancora piuttosto delicato per molti di noi. Inoltre, sento diverse prospettive sul mercato. Ho parlato anche con persone di organizzazioni dove i dipendenti stessi proponevano di tornare in ufficio, ma anche organizzazioni dove, dopo che è stato imposto il rientro in ufficio, si sono registrate dimissioni e il morale della squadra è crollato moltissimo. Penso che sposterei la conversazione da “i dipendenti preferiscono il remoto o il rientro in ufficio” a “quali sono i reali bisogni dei nostri team?” Quindi proponiamoci di indagare concretamente quali sono i bisogni dei dipendenti e, attenzione, a volte i nostri dipendenti potrebbero essere così disconnessi dai loro bisogni a causa della vita dinamica che conducono, che non saprebbero dire nemmeno loro quali bisogni hanno. Di conseguenza, forse bisognerebbe fare un’analisi delle difficoltà non percepite la prima volta».

    Ci sono specialisti che affermano che la tendenza al ritorno al lavoro è in aumento anche perché gli uffici hanno un aspetto migliore e le condizioni di lavoro sono cambiate in meglio. Ma questi cambiamenti non sono uniformi. L’allenamento del lockdown di 4 anni fa potrebbe averci portato ad aumentare la velocità con cui ci adattiamo. Andra Pintican: “Se domani iniziasse un nuovo lockdown, quanto velocemente pensi che torneranno i lavori da remoto? Probabilmente abbastanza rapidamente, dato che abbiamo già esperienza della situazione con COVID e addirittura, tra molti paesi europei, siamo stati uno dei paesi che si è mobilitato più velocemente, secondo le dichiarazioni di molte aziende. E il fatto di avere un’ottima infrastruttura Internet ci ha permesso di diventare molto efficienti anche da casa, e molto probabilmente in una situazione simile ricominceremmo da capo e faremo meglio dell’ultima volta» .

    I cambiamenti nell’ambiente di lavoro post-pandemia non sono uniformi, in un contesto in cui quasi il 60% degli intervistati allo studio citato afferma che il proprio ufficio è rimasto invariato negli ultimi 4 anni, oltre l’11% afferma che ora lo spazio è più piccolo, e quasi l’8% lamenta di avere a disposizione meno strutture rispetto a prima della pandemia, afferma la fonte citata. Inoltre, più del 71% dei partecipanti allo studio afferma che l’azienda per cui lavorano non ha cambiato sede negli ultimi 4 anni e solo il 13% afferma che ora lavora in una nuova sede, più grande e meglio attrezzata. Quasi il 27% afferma che l’attuale ufficio non è abbastanza grande per le esigenze del team e oltre il 33% afferma che dispone di attrezzature e strutture insufficienti.

    Molti di noi hanno assistito, negli ultimi anni, a delocalizzazioni delle aziende per cui lavoriamo. Negli ultimi tempi è stata rilevante la preferenza dei datori di lavoro per edifici sostenibili con bassi costi di manutenzione e consumi adattabili. Nonostante il loro fascino, le zone storiche delle città, un tempo preferite dalle aziende, sono state sostituite da zone meno fortunate dal punto di vista geografico, ma più attraenti dal punto di vista delle condizioni. Questi nuovi hub per uffici competono con architetture e design sempre più innovativi, ma è davvero quello di cui i dipendenti hanno bisogno in primo luogo? Andra Pintican: «Sicurezza, comfort e risorse sono 3 elementi essenziali per lo svolgimento dell’attività. Sono, tuttavia, insufficienti nel mondo di oggi. Vogliamo dipendenti altamente performanti e, soprattutto, vogliamo che innovino, in modo da poter tenere il passo con la forte concorrenza del mercato. Ma sarebbe opportuno chiedersi se l’ambiente in cui le persone dovrebbero far nascere l’innovazione sia impostato in modo tale da creare lo spazio necessario, sia fisico, che mentale.”

    Al di là della qualità degli spazi degli uffici e, ovviamente, di tutte le strutture necessarie per la sicurezza e il comfort, parlerei anche di creatività. Così come ogni persona ha un certo stato d’animo a casa, dato dal suo spazio personale, anche noi siamo influenzati allo stesso modo sul lavoro. Il design non dovrebbe avere a che fare con l’opulenza e l’esaltazione del marchio, ma piuttosto creare un’esperienza coinvolgente sul posto di lavoro, che conduca facilmente il dipendente in uno stato di flusso. Ma, mentre sediamo qui e parliamo del flusso sul lavoro attraverso l’interior design degli uffici, dovremmo riconoscere che in Romania abbiamo uffici dove i dipendenti non hanno riscaldamento in inverno, e non stiamo parlando di caffè. Quindi possiamo iniziare con la sicurezza e il comfort e, dopo esserci assicurati di averli, possiamo andare avanti e guardare alla qualità degli spazi di lavoro anche attraverso il design.”

    Secondo il punto di vista di Mihaly Csikszentmihalyi, lo psicologo che ha reso popolare il concetto di flusso, lo stato di flusso significa essere totalmente coinvolti e concentrarsi il più possibile su un’attività che ci dà gioia e ci motiva.

    Forse l’emozione di tornare fisicamente al lavoro dipende anche dall’età dei dipendenti, ed è ovvio che più si è giovani, maggiore è la voglia di uscire di casa. Per quanto riguarda i più anziani, molti di loro preferiscono la soluzione ibrida, ma allo stesso tempo, per altri, tornare fisicamente al lavoro non sembra così male. Li tiene attivi!

  • Romania – 35 anni dall’accesso dei metodi contraccettivi al mercato libero

    Romania – 35 anni dall’accesso dei metodi contraccettivi al mercato libero

    Per le generazioni precedenti, a partire dal periodo comunista, l’accesso ai metodi contraccettivi era al limite della legalità, e l’interruzione della gravidanza era considerata un reato. Qual è il rapporto dei romeni con i metodi contraccettivi oggi? Andrada Cilibiu, attivista femminista del Centro Filia ed esperta in diritti sessuali e riproduttivi, spiega: “Dato che non esiste una contraccezione gratuita soprattutto per le più vulnerabili tra noi, non c’è informazione né un’educazione sessuale completa nelle scuole, ovviamente il tasso di utilizzo della contraccezione sarà basso. Ciò è preoccupante, soprattutto da due punti di vista: 1) un tasso sempre crescente di infezioni a trasmissione sessuale di cui non parliamo molto, perché purtroppo in Romania l’intero argomento è associato alla salute riproduttiva e i diritti sessuali rimangono un tabù, e un altro aspetto è quello delle gravidanze adolescenziali, delle gravidanze indesiderate e di una società che purtroppo finisce per equiparare la contraccezione all’aborto, cosa che non vogliamo. Vogliamo che tutte le donne abbiano accesso, innanzitutto, alla contraccezione, all’informazione, all’educazione sessuale e all’interruzione sicura della gravidanza. Ma vediamo che, purtroppo, negli ultimi dieci anni abbiamo registrato una regressione rispetto a come appariva la società romena un decennio fa.”

    Andrada Cilibiu racconta come, negli anni 2000, in Romania è stata creata una rete di pianificazione familiare, che offriva accesso a colloqui individuali con medici specializzati sui metodi contraccettivi, paure e impasse emotive riguardanti i rapporti sessuali, la gravidanza o altri aspetti della salute riproduttiva. Inoltre, aggiunge l’esperta, la rete ha offerto metodi contraccettivi gratuiti e il dibattito sull’educazione sessuale si è svolto in termini più positivi. Quello che è successo, secondo l’esperta, è che quei medici sono andati in pensione senza aver formato altri specialisti e senza che la rete ricevesse altre risorse.

    Inoltre, gli anni 2000 sono stati caratterizzati da enormi progressi nella preparazione all’ingresso nell’Unione Europea, che ha richiesto il rispetto di determinati standard. La confinante Repubblica di Moldova, invece, viene offerta come esempio positivo, disponendo di cliniche specializzate per giovani di età compresa tra 10 e 24 anni, che ricevono servizi gratuiti di salute riproduttiva. Alla domanda da dove possiamo prendere le buone pratiche, Andrada Cilibiu ha risposto: “Chiaramente dai modelli di educazione sessuale integrale che troviamo nei paesi nordici o nel Regno Unito o nei Paesi Bassi, e dove l’educazione sessuale viene fatta, in alcuni paesi, a partire dai primi anni di vita, con informazioni che i bambini possono comprendere – soprattutto riguardo al consenso e all’autonomia corporea – e poi, gradualmente, man mano che si invecchia, con altre informazioni su sane relazioni emotive e sessuali. Abbiamo esempi di buone pratiche in termini di interruzione di gravidanza, che provengono anche dai Paesi Bassi, dalla Francia, che ha appena introdotto nella Costituzione l’accesso al diritto all’aborto. Abbiamo anche la Spagna, ad esempio, con un ottimo programma di distribuzione di contraccettivi. Ma, in realtà, la maggior parte degli stati dell’UE dispone di piani contraccettivi nazionali e offre contraccezione gratuita, principalmente ad adolescenti e giovani, ma anche a gruppi vulnerabili. La Romania, infatti, è in questo gruppo minoritario di paesi che non hanno, non offrono affatto contraccezione gratuita.”

    Nella primavera di quest’anno, il Centro Filia ha lanciato lo studio “La cura della democrazia”. Gli interessi politici delle donne nel 2024″, con un capitolo dedicato all’uso della contraccezione da parte delle donne in Romania oggi. Secondo esso, il 37% delle intervistate ha riferito di aver utilizzato metodi contraccettivi negli ultimi 10 anni, il 62% ha detto di no e l’1% ha rifiutato di rispondere. Del gruppo di donne partecipanti allo studio che utilizzavano un metodo contraccettivo, il 63% ha utilizzato il preservativo, il 55% la pillola contraccettiva, il 42% il metodo di astinenza, il 38% il metodo del calendario, il 24% la pillola del giorno dopo (considerata più di emergenza) e in percentuali molto minori metodi più invasivi, come lo IUD, la legatura delle tube o l’impianto contraccettivo.
    A livello europeo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità lancia l’allarme sulla preoccupante diminuzione dell’uso del preservativo da parte degli adolescenti. Lo studio dell’OMS è stato condotto tra il 2014 e il 2022, ha incluso più di 240mila adolescenti di 42 paesi europei e ha dimostrato che l’uso del preservativo da parte dei ragazzi di 15 anni è diminuito del 9% tra il 2014 e il 2022 (dal 70% a 61). Per le ragazze, nello stesso periodo, la percentuale è scesa dal 63% al 57%. Lo stesso studio ha dimostrato che il 30% delle ragazze e il 22% dei ragazzi sessualmente attivi in Romania non hanno utilizzato il preservativo o qualsiasi altra forma di contraccezione durante l’ultimo rapporto sessuale.

    Andrada Cilibiu spiega: “Purtroppo vedo che molti giovani usano piuttosto la pornografia come sistema di riferimento su come avere rapporti sessuali sicuri. C’è molta confusione tra loro e finiscono per credere a molti miti e stereotipi e provare molte ansie riguardo alla loro immagine corporea, alle relazioni romantiche o emotive che intrattengono, ai rapporti sessuali e così via. Non avendo né in famiglia, né soprattutto a scuola unl’autorità che fornisca informazioni convalidate dalla scienza e che entrino in quest’area dell’informazione completa sull’educazione sessuale, purtroppo lasciamo i nostri giovani a se stessi e finiscono per avere rapporti sessuali o entrare in relazioni in cui non riconoscono la violenza, non riconoscono che ciò che sta accadendo loro non va bene. A questo proposito, abbiamo soprattutto bisogno di un’educazione sessuale obbligatoria e completa per tutti, senza il consenso dei genitori, e di servizi di salute sessuale adatti ai giovani”.

    A livello regionale, un altro studio pubblicato nel 2022 dalla rivista medica britannica “The Lancet” ha evidenziato che, mentre la scelta media del preservativo come metodo contraccettivo nell’Est Europa (da parte di chi sceglie di usarne uno) è del 37,8%, in Romania, la percentuale non arriva al 31%. Il metodo del calendario, invece, è utilizzato dal 19,9% dei romeni che scelgono un metodo contraccettivo, contro il 5,9% dell’Europa dell’Est. Il metodo del ritiro è preferito dal 12,8% dei romeni e dal 10% degli intervistati della regione.

  • Il teatro contro il bullismo e la discriminazione nelle scuole

    Il teatro contro il bullismo e la discriminazione nelle scuole

    Uno studio realizzato da « Salvate i Bambini » all’inizio dell’anno ha rilevato che in Romania uno studente su due è stato vittima di minacce, umiliazioni o violenza fisica e l’82% di loro è stato testimone di tali situazioni. Secondo un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la Romania è al terzo posto in Europa per quanto riguarda il fenomeno del bullismo. La legislazione romena definisce il bullismo come l’azione o la serie di azioni fisiche, verbali, relazionali e/o cibernetiche, in un contesto sociale difficile da evitare, compiute intenzionalmente, che comportano uno squilibrio di potere, che ledono la dignità o creano atmosfere intimidatorie, ostili, degradanti, umilianti o offensive e mirano alla discriminazione e all’esclusione sociale. Allo stesso tempo, gli studenti rrom continuano a confrontarsi con il fenomeno della segregazione nelle scuole, nonostante il Parlamento abbia adottato da tempo una legge che lo proibisce.

    Ci sono, però, persone che scelgono di mettere le proprie competenze ed esperienze al servizio della risoluzione di questo problema attraverso metodi meno convenzionali. Nel mese di settembre l’Associazione Acting Works è stata in tournée in cinque scuole di quattro comunità vulnerabili (Mizil, Giurgiu, Ciorogîrla e Câmpina, tutte del sud della Romania), con lo spettacolo teatrale “Vi me som rom / Anch’io sono rrom”, un’opera teatrale che mostra cosa significa essere rrom in Romania, attraverso tre storie reali.

    Andrei Șerban, attore e fondatore di Acting Works, fa teatro sociale da 17 anni, e ciò che lo ha incoraggiato a mettere in scena lo spettacolo e intraprendere questo tour con la troupe è stata la sua esperienza di vita, come rrom “invisibile” (persona di etnia rrom che non può essere identificata come tale in base alle caratteristiche fisiche): “Sono rimasto ‘nascosto’ fino ai 20 anni circa. Avevo paura di essere discriminato e quando mi sono assunto la mia etnia rrom ho capito che volevo fare uno spettacolo. Sento molte cose razziste perché le persone non si rendono conto che sono rrom. Quindi, questo spettacolo è stato realizzato anche un po’ per frustrazione, ma anche per dare alcuni strumenti alle persone che affrontano il razzismo, ma anche alle persone che assistono a eventi razzisti – per sapere come agire o reagire”.

    Mădălina Brândușa, attrice e parte del team di Acting Works, afferma che uno dei motivi per cui hanno scelto di recitare in comunità svantaggiate è la loro mancanza di accesso al teatro e ai prodotti culturali, rispetto al pubblico istruito di Bucarest. Aggiunge che tra gli adolescenti che hanno visto lo spettacolo, ce ne sono stati molti per i quali è stato il primo incontro con il teatro.

    Alla domanda su come lo spettacolo sia stato accolto da studenti e insegnanti, Andrei ha risposto: “Lo abbiamo costruito con molto umorismo perché non volevamo raddoppiare la pressione che si verifica ed è in qualche modo adattato al linguaggio che usano gli adolescenti, e il feedback alla fine, quando abbiamo le discussioni post-spettacolo, è che loro si riconoscono nei personaggi. Molte studentesse e molti studenti di etnia rrom si sono assunti per la prima volta la loro identità, il che ci rende molto felici, perché era anche una delle poste in gioco dello spettacolo.”

    I due aggiungono che non sono risparmiati dall’emozione prima di ogni spettacolo, visto che esso ha un tono di critica nei confronti del corpo docente. Non è il primo anno né l’unica attività antibullismo che gli attori svolgono nelle scuole e nei licei. Negli anni precedenti, insieme agli studenti, hanno realizzato diversi video sul bullismo nelle scuole, uno dei quali è stato visto finora più di un milione di volte. Mădălina Brândușa spiega che, per questo motivo, nel corso di 3 mesi, hanno tenuto una serie di workshop con studenti di scuole situate sia in zone rurali che urbane, chiedendo loro quali siano i problemi più urgenti che devono affrontare.

    Alla domanda su cosa pensano che la scuola e le autorità potrebbero fare meglio per combattere il fenomeno del bullismo nelle scuole, Mădălina ha risposto: “Ciò che abbiamo capito che serve a livello scolastico è avere nel curriculum un’ora ogni settimana di educazione antibullismo, di laboratori teatrali su questo tema, sulle relazioni sane, di educazione sessuale specifica per fascia di età. Uno è farlo nelle classi elementari e un altra cosa è farlo nelle scuole medie e superiori. Deve essere qualcosa di costante, non succede nulla di straordinario se si fa una o due volte all’anno.”

    Andrei racconta ciò che gli è dispiaciuto quando è stato recentemente invitato a una conferenza, insieme a insegnanti, autorità, rappresentanti di polizia, assistenti sociali, avvocati, consulenti scolastici: “Dal mio punto di vista, l’approccio deve essere cambiato un po’. Siamo al punto in cui l’approccio è punitivo. Sono rimasto spiacevolmente sorpreso nel vedere che si discuteva in termini di vittima contro aggressore, ma in qualche modo, per correggere il loro comportamento, non dovrebbero essere visti come aggressori. Dobbiamo renderci conto che hanno un’età e che ci sono alcuni problemi dietro, problemi che di solito sono sistemici, queste cose si riducono a un accesso ineguale alle risorse. Ci sono persone che non hanno accesso alla terapia, compresi i genitori. Dovrebbe esserci un intervento in famiglia, dovrebbe essere gratuito – accesso alla terapia, a uno psicologo, andare a vedere cosa sta succedendo. La violenza essendo presente in famiglia, più spesso, ma non esclusivamente in ambienti precari, qui in qualche modo bisogna intervenire.”

    Le vittime del bullismo, così come coloro che lo perpetuano, sono esposte a problemi emotivi e sociali, depressione, bassa autostima, scarso rendimento scolastico, ansia e molti altri, problemi che possono durare a lungo e segnare la vita di una persona. Uno studio ha dimostrato che le vittime del bullismo infantile avevano 4,3 volte più probabilità di sperimentare un disturbo d’ansia da adulti rispetto a coloro che non avevano avuto tale esperienza. Inoltre, coloro che avevano svolto sia il ruolo di vittima che di carnefice correvano un rischio 14,5 volte maggiore di sviluppare disturbo di panico in età adulta.

    Andrei ritiene inoltre che gli studenti non abbiano abbastanza opportunità per lavorare in gruppo e fare amicizia come partner. Secondo lui non esistono insegnanti formati a “insegnare” l’empatia e a formare negli studenti la capacità di sentire ciò che sente l’altro: “Mi sembra che la scuola sia in un ambito molto competitivo e gli studenti non abbiano materie o attività in cui possano lavorare insieme, fare qualcosa insieme, conoscersi, fare amicizia. Il nostro esempio è stato quello di mettere nella stessa classe sia le vittime, sia gli aggressori, di varie età, sia quelli che hanno subito atti di bullismo sia quelli che hanno compiuto atti di bullismo. Lavorando insieme per tre mesi, hanno cominciato a diventare amici, a vedere che, in effetti, recitare vuol dire affidarsi, fidarsi del proprio collega, e poi sono diventati amici. Penso che attività del genere manchino nelle scuole.”

  • La pattuglia apicola urbana

    La pattuglia apicola urbana

    Bucarest potrebbe letteralmente essere considerata un enorme alveare. Tra i muri di cemento o gli alberi curati ogni stagione, ci sono api con i favi, gli insetti di nessuno. Decine di migliaia di api trovano rifugio nelle aperture di ventilazione degli edifici, nelle soffitte delle case, anche storiche, negli ospedali, nelle ambasciate, nei ministeri, nei parchi o nei cimiteri. Gli operatori del numero di emergenza 112 ricevono, ogni settimana, richieste di aiuto da parte di persone che vogliono liberarsi di questi insetti. Per questo è nata la pattuglia apicola urbana, un gruppo di apicoltori volontari che proteggono sia le persone dalle api che le api dalle persone. In sostanza, la pattuglia è un’interfaccia tra cittadini e apicoltori pronti a intervenire ed estrarre sciami di api indesiderate o che si insediano in luoghi inappropriati della città, alcuni insoliti, di cui Marian Pătraşcu, il fondatore della pattuglia, racconta: ʺOgni situazione, anche se sembra identica, ha una particolarità. Di solito, si siedono su un ramo d’albero, ma si siedono anche più in alto. Siamo stati chiamati alla Cattedrale della Salvezza del Popolo, dove ci sono tre anelli architettonici che adornano l’edificio a 50 metri di altezza, e gli operai hanno notato almeno tre ingressi, e lì abbiamo potuto solo constatare la loro presenza. Non potevamo rompere i muri e le abbiamo lasciate vivere lì perché siamo apicoltori, lavoriamo con le api e non le uccidiamo. Siamo rimasti colpiti anche noi da ciò che abbiamo visto che è stato fatto ad un’altezza di 50m. Sicuramente le api lì non possono fare del male. Inoltre, ci sono molte famiglie di api nel Palazzo del Parlamento, lavorano lì instancabilmente, gli sciami se ne vanno, vengono portati via dai nostri colleghi. In un edificio sul Viale della Vittoria, il favo centrale era alto 1,80 m, quindi era lì da almeno 5 anni. Le api non avevano dato fastidio a nessuno. In una casa abbandonata a Plumbuita, c’erano 20 favi. Da qualche parte vicino a Bucarest, in una finestra in disuso, circa 100 kg di miele in favi. È un peccato che questi valori vadano perduti, che non siano valorizzati!ʺ

    Può sembrare paradossale, ma le api vivono più felici a Bucarest con il traffico soffocante, perché hanno cibo più pulito rispetto alle api delle campagne. E questo perché gli spazi verdi urbani, quanti ce ne sono, non sono avvelenati da pesticidi o erbicidi. “L’ambiente urbano è diventato straordinariamente amichevole per le famiglie di api. Qui trovano costantemente una fonte di cibo, di nettare, hanno fiori costantemente, nei parchi, nelle piazze, in tutte le composizioni floreali che vengono costantemente cambiate e annaffiate dalla primavera fino al tardo autunno “, spiega Marian Pătraşcu: “Nelle grandi città, le api se la passano molto bene, perché le autorità assicurano un ambiente permanentemente favorevole, i fiori vengono cambiati, vengono annaffiati, anche se non ci sono precipitazioni, cosa che non avviene più nelle zone rurali. Lo diciamo addirittura ogni volta che siamo chiamati ad intervenire che l’ambiente urbano è diventato un paradiso per le api, rispetto all’ambiente rurale, perché i fiori sono estremamente limitati, l’eccessivo diserbo, la siccità, il cambiamento climatico – tutto questo ha contribuito a creare pessime condizioni in la campagna e l’ambiente urbano è un’alternativa”.

    La Pattuglia Apicola Urbana, attraverso il suo fondatore, esorta i cittadini di Bucarest a non cercare di cacciare via da soli le api, ma a chiedere aiuto: ʺDevono avvisare le autorità. Già da 6 anni siamo attivi a Bucarest, nella confinante provincia di Ilfov e oltre, avendo questa pagina in rete dove abbiamo cercato di mostrare alla gente che è qualcosa di normale. Le api possono essere nostre amiche e noi dobbiamo comportarci come tale. Senza di loro non c’è vita. Beh, è semplice: avvisa le autorità, un apicoltore o direttamente il servizio di emergenza 112 e noi veniamo chiamati e sappiamo cosa dobbiamo fare. Durante il periodo dello sciame vengono segnalate in media 30-40 situazioni al giorno e durante il periodo di punta riceviamo forse anche 100 chiamate solo a Bucarest e nella provincia di Ilfov. Quasi tutte sono risolte. Per noi la prima cosa è non mettere in pericolo la vita dei cittadini o degli apicoltori che intervengono… Sicuramente potranno stabilirsi altrove. Sappiamo che hanno creato problemi da qualche parte? Abbiamo messaggi secondo cui hanno creao problemi solo laddove non sono state lasciate in pace”.

    Invece, perché no?, convivendo con le persone, il miele delle api della Capitale potrebbe diventare un brand della città. Marian Pătrașcu: ʺIn questa zona oltre il Danubio, anche Erodoto diceva che non si poteva penetrare per la moltitudine di sciami di api. Non dimentichiamo che, per centinaia di anni, il miele, la cera e altri prodotti sono stati offerti come tributo. Tre case su cinque avevano alveari nel giardino. Però in questo momento, almeno negli ultimi 30 anni, c’è questa paura amplificata, e diciamo, ingiustificata, e, ripeto, dobbiamo comportarci normalmente, fanno parte della nostra vita e dobbiamo imparare a convivere con loro.ʺ

    Un cliente della Pattuglia Apicola Urbana ha assaggiato il miele “selvatico” di Bucarest e dice che è solo di colore più chiaro di quello che tutti conosciamo, è molto, molto buono!