Category: Pagine di storia

  • Il tesoro della Polonia in Romania

    Il tesoro della Polonia in Romania

    Nell’autunno del 1939, poco dopo la firma dell’odiato patto Ribbentrop-Molotov da parte della Germania nazista e dell’Unione Sovietica, le due potenze totalitarie cominciavano a dividersi le zone di occupazione e influenza come concordato. La Polonia era la prima sulla lista nera e nella seconda metà di settembre fu proprio cancellata dalla carta. L’attacco tedesco dell’1 settembre 1939 fu seguito da quello sovietico del 17 settembre e la Polonia, intrappolata fra due potenze, non poté resistere per più di due settimane.

    Seguì il calvario del rifugio dei militari polacchi sopravvissuti e della popolazione civile. Ma anche la messa a riparo dei beni polacchi, tra cui il tesoro della Banca Centrale della Polonia, la maggior parte proveniente dal castello Wawel in Cracovia. Siccome dal marzo 1939 la Cecoslovacchia era stata occupata dalla Germania e l’Ungheria era alleata della Germania, l’unica salvezza per le ricchezze della Polonia era tramite la Romania. Dopo la fine della prima guerra mondiale, la Romania ridiventava Paese confinante con la Polonia, dopo che la Moldova aveva avuto durante il Medioevo confine diretto con il regno della Polonia e i rapporti erano stati importanti fino all’inizio del 18-esimo secolo.

    Così cominciò l’odissea di alcune importanti collezioni contenenti centinaia di oggetti di valore. Le più importanti erano le oltre 300 tappezzerie Jagellone di metri di seta, ricamate con filo d’oro e d’argento, di cui circa 110 risalenti alla prima metà del 16-esimo secolo, la spada da coronamento Szczerbiec dei re polacchi tra il 1320 e il 1764 e una copia originale della Bibbia stampata nel 1455 da Johannes Gutenberg.

    La strada attraverso la Romania era ancora libera e le autorità romene collaborarono strettamente con quelle francesi e britanniche, che sostenevano la messa a riparo del tesoro polacco. Traian Borcescu, ufficiale presso il Servizio Speciale di Informazioni, fu testimone all’operazione che presupponeva che i valori polacchi dovevano attraversare la Romania sotto la massima sorveglianza. Ecco la sua dichiarazione rilasciata al Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena nel 2003.

    Facevo parte dello stato maggiore ed ero delegato presso il colonnello Diaconescu, il quale era incaricato a sorvegliare il trasferimento della popolazione e delle autorità dalla Polonia verso la Romania. I polacchi erano amici degli ungheresi, non avevano ancora riconosciuto l’annessione della Transilvania alla Romania, essendo piuttosto dalla parte degli ungheresi. Ma proprio loro non gli aiutarono. Gli unici ad aiutarli siamo stati noi, dopo che i francesi e gli inglesi avevano consigliato loro di mandare il tesoro attraverso la Romania. Armand Călinescu accettò a patto che l’esercito venisse disarmato e verificato al confine, di modo che non vi fossero infiltrati agenti stranieri, e che l’armamento venisse deposto e il tesoro portato in maniera del tutto segreta, in un giorno non conosciuto né dai russi, né dai tedeschi. Perché sarebbe potuto essere attaccato, ricordava Traian Borcescu.

    Il confine polacco-romeno, che scomparve dopo il 1945, cominciò ad essere attraversato da un convoglio di camion, macchine e treni il 3 settembre 1939. Traian Borcescu ha rifatto l’itinerario dei valori polacchi fino al Mar Nero posto in cui dovevano essere imbarcati su un sommergibile.

    Furono effettuati due trasporti: da Vişniţa fino a Cernăuţi e poi da Cernăuţi fino a Costanza. Una parte del tesoro fu fermata anche da noi, per le truppe e i rifugiati polacchi, però in seguito alla sollecitazione franco-inglese dovemmo accettare che il tesoro, composto da circa 70 casse e pacchi, fosse imbarcato su un sommergibile britannico, a Costanza, che era sotto il comando del capitano Brett. A Costanza il trasporto fu bloccato dall’esercito romeno, dai servizi di Sicurezza, dalla Sicurezza polacca, e dagli agenti franco-inglesi. Il tesoro non poteva restare da noi, sebbene ci fossimo offerti di conservarlo. Gli inglesi si resero conto che la Romania avrebbe avuto la stessa sorte della Polonia a causa del patto dell’agosto 1939, in cui le zone di influenza della Russia erano fissate verso il Baltico e quelle di influenza tedesca in Romania, Bulgaria e così via. Dunque, nell’eventualità di un’occupazione della Romania, il tesoro non doveva cadere in mano ai tedeschi, aggiungeva l’ex ufficiale.

    Una piccola parte del tesoro polacco rimase tuttavia in Romania. Nell’estate del 1944, quella piccola parte di 3 tonnellate del tesoro polacco si affiancò alle 242 tonnellate d’oro del tesoro della Banca Centrale della Romania che venne mandato al monastero di Tismana, verso ovest, per essere protetto dall’invasione sovietica. L’operazione fu intitolata Neptun e il tesoro fu portato in grande segreto in una grotta vicino al monastero. Nel 1947, l’oro della Banca Centrale della Romania tornò a Bucarest, mentre le 3 tonnellate del tesoro polacco furono restituite al loro proprietario di diritto.

    L’odissea dell’oro polacco costituì anche la trama di un film polacco-romeno, Il treno dell’oro, girato nel 1986, con la regia di Bohdan Poręba. Il film ha due parti e i protagonisti sono interpretati da attori polacchi e romeni.

    Sfuggito alla confisca da parte dei tedeschi, il tesoro polacco cominciò un altro viaggio attraverso Malta, Svizzera, Vaticano e Francia. Ma neanche in Francia poté restare sempre a causa del pericolo dell’occupazione tedesca. Fu mandato in Canada e negli USA alla ricerca del tanto desiderato riparo. (traduzione di Gabriela Petre)

  • L’economia pianificata e le banche

    L’economia pianificata e le banche

    Il sistema dell’economia controllata dallo stato fu una componente di base del regime comunista. Dopo l’insediamento del primo governo comunista, il 6 marzo 1945, il Partito Comunista Romeno cominciò ad applicare questo sistema. Nella trasformazione dell’economia, il PC si basò sulle istituzioni statali che aveva accaparrato sotto la tutela dell’esercito sovietico, sui propri membri, sul lavoro ideologico, su pressioni e cointeressamento.

    Il ritmo di passaggio da un’economia libera di mercato ad una centralizzata e pianificata durò qualche anno, però gli obiettivi furono ben definiti e portati a compimento. Il metodo applicato fu quello della nazionalizzazione o confisca, e le banche passarono per prime nella proprietà dello stato. Considerate uno dei simboli del capitalismo, le banche furono spossessate dei loro attivi, del diritto a concedere crediti e a fissare interessi, dei depositi e di altre obbligazioni.

    La legge n.119 dell’11 giugno 1948 nazionalizzava le imprese industriali, bancarie, di assicurazioni, minerarie e di trasporto, che diventavano di proprietà dello stato. Praticamente, ogni mezzo di produzione che generava profitto veniva confiscato. Nicolae Magherescu, membro della gioventù liberale e capo gabinetto del ministro delle finanze Mihail Romniceanu, ricordava nel 1996, quando fu intervistato dal Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena, i momenti di dopo la nazionalizzazione.

    Tutti i salariati delle altre banche furono assunti presso la Banca Centrale, che diventò banca di stato e tutte le operazioni bancarie venivano fatte solo tramite questa banca: quelle legate alla cassa, ai crediti, agli sconti, tutto. Con la banca unica cominciò lo sviluppo del sistema statale centralizzato, perché era il sistema bancario a detenere gli strumenti economici e finanziari, ricordava Nicolae Magherescu.

    Ciò portò al crollo dell’economia di mercato, della concessione dei mutui e della circolazione monetaria, che è il motore di un’economia sana. Mihail Magherescu ricorda le nuove condizioni di lavoro dei dipendenti della banca.

    Ero neo arrivato, per cui il mio stipendio era il più basso, ero stagista, guadagnavo circa 4.500.000 lei, ma un pane costava 200.000 o 400.000 lei, forse anche di più. Per distruggere e confiscare tutti i mezzi di produzione della classe media o della borghesia, il governo propose una cosiddetta riforma monetaria, che era infatti una liquidazione di tutto il denaro, nessuno ricevendo nulla in cambio. Noi che avevamo un lavoro eravamo gli unici privilegiati perché, per quanto basso fosse, avevano uno stipendio. Ricordo che nel 1947, mi diedero 30 lei, ma erano soldi con cui potevo fare qualcosa. Altri, che non avevano un lavoro, non ricevevano nulla. La confisca del denaro fu il più duro colpo dato alla borghesia. Un anno dopo, il governo cominciò la nazionalizzazione di tutte le imprese private e questo fu il secondo colpo. Seguì nel 1952 la seconda riforma monetaria e la parità applicata non fu dell’1 a 1, ma dell’1 a 20 e non vennero cambiate tutte le somme detenute dalla gente, bensì una certa percentuale. Con questi mezzi, il PC cercò di liberarsi dalla borghesia e di impossessarsi di tutti gli strumenti che potevano produrre denaro nel Paese, aggiungeva Nicolae Magherescu.

    I consiglieri sovietici erano un elemento fondamentale nel nuovo tipo di economia applicata dal potere comunista di Bucarest. Presso la Banca Centrale vidi io stesso dei consiglieri, quando mi trasferirono dalla Banca Romena. Siccome ero giovane e non sposato, mi mandarono alla succursale di Ploieşti, ma dopo due anni mi richiamarono a Bucarest. Quando tornai, negli anni 1949-50, c’era un consigliere sovietico di nome Romashov, mal vestito e con gli abiti sempre stropicciati. Questo consigliere aveva portato con se tutte le istruzioni dalla GostBank di Mosca, e tutte le nostre operazioni dovevano essere realizzate in base al modello della GostBank, ricordava ancora Magherescu, spiegando che il regime si basava anche sui vecchi dirigenti per raggiungere i suoi obiettivi.

    Tutti gli esponenti che diressero questo processo bene messo a punto erano i dirigenti di prima. Se uno era pulito, non aveva detenuto proprietà o imprese, se era un buon lavoratore, lo lasciavano stare. Le cose andarono avanti in questo modo per 8-9 anni, dunque i comunisti collaborarono con i vecchi dirigenti. Conosco bene e posso parlare della situazione presso la Banca Centrale perché vi lavorai fino alla pensione. Tutti gli ex direttori che erano più anziani e avevano allora 45-50 anni furono sostituiti gradualmente con vecchi membri di partito o persino con operai che, anche se non avevano studi di finanza ed economia, si basavano molto sui tecnocrati mantenuti in servizio, ma che non ricoprivano cariche dirigenziali, ricordava ancora Magherescu.

    Con la nazionalizzazione, le banche romene si integravano in un tipo di economia che non era mai stato provato un Paese sviluppato. L’economia pianificata sembrava, sulla carta, superiore a quella di mercato, ma in realtà si dimostrò esattamente il contrario: negli anni a venire arrivò il fallimento.

  • La popolarità di Radio Europa libera

    La popolarità di Radio Europa libera

    Nella storia della radiodiffusione, la Radio Europa libera è stato un punto di riferimento dello spirito democratico, dello spirito civico e della difesa dei diritti delluomo. E stata una emittente molto ascoltata e la sua popolarità era dovuta alla professionalità e allo spirito critico. Nella Romania degli anni 1970-1980, la Radio Europa libera fu una delle poche fonti credibili che mantenevano il legame con il mondo libero, una via duscita per gli spiriti desiderosi di libertà che cercavano di scappare dal terribile carcere in cui il regime teneva rinchiusi milioni di romeni.



    Per la generazione dei giovani che parteciparono alla rivoluzione del 1989, Radio Europa libera fu una scuola in tutti i sensi della parola: della libertà, della politica, della società e della cultura. Una delle prove della popolarità di cui godeva lemittente è che i nomi dei giornalisti che vi lavorarono erano più conosciuti di quelli dei giornalisti che lavoravano in Romania. Noel Bernard, Vlad Georgescu, Mircea Carp, Neculai Constantin Munteanu, Raluca Petrulian e Doina Alexandru sono soltanto alcuni di quei nomi ai quali milioni di ascoltatori romeni si sentivano legati per la verità che dicevano a loro nome. La popolarità di trasmissioni come Il programma politico, realizzato da Mircea Carp e mandato in onda ogni sera dalle 18.10, ma soprattutto Lattualità romena e Dal mondo comunista, in onda dalle 19.10 alle 20.00, è stata molto più grande rispetto a tutte le produzioni simili realizzate nella Romania comunista dove funzionavano la censura e la paura.



    Mircea Carp ha lavorato presso la Radio Europa libera dal 1951, quando era scappato dalla Romania comunista, dopo di che lavorò per lemittente La voce dellAmerica. Dal 1978 tornò allEuropa libera per cui realizzò il programma di politica estera intitolato Il programma politico, che aveva un indice di ascolto molto alto. Intervistato nel 1997 dal Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena, Carp ha parlato del suo contributo alla popolarità del programma e implicitamente della Radio Europa libera.



    Fino al mio arrivo alla Radio Europa libera i programmi erano privi di dinamica. Perdonate la mancanza di modestia, ma io ho portato in questi programmi una dinamica americana, testi più brevi, interventi di personalità di tutto il mondo, tra cui romeni in esilio, personaggi del mondo libero. La stessa radio Europa libera, avvertendo forse che il crollo della Cortina di Ferro era vicino, aveva intensificato la sua offensiva. Certamente anche il dipartimento romeno, che puntava sempre di più su programmi in cui era esaminata la situazione della Romania. Mi riferisco a tutto quello che non si vedeva a prima vista, che forse molti romeni conoscevano, ma comunque non tutti. Il fatto che una emittente radiofonica straniera veniva con questi particolari della vera vita politica, economica, culturale, militare di Romania destava entusiasmo tra molti dei nostri ascoltatori, che non potevano parlare, dire quello che pensavano o sentivano, ma ritrovavano quei sentimenti, quelle informazioni nei programmi di Radio Europa libera. Dunque potrei dire che dallinizio degli anni 80, la dinamica dei programmi di Radio Europa libera, e mi riferisco nel nostro caso ai programmi in lingua romena, era sempre più aggressiva, senza essere però violenta, era aggressiva nel senso buono della parola. Il programma politico non si riferiva più a ciò che succedeva allestero, ma ogni volta in cui era possibile toccava anche argomenti romeni, ricordava Mircea Carp.



    La popolarità di Radio Europa libera era dovuta alla libertà che la gestione americana lasciava allemittente e allaccuratezza delle fonti di documentazione dei giornalisti. Le fonti di documentazione sulla situazione in Romania erano la stampa occidentale, i romeni che riuscivano a partire per lOccidente, gli uomini di cultura romeni che partecipavano a congressi allestero, i romeni del Paese che fornivano informazioni tramite lettere inviate illegalmente e il Centro di documentazione e ricerca dellEuropa libera. Mircea Carp ha parlato degli obiettivi dei programmi LAttualità romena e Dal mondo comunista, che hanno fatto aumentare lindice di ascolto dellemittente.



    Nacque poi lAttualità romena, prima con Emil Georgescu e poi con Neculai Constantin Munteanu, e questa Attualità romena diventò uno degli elementi chiave dei nostri programmi. Apparve poi il progamma Dal mondo comunista, realizzato da Doina Alexandru, in cui veniva presentata la situazione di Paesi con regimi comunisti dellEuropa Orientale, eventualmente anche dellURSS, della Cuba, non della Romania. Lo scopo del programma era di informare i nostri ascoltatori sulla situazione degli altri Paesi con regimi comunisti, affinché si rendesero conto che ciò che succedeva in Romania non erano elementi isolati, ma facevano parte di un insieme di situazioni, di persecuzioni, di atteggiamenti dei regimi al potere, che erano molto simili, per cui ciò che succedeva a Varsavia, succedeva anche a Sofia o Budapest. Gli ascoltatori del Paese avevano così la possibilità di seguire lo stato delle cose negli altri Paesi in cui cerano regimi comunisti. Tutta la dinamica dei programmi di Radio Europa libera, negli anni 80, raggiunse o tese verso unapice che furono infatti gli avvenimenti del dicembre 1989. Con un piccolo scoppio, che è stata la ribellione a Braşov del 15 novembre 1987, un primo segnale che abbiamo avuto su una situazione chiara che i romeni non erano più disposti ad accettare, una situazione che era diventata assolutamente inaccettabile da tutti i punti di vista, ha aggiunto Mircea Carp. (traduzione di Gabriela Petre)

  • Il politico Lascăr Catargiu

    Il politico Lascăr Catargiu

    Uno dei più importanti politici romeni dell’Ottocento, Lascăr Catargiu fu discendente di una grande famiglia di boiardi ricchi della Moldavia. Nacque nel 1823, in piena epoca di modernizzazione e formazione dello stato romeno moderno e fino al 1859 ricoprì vari incarichi nell’amministrazione locale della Moldavia. Sebbene fosse conservatore, sostenne l’unificazione della Moldavia con la Valacchia e partecipò attivamente all’elezione di Alexandru Ioan Cuza in entrambi i principati. Fu uno dei più decisi politici romeni, e insieme ai liberali agì a favore dell’allontanamento di Cuza dal governo quando si rese conto che l’esistenza dello stato romeno era in pericolo. Nel 1866 fece parte della luogotenenza principesca insediata dopo l’allontanamento di Cuza e fu un attivo sostenitore della monarchia costituzionale e della dinastia straniera. Vantava una grande forza di lavoro e si impose come leader dei conservatori che videro in lui un fattore di equilibrio dell’unità del partito.



    Lascăr Catargiu fu anche uno dei personaggi provvidenziali per la storia della Romania nella seconda metà del 19-esimo secolo. Inoltre, come sottolineato dallo storico Sorin Cristescu, salvò la Romania dalla destabilizzazione nel 1871: ”Il suo ruolo fu del tutto speciale, ad un certo momento salvò il regno di Carlo I. Un momento drammatico avvenne nel marzo del 1871. Quest’uomo fece fronte ad una situazione molto difficile. Non si sa se Carlo fosse veramente deciso di abdicare, ma lui intervenne fermamente mentre a Bucarest c’era stata una manifestazione organizzata dai liberali, volta a compromettere la colonia tedesca di Bucarest e il principe. Si presentò di fronte al re in veste di luogotenente principesco e gli disse che gli avrebbe offerto il governo forte di cui il Paese aveva bisogno se lo avesse nominato primo-ministro”, spiega lo storico.



    Che cosa impose Catargiu come leader dei conservatori, un partito pieno di personalità? ”Godeva di grande prestigio, fu il primo presidente del Consiglio nominato da Carlo, l’11 maggio 1866, e governò fino al 13 luglio 1866. Come arrivò a capo dei conservatori? Il Partito Conservatore era formato da personalità, da gente colta, tra cui i più noti erano Petre P. Carp e Titu Maiorescu. Lascăr Catargiu non aveva pretese intellettuali, non era acido nelle conversazioni. Dal punto di vista spirituale era piuttosto modesto, ma tutti si sentivano bene vicino a lui, mentre in un colloquio con Petre P. Carp, ad esempio, uno poteva essere messo subito in inferiorità. Carp esibiva sempre la sua superiorità nei confronti degli altri membri del partito. Perciò Lascăr Catargiu era sempre apprezzato e preferito. Grazie alla sua modestia, tutti lo volevano come capo perché non offendeva mai nessuno”, aggiunge Sorin Cristescu.



    Il governo presieduto da Lascăr Catargiu dal 1871 al 1875 portò la Romania sulla strada verso l’indipendenza. ”Quello fu il primo governo dall’unificazione dei Principati che portò a termine il mandato di quattro anni. Una cosa che non si era mai vista. Fu molto efficace, riuscendo a gestire la situazione finanziaria difficile e vinse le elezioni senza problemi. Con un gesto di indipendenza, sfidò il firmano dato dal sultano che proibiva alla Romania di firmare convenzioni commerciali con altri stati. Firmò la convenzione commerciale con l’Austria nel 1875 dimostrando che la Romania era praticamente indipendente. Sarebbe stato a capo del governo per altri 4 anni se nell’agosto del 1875 non fosse scoppiata la rivolta dei cristiani in Bosnia ed Erzegovina. In qualche mese tutti capirono che sarebbe seguita una guerra fra ottomani e russi e che la Romania avrebbe dovuto parteciparvi. A prescindere dal risultato della guerra, si dovevano cedere le tre province nel sud della Bessarabia: Cahul, Ismail e Bolgrad. E chi voleva connettere il proprio nome ad una cessione territoriale? I conservatori non vollero e si ritirarono dal governo”, spiega ancora lo storico.



    ”Questo non può essere, Maestà” è uno dei detti più popolari all’epoca. Apparteneva a Lascăr Catargiu e dimostrava fermezza, coraggio e inflessibilità quando veniva raggiunto un certo limite, persino da parte della regina. ”Quando fece questa affermazione era ministro dell’interno nel governo presieduto da un altro conservatore, il generale Ioan Emanoil Florescu. Lo disse come un’evidenza. Era inaccettabile ciò che la regina intendeva fare, cioè far sposare il principe erede Ferdinando con la sua damigella d’onore Elena Văcărescu. Lui ha espresso nel miglior modo possibile l’atteggiamento di un’elite che d’un tratto si era coalizzata intorno ad una proposta. Il matrimonio di Ferdinando con Elena Văcărescu non divise l’elite romena in due, perché non fu sostenuto da nessuno dei boiardi romeni, e nemmeno – come confessa con delusione Elena Văcărescu — dai parenti più vicini alla loro famiglia. Ma il modo in cui Lascăr Catargiu lo disse piacque a tutti”, conclude lo storico.



    Nel 1899, Lascăr Catargiu morì a 76 anni, per un arresto cardiaco, proprio nel giorno in cui re Carlo I lo nominava primo-ministro per la quarta volta. (traduzione di Gabriela Petre)

  • Callatis, antico insediamento sul litorale romeno del Mar Nero

    Callatis, antico insediamento sul litorale romeno del Mar Nero

    Tra i secoli ottavo e sesto avanti Cristo, ebbe luogo il fenomeno definito dagli storici dell’antichità la grande colonizzazione greca. Dai centri di civiltà della Grecia Antica, i coloni si sparsero in tutto il mondo, gettando le basi di insediamenti urbani che mantenevano rapporti commerciali, politici e culturali con le fortezze d’origine. I greci antichi fondarono insediamenti anche sul litorale del Mar Nero. A ovest, sull’attuale territorio della Romania, apparvero Histria e Tomis, fondate dai coloni di Mileto, antica città greca sita sul litorale orientale del Mar Ionio, e Callatis, fondata dagli abitanti di Eraclea Pontica, città sul litorale meridionale del Mar Nero, a 100 chilometri est dallo stretto di Bosforo.



    Stando agli specialisti e agli archeologi, la fortezza di Callatis era il più importante centro culturale nell’antichità nell’odierna Dobrugia. Non era solo un centro economico sviluppato, esisteva anche il porto di Callatis, in cui si facevano scambi di merci. Callatis fu fondata dai coloni greci arrivati dalla Eraclea Pontica, sul posto di un insediamento getico menzionato nelle fonti storiche con il toponimo di Acervetis o Cerbates. Era abitata dai geto-daci della Dobrugia e dai greci che erano venuti e avevano fondato la fortezza. Oggi, sul posto in cui c’era una volta l’antica fortezza di Callatis, si trova la città di Mangalia, con una popolazione di circa 33.000 abitanti.



    Sorin Marcel Colesniuc, il capo del Museo Callatis del Complesso Culturale Callatis, ci ha detto quali sono le principali tracce dell’antica fortezza che dimostrano l’esistenza di una ricca vita culturale a Callatis. “In primo luogo abbiamo le iscrizioni da noi rinvenute a Mangalia, poi le raffigurazioni di scrittori antici dell’antica fortezza Callatis, tra cui Istros di Callatis, Demetrios di Callatis, Heracleides detto anche Lembos e il rettore Thales. A Mangalia fu rinvenuto anche l’unico papiro antico sul territorio della Romania. Fu scoperto nel 1959 e siccome in Romania non c’erano condizioni adeguate di conservazione, venne mandato a Mosca. Fu considerato perso da tutti gli scienziati romeni per mezzo secolo. Io e il mio collega Ion Pâslaru abbiamo cercato il papiro e dopo due anni siamo riusciti a trovarlo, nel 2011, presso il Centro di Restauro e Conservazione di Mosca. Nello stesso anno abbiamo riportato nel Paese questo papiro, unico in Romania. Non sappiamo con esattezza cosa contiene il testo perché il papiro, venendo a contatto con l’aria e il sole nel momento in cui fu rinvenuto, si è disintegrato. Esiste il pericolo che sia andato perso definitivamente, per fortuna è arrivato a Mosca ed è stato conservato. Attualmente ce ne sono 154 frammenti, e su quelli più grandi si vedono lettere scritte in greco antico. Non esiste neanche una parola intera, ma solo lettere disparate. Il papiro risale al quarto secolo avanti Cristo”, spiega Sorin Marcel Colesniuc.



    Abbiamo chiesto a Sorin Marcel Colesniuc che cosa si può vedere nel Museo Callatis. “Nel museo si possono vedere numerosi pezzi architettonici, colonne, capiteli, architravi, fregi con metope, cornici con bucrani, vasi ceramici di vario tipo, tra cui le più importanti sono le anfore. Sono esposti anche lampade a olio, acquedotti, statuette tanagrine, vasi di vetro, stele funerarie, iscrizioni, rappresentazioni delle divinità, gioielli, monete, oggeti in metallo e così via. Davanti al museo gli interessati possono vedere frammenti architettonici. Esiste anche un parco archeologico e vorrei menzionare anche i siti nei dintorni di Mangalia. Si tratta del muro settentrionale della fortezza Callatis che si può ancora vedere, dell’angolo di nord-ovest della fortezza, rinvenuto e studiato e poi della tomba principesca sita a 3 chilometri da Mangalia, sulla strada verso la località di Albeşti”, aggiunge Sorin Marcel Colesniuc.



    Un indizio importante della vita economica della colonia Callatis è il porto antico, attualmente coperto dal mare. “Il Porto Callatis fu costruito nel quarto secolo avanti Cristo. Purtroppo, il mare è cresciuto di circa 2 metri negli ultimi 2000 anni e il porto e gli allestimenti portuali si trovano attualmente sotto l’acqua del Mar Nero. Negli anni ’60-’70, Constantin Scarlat fece delle immersioni a Callatis e disegnò una cartina del porto antico. Scopri anche molti pezzi architettonici, moltissima ceramica, soprattutto tegole e anfore. Abbiamo anche una cartina da lui pubblicata nel 1973 su una rivista scientifica di Cluj. Sulla cartina sono menzionati anche alcuni relitti. Abbiamo collaborato con compagnie italiane e ungheresi che sono venute a fare una scansione del fondo del Mar Nero nella zona della città di Mangalia ed è stata dimostrata l’esistenza di alcuni relitti di navi antiche”, aggiunge il nostro ospite.



    Alla fine Callatis decadde, diventando una rovina e Sorin Marcel Colesniuc attribuisce la causa all’invasione dei popoli migranti. “Nel secondo secolo dopo Cristo arrivarono nella regione le popolazioni migratorie. I primi furono i costoboci, poi i goti, i carpi, e gli unni nel quinto secolo. Alla fine del sesto secolo e all’inizio del settimo, arrivarono gli avari e gli slavi che distrussero definitivamente la fortezza di Callatis e per 300 anni non sappiamo più nulla della sua esistenza, perché mancano le fonti archeologiche. Poi, nel 13-esimo secolo, al posto dell’antica fortezza di Callatis fu menzionata per la prima volta l’esistenza di Pangalia, mentre il toponimo di Mangalia appare per la prima volta menzionato nei documenti nel 1593”, conclude Sorin Marcel Colesniuc. (traduzione di Gabriela Petre)

  • La politica balcanica della Romania dopo la seconda Guerra mondiale

    La politica balcanica della Romania dopo la seconda Guerra mondiale

    Prima del 1940, la Romania puntò su una politica balcanica di cooperazione e creazione di alleanze. Dopo la guerra, fino alla metà degli anni 1950, la politica balcanica della Romania fu controllata dall’URSS. Solo dopo la morte di Stalin nel 1953, la Romania cominciò di nuovo ad avere iniziative proprie nella regione e a tentare di superare le barriere imposte dalla divisione postbellica dei Balcani in blocchi militari e politici diversi. Mentre Romania, Jugoslavia, Bulgaria e Albania si trovavano sotto il controllo dei regimi comunisti, la Turchia e la Grecia facevano parte dello spazio della democrazia liberale.



    Dopo il 1956 e l’intervento contro la rivoluzione anticomunista in Ungheria, per migliorare la sua immagine internazionale, l’Unione Sovietica lasciò ai Paesi che controllava una certa libertà di movimento. In Romania, i sovietici andarono oltre, e persino ritirarono le loro truppe nel 1958. I comunisti romeni sfruttarono questo rilassamento tentando un avvicinamento economico e culturale agli altri Paesi balcanici.



    Valentin Lipatti fu ambasciatore, saggista e traduttore. Intervistato nel 1995 dal Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena, Lipatti ricordò l’iniziativa della denuclearizzazione dei Balcani.



    “Dopo la guerra, la prima iniziativa romena più importante fu, come si sa, l’iniziativa lanciata dall’allora primo ministro, Chivu Stoica, del 1957, relativa alla denuclearizzazione dei Balcani. Era una iniziativa audace, importante, ma che certamente fu accolta con molta reticenza. Mentre Bulgaria e Jugoslavia erano favorevoli ad un processo di denuclearizzazione, di trasformazione dei Balcani in una zona priva di armi nucleari, Grecia e Turchia, che appartenevano all’alleanza NATO si opposero e l’iniziativa, per quanto bella, non ebbe grande successo”, spiega Valentin Lipatti.



    Siccome la barriera tra il comunismo e la democrazia era apparentemente impossibile da superare, la cooperazione culturale era una soluzione.



    “Parallelamente a questa iniziativa di tipo governativo, difficile, perché si riferiva al settore militare e la problematica militare è sempre la più complessa, nei Balcani si svolse una collaborazione molto importante in campo culturale, ma a livello non-governativo. Per anni la cooperazione multilaterale nei Balcani andò avanti a livello non-governativo, che era più facile da realizzare, senza tanti riserbi e ostacoli da affrontare. Così, ad esempio, l’Unione Medica Balcanica, risalente al periodo interbellico, l’Unione Balcanica dei Matematici, poi la recentemente creata — nel 1963 — Associazione Internazionale di Studi Sud-Est Europei, e molte altre organizzazioni e associazioni professionali mantennero questo clima di fiducia e cooperazione negli ambienti scientifici e in quelli professionali balcanici”, aggiunge Valentin Lipatti.



    Il Comitato di Cooperazione Balcanica, presieduto da Mihail Ghelmegeanu, era inteso a coordinare le azioni culturali. Anch’esso ebbe però successi limitati. “Il Comitato di Cooperazione Balcanica presieduto da Mihail Ghelmegeanu era sempre uno non-governativo, per la pace. Andavano di moda allora le organizzazioni per la difesa della pace. C’era soprattutto l’idea sovietica di tenere conferenze mondiali per la pace, conferenze regionali a favore della pace, contro l’imperialismo e così. Nei Balcani fu fondato questo Comitato per la difesa della pace nei Balcani”, spiega ancora Valentin Lipatti.



    Alla riunione di Atene del 1976, riunione governativa nel campo della cooperazione economica e tecnica, si fecero vedere i vizi della politica. “L’obiettivo che la Romania seguiva attentamente, come anche a Jugoslavia e la Turchia, e in qualche misura anche la Grecia, era quello di creare un quadro istituzionale, perché una conferenza per quanto fosse buona, se è unica non vale gran che, viene dimenticata. Qui incontrammo la ferma opposizione della Bulgaria. I nostri amici bulgari vennero con un mandato molto restrittivo e non accettarono di approvare nulla. Le decisioni venivano prese in base al consenso, per cui bastava che uno avesse diritto di veto e la decisione non poteva essere presa. La Bulgaria faceva la politica sovietica e allora Mosca non accettava volentieri una cooperazione economica nei Balcani, che, con il passare del tempo, avrebbe potuto sfuggire al suo controllo. Temeva il pericolo di un mini-mercato comune balcanico in cui, certamente, Romania e Bulgaria erano Paesi socialisti, ma Turchia, Grecia e Jugoslavia avrebbero potuto portare questa cooperazione su vie non desiderate dall’Unione Sovietica. Allora i bulgari ricevettero l’ordine di bloccare le conseguenze. Tale colpo bloccò per un lungo periodo, per qualche anno, il processo multilaterale”, conclude Valentin Lipatti. (traduzione di Gabriela Petre)

  • La guerra in Transnistria

    La guerra in Transnistria

    Le riforme avviate dal leader sovietico Mikhail Gorbachev, conosciute anche come perestrojka e glasnost’, alla metà degli anni 1980, non furono per niente utili all’Unione Sovietica. Il suo crollo nel 1991 confermò il fallimento del sistema fondato nel 1917 dalla rivoluzione bolscevica di Lenin. Ma lo smantellamento dell’URSS lasciò aperta l’opzione degli scontri armati. Anche se il regime comunista sembrava aver posto fine alla possibilità che i conflietti fossero risolti per via militare, essi erano stati solo congelati o rinviati.



    La scomparsa del vecchio sistema sovietico significò anche un ripensamento del modo in cui la Russia, da principale succesore dell’URSS, avrebbe mantenuta la sua influenza nelle ex repubbliche unionali. Uno dei metodi fu quello di incoraggiare i movimenti separatisti. Le prime sulla lista del Cremlino furono Georgia e Moldova, l’Ucraina essendo ancora considerato uno stato fedele a Mosca. Già dal 1990, in Georgia proclamarono la loro indipendenza le repubbliche-fantasma Ossezia del Sud e Abcasia, mentre in Moldova apparvero la Transnistria e la Gagauzia. Tutti questi territori sono subordinati, secondo il diritto internazionale alla Georgia e alla Moldova, non essendo riconosciute da nessun altro stato.



    La proclamazione della Repubblica Moldava di Transnistria il 2 settembre 1990 dopo che la Moldova aveva dichiarato la sua sovranità il 23 giugno 1990 aprì la strada verso il separatismo. Al censimento del 1989, la popolazione in Transnistria era formata da: moldavi – il 39,9%, ucraini – il 28,3%, russi – il 25,4% e bulgari – l’1,9%. Dopo che la Moldova diventò membro dell’ONU, il 2 marzo 1992, il presidente moldavo Mircea Snegur autorizzò l’intervento militare contro le forze ribelli che avevano attaccato posti di polizia fedeli a Chişinău sulla riva orientale del Dniester e a Tiraspol. I ribelli, aiutati dalle truppe sovietiche della Quattordicesima Armata, consolidarono il loro controllo sulla maggioranza nella zona. L’esercito moldavo, in inferiorità, non potè riconquistare il controllo sulla Transnistria neanche oggi, nonostante le mediazioni degli ultimi 25 anni.



    Mircea Druc fu primo ministro della Moldova dal 25 maggio 1990 al 28 maggio 1991. Quando scoppiò il conflitto, era uno dei capi del partito all’opposizione, il Fronte Popolare Moldavo. Secondo lui, la guerra in Transnistria non poteva essere evitata.



    Dal mio punto di vista, la Guerra russo-romena sul Dnister del 1992, non poteva essere evitata, per quanto tentassimo ora di accusare gli uni o gli altri. La sfortuna degli abitanti della Bessarabia e di quelli della riva sinistra del Dniester fu banale: la presenza, al di là del Dniester, degli arsenali e dei depositi d’armi evacuate dall’esercito sovietico dai Paesi dell’ex lager socialista. La era stato depositato tutto l’armamento proveniente da Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Bulgaria, da tutti i Paesi in cui c’erano stati i sovietici. Secondo calcoli elementari, c’era armamento per un valore di oltre 4 miliardi di dollari. Nel 1989 e 1990, in mezzo alla perestrojka di Gorbachev, scoppiò il conflitto fra Tiraspol e Chişinău perché il complesso militare-industriale di Tiraspol non poteva ammettere, assieme ad altre forze anti-Gorbachev e anti-perestrojka, che l’Unione Sovietica stava per scomparire. Rifiutavano una verità molto semplice: prima o poi tutti gli imperi crollano. Fino ad agosto 1991, quelle forze militarono e credettero che avrebbero potuto salvare l’Unione Sovietica, che il garante del loro benessere e della loro felicità sarebbe sopravvissuto. Però crollò nell’agosto del 1991. L’Unione Sovietica scomparve de iure il 5 dicembre 1991 dopo la firma da parte dei tre presidenti di Russia, Bielorussia e Ucraina dell’atto di smantellamento dell’Unione Sovietica”, spiega Mircea Druc.



    L’ex primo ministro è del parere che la guerra ebbe una forte motivazione economica, altrettanto importante come quella geostrategica.



    A Chişinău, alcuni clan avevano un unico problema di governo: come dividere l’eredità sovietica, il complesso agrario-industriale. Dunque la ricchezza delle aziende collettive, dei kolchoz, dei sovchoz, e di tutto ciò che si era accumulato per 50 anni grazie agli sforzi del popolo fra il Dniester e il Prut. In Transnistria, circolava invece una formula molto triviale: dicevano che non si dovevano lasciare in mano agli stronzi moldavi o ai romeni fascisti i 4 miliardi di dollari. Giravano parolacce contro Yeltsin e contro i responsabili di Mosca perché avevano detto che tutto ciò che si trovava sul territorio di un’ex repubblica sovietica socialista diventava di proprietà della rispettiva repubblica. Si chiesero cosa c’era da fare. «Non permetteremo» — dicevano — «che la ricchezza sia divisa». Perciò arrivarono a opporre resistenza. Se non vi fosse stato quel tesoro, quella fonte di arricchimento, non avrebbero lottato così fortemente Chişinău e Tiraspol, e non sarebbe intervenuta la terza forza che io personalmente sentivo allora che esisteva. Perché le truppe sovietiche non trattarono anche noi, i romeni della Bessarabia, come fecero con gli aristocratici” baltici? Perché — così la penso io — si rendevano conto che i romeni della Bessarabia erano molto più avventati e che lo spargimento di sangue era inevitabile. Ma quando apparve la possibilità di dare a Snegur tutti e 4 i miliardi, dissero di no. Persino i democratici di Yeltsin a Mosca decisero di intervenire, anche con la Quattordicesima Armata. Ma alla fine venimmo a sapere che tutto l’arsenale era stato venduto e i soldi gestiti da Ruckoj e Černomyrdin. Dopo 23 anni non c’è più nulla da dividere nella zona”, ha aggiunto Mircea Druc.



    Negli scontri morirono circa 600 combattenti da ambo le parti. Nel 1992, in seguito ad una convenzione sulla regolamentazione pacifica del conflitto firmata fra la Moldova e la Russia, fu accettato lo status-quo esistente sul terreno, il che significò la perpetuazione del conflitto fra Chişinău e Tiraspol. (traduzione di Gabriela Petre)

  • Riforme monetarie nella Romania interbellica

    Riforme monetarie nella Romania interbellica


    Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, la Piccola Romania diventò la Grande Romania. La vittoria dell’Intesa portò alla Romania l’annessione di Bessarabia, Bucovina, del Banato e della Transilvania al Vecchio Regno. Ma la Grande Romania si confrontava con una situazione economico-finanziaria precaria e doveva integrare le nuove province. Presieduto da Vintilă Brătianu, il Ministero delle Finanze romeno continuo un piano di rafforzamento economico avviato dal precedente ministro, Nicolae Titulescu. Lo storico Ioan Scurtu, con spiegazioni sulle principali tappe della riforma fiscale degli anni 1920.



    Nicolae Titulescu fu il primo ministro ad elaborare una legge — d’altronde molto complessa, motivo per cui non venne applicata — che introduceva il principio della progressività, ovvero tasse a seconda dei redditi, ma anche l’imposta sui redditi complessivi. Chi incassava da più fonti, pagava un’imposta per la somma totale guadagnata. In pratica, Vintilă Brătianu riprese le idee di base di Nicolae Titulescu. Sempre in seguito alla sua iniziativa, venne adottata, a febbraio 1923, una nuova legge che in essenza aveva lo stesso contenuto, con l’unica differenza che c’erano meno categorie di redditi”, spiega Ioan Scurtu.



    La politica finanziaria di Vintilă Brătianu puntò sulla modernizzazione del sistema fiscale romeno e sull’osservanza del principio dell’equilibrio di bilancio. Il disegno di legge sui contributi diretti, elaborato sotto il suo stretto coordinamento e votato nel Parlamento nel 1923, rispondeva alle necessità di ammodernamento del sistema fiscale romeno ed ebbe un impatto positivo sul valore e la struttura degli incassi al budget dello stato. Il nuovo sistema di suddivisione delle spese era una passo importante nel consolidamento della situazione finanziaria della Romania interbellica.



    Questa legge introduceva anche una tutela speciale per quanto riguardava gli incassi dalle attività industriali. Vintilă Brătianu era un sostenitore della politica tramite noi stessi”, di una politica volta a determinare lo sviluppo dell’economia e soprattutto dell’industria. Secondo lui, in seguito alla guerra e agli atti di unificazione, la Romania aveva conquistato i suoi territori e indipendenza politica, ma aveva bisogno anche di indipendenza economica. Vintilă Brătianu era del parere che l’indipendenza politica fosse impossibile in assenza di quella economica. Tale riforma aveva lo scopo di sostenere lo sviluppo economico della Romania, soprattutto dell’industria. Il quadro era il governo liberale, il più lungo nell’intero periodo interbellico, durato più di quattro anni, dal gennaio 1922 fino alla fine del marzo 1926. In questo periodo fu adottata anche una nuova Costituzione che prevedeva la nazionalizzazione delle richezze del sottosuolo. Su questa base, fu adottata anche una legislazione che permetteva l’applicazione del principio liberale tramite noi stessi”, garantendo lo sviluppo in un ritmo accellerato dell’economia nazionale. Menzionerei il fatto che nel 1928, a dieci anni dall’Unità, il livello di sviluppo industriale della Romania era quasi due volte e mezzo superiore a quello precedente la prima guerra mondiale”, aggiunge lo storico.



    Le sfide per la carica di ministro delle finanze furono l’importanza economica speciale del confine danubiano e lo sfruttamento del greggio romeno. E’ riconosciuto il merito di Vintilă Brătianu di aver individuato le difficoltà affrontate dall’economia nazionale in seguito alla importante presenza di capitale straniero nell’industria petrolifera della Romania. Brătianu fu il politico che stabilì le principali coordinate di una politica energetica nazionale, insistendo sull’impiego ottimale delle risorse petrolifere in Romania nel contesto dell’aumento della domanda di energia non solo a livello interno, ma anche a livello mondiale.



    La riforma di Nicolae Titulescu fu importante perché stabilì una certa direzione. Vintilă Brătianu diede contenuto a questa riforma, stabilendo ciò che si doveva fare con le somme che arrivavano alle casse dello stato, dopo il pagamento di stipendi e pensioni, anche se all’epoca erano pochi i beneficiari delle pensioni dallo stato. Lui non puntò sul pagamento dei debiti dello stato romeni, bensì sul garantire gli investimenti, soprattutto concedendo mutui a coloro che avevano l’audacia di avviare attività industriali per produrre beni che non si fabbricavano ancora in Romania. Parliamo soprattutto dell’industria metalmeccanica. Così venne fondata la fabbrica Malaxa e sempre in questo modo furono gettate le basi dell’Industria Aeronautica Romena e di altre grandi imprese del periodo interbellico”, conclude Ioan Scurtu.



    La valorizzazione delle risorse naturali rappresentava nella visione del ministro delle finanze Vintilă Brătianu, un elemento importante per creare un’economia che non fosse più così dipendente dal capitale straniero. Le misure di politica economica sostenute dal governo liberale contribuirono nel periodo 1918 – 1940 anche alla stabilizzazione della moneta romena. (traduzione di Gabriela Petre)


  • L’emigrazione politica greca nella Romania comunista

    L’emigrazione politica greca nella Romania comunista

    Dal 1946 al 1949, in Grecia si verificò una sanguinosa guerra civile tra le guerriglie comuniste finanziate dall’URSS e le forze governative greche. Gli scontri cominciarono con l’attacco contro le forze governative da parte dei ribelli comunisti nelle regioni montane al confine con la Jugoslavia e l’Albania. L’obiettivo dei comunisti era l’allontanamento del regime legittimo monarchico, ritenuto fascista, e l’insediamento di una repubblica socialista. Il conflitto fra Stalin e Tito significà la sconfitta delle gurriglie comuniste greche. Ulteriormente il Partito Comunista Greco si avvicinò a Mosca. Tito decise la chiusura dei confini jugoslavi con la Grecia e alle guerriglie comuniste venne a mancare il sostegno vitale, strategico e morale. L’Albania, che era sotto l’influenza di Tito, rinunciò pure essa a sostenere i comunisti greci. Fino al settembre 1949, gruppi sempre più sporadici di partigiani comunisti si arresero o attraversarono il confine in Albania da dove la maggior parte emigrarono verso Paesi socialisti.



    La Romania diventò così il posto prediletto dell’emigrazione comunista greca in cerca di riparo. 200.000 emigrati politici greci arrivarono nei Paesi socialisti, di cui tra 11.500 e 12.000 emigrati vennero in Romania. La Romania ricevette il maggiore numero di bambini greci, circa 5700, a cominciare dal 1948, su un numero totale di circa 28.000 bambini greci arrivati in 7 stati comunisti. La maggiore colonia di bambini greci fu quella di Sinaia, attiva dal 1948 al 1953. Negli alberghi della stazione sita sulla Valle del Prahova alloggiarono 1700 bambini, cui si aggiunsero alcune migliaia di bambini nord-coreani rifugiati in Romania a causa della guerra in Corea degli anni 1950-1953.



    Per tradizione, in Romania si erano insediati più coloni greci lungo il tempo. Entrata nella sfera di influenza sovietica, la Romania era preferita da coloro che avevano lasciato la Jugoslavia e l’Albania. Lo storico Radu Tudorancea dell’Istituto di Storia Nicolae Iorga” di Bucarest ha spiegato come sono stati accolti i combattenti comunisti greci in Romania. Una parte degli ex combattenti comunisti greci che avevano lasciato il Paese d’origine alla fine della guerra civile emigrarono anche in Romania, ricevendo sostegno da parte delle autorità di Bucarest, i feriti per curarsi, gli altri per potersi adeguare alle condizioni esistenti nel Paese e per integrarsi nella società romena. L’esistenza di una importante comunità greca in Romania sembrava favorire l’integrazione dei neo-arrivati, soprattutto dato che dal 1948 il gruppo filo-comunista all’interno della comunità greca era riuscito, con il sostegno delle autorità romene, ad assumere il controllo nella comunità e a gettare le basi di una nuova organizzazione intitolata l’Unione Patriottica Greca. Così, i pochi sostenitori del gruppo monarchista che erano rimasti in Romania furono emarginati”, spiega lo storico.



    Il Governo comunista romeno ha concesso un sostegno molto generoso agli ex membri delle guerriglie comuniste greche. Il sostegno offerto fu uno totale, dall’allogggio e dalle cure mediche fino ai soldi. Come in tutti i Paesi accaparrati dal regime comunista, anche in Romania la stampa strumentalizzò le informazioni sulla guerra civile greca. ”Lo svolgimento della guerra civile in Grecia fu seguito con preoccupazione in Romania essendo trattato intensamente nei periodici del partito. Come c’era da aspettarsi, i riferimenti sulla stampa romena si trasformarono in forti campagne, coordinate dal partito, che invariabilmente favorivano la lotta dei partigiani comunisti greci, sparlando costantemente nei confronti della parte anglo-americana e del suo ruolo nella guerra civile greca. Il leader comunista greco Nikos Zahariadis aveva inviato in Romania sin dal gennaio 1948 Letferis Apostolou, accreditato come rappresentante del cosiddetto governo democratico della Grecia. I suoi incarichi riguardavano le relazioni con le autorità romene, l’ottenimento del sostegno del governo della Repubblica Popolare Romania ai comunisti greci, la cura dei feriti e la preparazione delle colonie di bambini greci che dovevano essere fondate in Romania. Le autorità comuniste romene stanziarono importanti somme di denaro a sostegno degli emigrati politici greci. Veniva garantito un budget consistente al PCG, solo nel 1951 gli furono stanziati circa 300.000 dollari americani, ai quali si aggiungevano altre spese per la direzione. Le somme stanziate aumentarono l’anno successivo. Nel 1952 ricevettero circa 750.000 dollari americani e molte altre somme a sostegno delle case editrici. La sede del CC del PCG fu spostata a Bucarest e a molti degli attivisti di partito furono offerte abitazioni nel quartiere di lusso Primăverii, in diverse ville segrete”, aggiunge Radu Tudorancea.



    I rifugiati greci non rinunciarono alla lotta per l’instaurazione dell’ideale comunista nel loro Paese. Avevano considerato la sconfitta una cosa provvisoria, essendo pronti in qualsiasi momento a tornare a lottare, se la situazione internazionale si fosse presentata favorevole. La Romania diventava così una base per le azioni degli agenti comunisti greci in Grecia, addestrati da ideologi comunisti formatisi a Mosca. ”Anticipando una futura ripresa degli scontri in terra greca, gli attivisti greci di Romania volevano mantenere i gruppi degli ex partigiani all’erta, pronti a lottare. Nel 1950 fu organizzata a Breaza una scuola politica dove insegnavano anche personaggi come Nikos Zahariadis e Vasilis Barţiotas. L’ente doveva addestrare agenti disposti ad attivare illegalmente sul territorio della Grecia a sostegno della causa comunista. Nel periodo 1952-1955, più di 120 simili attivisti e agenti furono mandati clandestinamente in Grecia, molti di loro essendo catturati dalla polizia greca”, conclude lo storico.



    La morte di Stalin e il processo di desovietizzazione portarono anche alla morte della causa dei comunisti greci. La normalizzazione dei rapporti fra Romania e Grecia, gli interessi dei rapporti bilaterali posero fine all’opzione degli scontri armati. (traduzione di Gabriela Petre)

  • Testimonianze da Auschwitz

    Testimonianze da Auschwitz

    Per gli ebrei europei, il lager di Auschwitz-Birkenau significò la loro uccisione sistematica tramite un programma messo a punto dall’ideologia nazista. Il numero delle persone uccise nella maggiore fabbrica della morte è difficile da stimare, le cifre menzionate dai vari autori spaziando fra 1 e 1,5 milioni di ebrei. Dalla Transilvania Settentrionale, le autorità ungheresi mandarono ad Auschwitz 150.000 ebrei a cominciare dalla primavera del 1944. 70 anni dopo la liberazione del lager, il 27 gennaio 1945, abbiamo selezionato dall’Archivio della Radiodiffusione Romena le testimonianze dei superstiti di quell’inferno.



    Eva Berger di Cluj fu portata assieme a sua madre almeno in 10 campi di lavoro. Ad Auschwitz rimase solo per 3 giorni, sufficienti però per capire cosa succedeva lì. La registrazione è stata realizzata nel 1996. “Destra significava la vita e sinistra la morte! Io ero con mia madre e anche se assomigliavamo non ci prendemmo per la mano. Probabilmente non hanno notato che eravamo madre e figlia e ci hanno messe sulla parte destra. Non sapevamo cosa significava questo. Tutta la famiglia fu mandata a sinistra, c’erano zie, cugini, bambini piccoli. Chi aveva figli piccoli non poteva essere sfruttato per il lavoro e doveva essere in qualche modo eliminato. Notai che non si sentiva alcun uccello e lo dissi anche a mia madre. C’era una foresta, era a maggio-giugno e tuttavia non si sentiva alcun uccello. Poi mi resi conto che là c’erano le camere a gas e forse per questo, a causa del gas o del fumo portato dal vento, gli animali e gli uccelli non potevano viverci. Vidi poi anche mio padre, lo avevano messo a sinistra tra coloro che dovevano andare nella camera a gas. Ci dicevano sempre: andate tranquilli che poi vi incontrate tutti, gli anziani saranno separati e messi insieme ai bambini, per cui andrà tutto bene. Passammo da quella porta dove c’era scritto “Arbeit macht frei” e dissi a me stessa che andava tutto bene: Se lavoriamo, saremo liberi. Ci portarono in un capannone, ci tagliarono i cappelli e io non riconobbi più mia madre. Era accanto a me e la riconoscevo solo dalla voce, senza capelli sembrava un uomo. Ebbi la fortuna di restare solo tre giorni ad Auschwitz. Vuol dire che dopo tre giorni riuscimmo a sfugire alla miseria e alla fame che tutti pativano ad Auschwitz”, ricordava Eva Berger.



    A maggio 1944, Mauriţiu Sabovici di Sighetu Marmaţiei fu portato nel ghetto di Vişeu in seguito all’occupazione hortista della Transilvania Settentrionale. Nel 1997, raccontava com’era arrivato ad Auschwitz. Da giovane fabbro qualificato lavorava in una fabbrica vicino al lager. “Un giorno nel lager cominciava così: ci si svegliava alle 5, una doccia veloce, dopo di che facevamo la fila e andavamo a mangiare: c’erano 100 grammi di pane, un te o un caffé nero con un po’ di margarina. Alle 6 dovevamo essere pronti a partire a piedi per Gleiwitz, la fabbrica era a circa 1-2 chilometri. Chi capitava ai lati, veniva picchiato, quelli in mezzo, no. E ognuno di noi cercava di stare in mezzo. Nella fabbrica ci picchiavano i civili. Le SS circondavano la fabbrica per impedirci di scappare e dentro c’erano i tedeschi comunisti che ci tenevano d’occhio, così tutti lavoravamo. C’erano anche ebrei polacchi che ci trattavano male, come i tedeschi. Non li interessava che eravamo pure noi ebrei come loro, ce l’avevano con noi perché eravamo arrivati solo nel ’44 non prima, nel ’39. Ci rimproveravano di essere venuti troppo tardi, quando il fronte stava per crollare. Anzicché aiutarci, ci facevano la vita difficile. E tutti lavoravamo, per non essere picchiati”, ricordava Mauriţiu Sabovici.



    L’elettricista Otto Şarudi di Baia Mare raccontava nel 1997 fatti simili a quelli vissuti da altri superstiti. A giugno 1944, gli ebrei di Baia Mare furono ammassati nel ghetto per essere imbarcati in treni-merci con destinazione Auschwitz. “Da Auschwitz ci portarono alla fermata di Birkenau, dove c’era il lager di sterminio. A Birkenau stavamo in un lager di zingari e anche i comandanti erano zingari. C’era una porta piccola e ci spronavano con i bastoni a uscire in fretta. Immaginarsi 1000 persone in una stalla uscire in fretta. Vi restammo circa una settimana e nel frattempo arrivarono i tedeschi. Le SS chiesero chi aveva un mestiere, chi era muratore, falegname, meccanico elettricista. E ci presentammo. Ci assegnarono dei numeri. Il mio era 13034. Da lì ci portarono a 6 chilometri, nel lager Auschwitz. Ci divisero per mestieri. Di elettricisti ce n’erano 16 e ci portarono nell’officina per le prove. Sui 16 rimanemmo solo due. A me assegnarono il compito di controllare le recinzioni con filo spinato elettrificato”, raccontava Otto Şarudi. (traduzione di Gabriela Petre)

  • Lettere dal fronte della Grande Guerra

    Lettere dal fronte della Grande Guerra

    La prima guerra mondiale o la “Grande Guerra” ha determinato una profonda trasformazione dell’umanità. Il conflitto ha significato anche il maggiore dispiegamento di forze umane e materiali, concludendosi, come al solito, con vincitori e vinti.



    I traumi sono stati però uguali da ambo le parti e la corrispondenza è una fonte molto importante per conoscere i sentimenti e le situazioni di coloro che erano partiti sul fronte. Il Museo Militare Nazionale di Bucarest vanta nella sua collezione circa 120 lettere e cartoline appartenute ai militari romeni della prima guerra mondiale.



    Lo storico Carla Duţă ci ha spiegato quello che hanno sentito, patito e sperato coloro che cent’anni fa’ sono morti per i valori in cui credevano. Le abbiamo chiesto a chi erano indirizzate le lettere dei militari romeni sul fronte.



    “Il più delle volte, i soldati romeni scrivevano dal fronte alle famiglie, alle mogli, alle madri, ai figli. Un esempio è l’album di lettere inviate alla moglie Elena dal colonello Alexandru Stoenescu del regimento 10 fanteria. Si tratta di 12 cartoline militari, che cominciano tutte per “cara Lunca”, e finiscono con un bacio a voi tutti e tutto il mio amore, Alexandru”. Le 12 lettere risalgono al 1916 quando il colonello ha partecipato alle lotte nel sud della Dobrugea e in cui è stato leggermente ferito”, spiega Carla Duţă, facendo riferimento anche ai valori che animavano coloro che subivano dure privazioni sul fronte.



    “I sentimenti, le aspirazioni dei militari romeni sul fronte, sono, come risulta dalle lettere e dalle cartoline inviate alle famiglie, sia di partecipazione all’ideale romeno, che di preoccupazione per le persone care rimaste a casa, spesso senza alcun sostegno e in situazioni precarie. Ecco un brano della lettera di Pascal Rădulescu sulla campagna di Flămânda del 1916. ”Non dimenticherò mai quella scena quando, metà nell’acqua, con la mitragliatrice rotta, con in braccio un sergente amato e devoto, che era morto con una palottola nel cervello, ordinai al trombettista di suonare l’attacco. Per partire poi confuso all’attacco con le mani vuote.” Dalle stesse lettere risultano anche i sentimenti di orgoglio, di ottimismo e di fede che animavano i romeni in quei momenti. Cito da un’altra lettera: I tedeschi e i bulgari, spaventati dalle baionette, facevano di tutto per scappare. Ma guai a chi finiva vicino al fucile di un romeno”, aggiunge Carla Duţă.



    Dalla corrispondenza studiata, la nostra interlocutrice ha ricostituito alcune scene di guerra. In alcune lettere troviamo descrizioni impressionanti di scene di guerra. Soprattutto nelle lettere, perché lo spazio ridotto di una cartolina non permetteva contenuti lunghi. Tuttavia, nelle 12 cartoline menzionate all’inizio, inviate dal colonello Alexandru Stoenescu, sono riassunte alcune scene. Ecco un brano: “Il 6 settembre 1916, il regimento entrò in lotta, una lotta dura come non c’era mai stata per noi. Il regimento fu dimezzato. Ma Dio mi ha protetto. 20 ufficiali rimasero feriti, il campo era pieno di morti bulgari, i nostri attacchi decisi li avevano scoraggiato e fatto indietreggiare. Occupammo le loro posizioni dove era pieno di cadaveri bulgari.” Le scene di guerra sono più dettagliate e sono ancora più complete e impressionanti. Ecco come descrive un simile momento un soldato che si trovava nelle trincee in Moldavia nel 1917. “I tedeschi stanno male, disertano spesso per venire da noi. Dicono di non avere da mangiare. Non appena alzano la testa dalle trincee, i nostri fanteristi li si buttano addosso con le armi. Di obici ne passarono tre poco fa. Così è la guerra”, spiega ancora Carla Duţă.



    Come vedevano i militari romeni la loro presenza sul fronte? Carla Duţă ci ha letto un brano della lettera di un padre a suo figlio, il soldato volontario Vasile Florescu, inviata da Galaţi nel 1917.



    “Caro mio, oggi il signor Niculescu mi ha portato la tua lettera. Vai avanti con la fiducia che vincerai. Non dimenticare chi sono stati i tuoi antenati e onora il tuo nome di romeno. Non ti preoccupare per la tua vita che ora appartiene solo al re e al tuo Paese. Il solo pensiero che siete voi a costruire la Grande Romania ti deve animare e deve allontanare l’ultima goccia di dubbio. Perché morire per la patria è una morte da eroe. Dimostra di comporti come ci scrivi e il mio cuore di genitore di benedirà. Tua madre e i tuoi fratelli si augurano di vederti tornare vittorioso e non dimenticano mai di pregare per te e per il nostro caro Paese. Saluta i tuoi fratelli d’armi da parte mia e che Dio vi protegga! Caro Vasilică, non dimenticare che nella tua famiglia non ci sono mai stati codardi e che lo slogan di noi tutti è sempre stata l’onestà.”



    E’ ovvio che tutte le grandi vittorie vengono costruite con sforzi e con il sangue e la corrispondenza dei militari romeni della prima guerra mondiale conferma pienamente questa verità. (traduzione di Gabriela Petre)

  • Rivoluzione anticomunista: il caso Otopeni

    Rivoluzione anticomunista: il caso Otopeni

    La Rivoluzione romena del dicembre 1989 fu il più importante avvenimento che segnò la storia della Romania nella seconda metà del 20esimo secolo. Ma i momenti della riconquista della libertà si intrecciarono con alcuni molto tragici. Uno di questi fu il massacro di Otopeni, la mattina del 23 dicembre. Dopo un terribile malinteso, l’unità di difesa dell’aeroporto aprì il fuoco contro un convoglio formato da tre camion ammazzando 50 militari che venivano a rafforzare la sorveglianza dell’obiettivo. Considerati terroristi, i militari pagarono con il prezzo della propria vita lo scarso addestramento delle persone incaricate della gestione dell’unità, le carenze nelle comunicazioni, gli ordini contraddittori, l’eccitazione della gente e l’impatto delle voci che giravano. Assieme allo storico Şerban Pavelescu abbiamo ricostituito 25 anni dopo quella giornata nera della rivoluzione romena.



    L’incidente del 23 dicembre 1989 è uno degli avvenimenti che dovrebbero essere inseriti nei manuali di addestramento dei militari. Nell’inchiesta e nel processo durato 18 anni, le testimonianze dei sopravvissuti dimostrano che c’è stata una serie di fattori che hanno determinato gli avvenimenti svoltisi la notte fra il 22 e il 23 e la mattina del 23 dicembre. Più esattamente, nell’unità di difesa dell’aeroporto Otopeni c’erano più subunità appartenenti al Ministero della Difesa Nazionale, ai doganieri, alla Direzione Aviazione Militare e delle guardie patriottiche. Va notato che alcuni elementi del centro non avevano l’addestramento militare necessario, altri erano in fase di formazione. Quelli che erano più valorosi e addestrati erano disarmati e ritenuti sospetti, si trattava dell’Unità Speciale di Lotta Antiterroristica (USLA) e di quelle del Ministero degli Interni, incaricate a garantire la guardia e la sicurezza dell’aeroporto”, spiega Pavelescu.



    Şerban Pavelescu ha descritto le premesse che hanno determinato la tragedia. Erano dispiegati tiratori sia al primo piano del vecchia stazione, che a livello del suolo, sull’edificio della Direzione dell’Aviazione Civile, da una parte e dall’altra delle vie frontali di accesso alla air station. Erano dispiegati marines, sia con armamento leggero che con armamento pesante da fanteria, soprattutto un trasportore anfibio corazzato e mitragliatrici pesanti da 14,5 mm. L’unità era costituita da più di 48 ore, la gente era stanca, erano stati in allerta continua, avevano avuto più incidenti senza poter dire se erano stati reali o meno. Possiamo però dire che erano ritenuti reali dalle persone dell’unità. La gente era agitata e, come rilevato anche dall’ulteriore inchiesta della procura militare, guidata male”, racconta Şerban Pavelescu.



    All’alba del 23 dicembre, i rinforzi, ovvero il distaccamento Câmpina” preveniente dalla scuola di sottufficiali del Ministero dell’Interno di Câmpina, partirono per Otopeni.



    Il distaccamento di Câmpina aveva ricevuto dal comandante delle truppe di sicurezza, il generale Grigore Ghiţă, l’ordine di andare alla air station. Quelli dell’unità di difesa erano stati già messi all’erta tramite chiamate anonime, tramite le televisione romena e persino attraverso altre vie abituali di comando a disposizione che sarebbero stati attaccati e aspettavano rinforzi da un’altra parte. Fatto sta che sebbene il distaccamento Câmpina avesse dovuto entrare dalla via di servizio che portava al terminal trasporto merci dell’aeroporto, parallelo a quello che portava alla vecchia air station, esso entrò perpendicolarmente al centro di difesa”, racconta ancora Şerban Pavelescu.



    La terribile fine dei militari di Câmpina fu l’effetto logico delle circostanze descritte dallo storico Şerban Pavelescu. Intorno alle 7 del mattino, a dicembre, era ancora buio. C’era una luce spettrale, la gente era stanca, c’erano stati tanti allarmi lungo la notte. Per eccesso di zelo, il capitano Zorilă, che voleva fermare il convoglio, aprì il fuoco di avvertimento. Solo che in quel momento, aperto il fuoco, le persone che stavano sul tetto della Direzione Aviazione Civile considerarono di essere attaccate. Non avevano una comunicazione reale con i colleghi della air station e con quelli della prima linea. Perciò spararono pure loro. Seguì un cannonneggiamento generale interrotto con grande difficoltà. I militari sopravvissuti del distaccamento di Câmpina gridarono di arrendersi, scesero disarmati e con le mani in alto. Si sentì uno sparo, nessuno può dire se sia stato reale o immaginario. Sembrò reale a quelli del centro. Fu l’effetto che abbiamo visto dappertutto durante i giorni delle rivoluzione, cioè che bastava uno sparo per essere seguito da una sparatoria generale, senza alcuna meta precisa. Seguì la seconda tappa del massacro in cui i militari del distaccamento di Câmpina furono nuovamenti sottoposti ad una seconda e più intensa sparatoria, durata circa 10 minuti”, ha spiegato Şerban Pavelescu.



    I militari del distaccamento di Câmpina hanno pagato una parte del tributo di sangue della rivoluzione romena.


    (traduzione di Gabriela Petre)

  • 1 dicembre 1918, Festa nazionale della Romania

    1 dicembre 1918, Festa nazionale della Romania

    Il 1 dicembre 1918, la Transilvania si univa con il Regno di Romania, formando la Grande Romania. All’Assemblea Nazionale svoltasi ad Alba Iulia, migliaia di romeni approvarono l’atto di unificazione. Gli archivi del Centro di Storia Orale di Radio Romania Romena conservano una preziosissima registrazione, che attesta lo slancio di quell’anno considerato l’anno di un nuovo inizio, dopo la Grande Guerra.



    Si tratta della voce del vescovo greco-cattolico Iuliu Hossu, che allora lesse alla folla le risoluzione dell’Assemblea. Martire e superstite dei carceri comunisti, Iuliu Hossu era nato nel 1885 ed è morto nel 1970. Il valore della registrazione consiste in primo luogo nel fatto che conserva la voce di Iuliu Hossu, ma anche nel fatto che riassume le aspirazioni politiche, economiche, sociali e civiche dei romeni dell’epoca. La registrazione è stata realizzata clandestinamente nel 1969, un anno prima della morte del vescovo Hossu, per il quale la dimensione religiosa era il maggiore contributo di quell’atto di fondamentale importanza.



    “Fratelli! E’ giunta l’ora e il magnanimo Dio pronuncia tramite il suo popolo fedele la sua giustizia. Oggi, grazie alla sua decisione viene realizzata la Grande Romania, unica e inseparabile, e tutti i romeni felici affermano: ci uniamo con il Paese-madre, la Romania! Ho detto queste parole io, servo di Dio, il vescovo Iuliu Hossu di Cluj-Gherla, a bassa voce, ma con amore per il tuo amore e per la tua misericordia, o Signore, che ti prego di riversare sul nostro popolo e sul nostro Paese proteggendoci dai pericoli. Che il Paese sia costruito sulla giustizia e sulla verità”, diceva il vescovo.

    Ma le parole di Iuliu Hossu ebbero anche una dimensione realistica, rapportandosi ai desideri di tutti coloro che avevano creduto nella creazione della Grande Romania.



    “L’Assemblea nazionale di tutti i romeni della Transilvania, del Banato e del Paese ungherese riunitisi tramite i loro rappresentanti ad Alba Iulia il 1 dicembre 1918, dichiara l’unificazione dei romeni, e di tutti i territori da loro abitati, con la Romania. L’Assemblea nazionale proclama soprattutto il diritto inalienabile della nazione romena all’intero Banato compreso tra i fiumi Mureş, Tibisco e Danubio. L’Assemblea nazionale riserva ai territori summenzionati l’autonomia provvisoria fino alla riunione dell’Assemblea Nazionale Costituente, in base al voto universale. L’Assemblea Nazionale proclama come principi fondamentali nella formazione del nuovo stato romeno: la piena libertà nazionale per tutti i popoli coabitanti, ciascun popolo dovendo istruirsi, amministrarsi e fare giustizia nella propria lingua, con i propri membri. Ciascuna nazionalità riceverà il diritto di essere rappresentata nelle istituzioni e nel governo del Paese proporzionalmente al numero degli individui che la formano. Giustizia e piena libertà autonoma per tutte le confessioni dello stato. La perfetta realizzazione di un regime pulito democratico in tutti i settori della vita pubblica, il voto diretto, uguale, segreto, per comuni, proporzionale per le persone di ambo i sessi che hanno raggiunto i 21 anni, nella rappresentazione per comuni, province o parlamento. La piena libertà della stampa, la libertà di associarsi e riunirsi, la libera propaganda di tutti i pensieri. La riforma agraria radicale sarà fatta con la registrazione di tutte le proprietà, soprattutto di quelle grandi. Al contadino sarà data la possibilità di avere almeno una proprietà che possa lavorare lui stesso e la sua famiglia. Agli operai dell’industria vengono garantiti gli stessi diritti e vantaggi legiferati negli stati più avanzati dell’Occidente”, sottolineava ancora il vescovo.



    Iuliu Hossu ha espresso con grande chiarezza anche la dimensione internazionale dell’evento.



    “L’Assemblea nazionale esprime il suo desiderio che il Congresso di pace realizzi la comunione delle nazioni libere di modo che la giustizia e la libertà siano garantite a tutte le nazioni, grandi o piccole, e che sia eliminata in futuro la guerra quale mezzo per regolare i rapporti internazionali. I romeni presenti a questa assemblea nazionale salutano i loro fratelli della Bucovina, liberati dal giogo della monarchia austro-ungarica e uniti con il Paese-Madre, la Romania. L’Assemblea nazionale saluta con amore ed entusiasmo la liberazione delle nazioni finora subordinate alla monarchia austro-ungarica, ovvero le nazioni cecoslovacca, austro-tedesca, jugoslava, polacca e rutena e decide che questo suo saluto sia portato a conoscenza di tutte quelle nazioni. L’Assemblea nazionale si piega umilmente dinanzi alla memoria dei bravi romeni che hanno versato in questa guerra il loro sangue purché sia realizzato il nostro ideale, morendo per la libertà e l’unità della nazione romena. L’Assemblea nazionale esprime la sua ammirazione per le potenze alleate che, tramite la loro lotta acerba contro un nemico preparato da decenni per la guerra, hanno liberato la civiltà dalla barbarie”, aggiungeva il vescovo Iuliu Hossu.



    A 96 anni dall’atto del 1 dicembre 1918, le parole del martire Iuliu Hossu sono un testamento per una cosa ben fatta. E dimostrano che l’uomo felice è colui che vive nella libertà, non nella tirannide. (traduzione di Gabriela Petre)

  • Programmi sportivi a Radio Romania

    Programmi sportivi a Radio Romania

    Le gare sportive sono sempre state attraenti per la maggior parte della gente e i media vi hanno concesso ampio spazio per attirare il pubblico. Anche nei tempi di crisi della stampa, il giornalismo sportivo è riuscito a sopravvivere guadagnando dalle vendite. Sin dagli inizi, le gare sportive trovarono perciò spazio nei programmi radiofonici, dai notiziari alle trasmissioni dal vivo.



    La prima trasmissione sportiva a Radio Romania venne realizzata l’11 giugno 1933. Sullo stadio dell’Accademia Nazionale di Educazione Fisica di Bucarest, di fronte a 25.000 spettatori, la Romania batteva la Jugoslavia per 5-0 in una partita di calcio della Coppa Balcanica. Fu allora che cominciò la storia delle trasmissioni sportive a Radio Romania.



    Uno dei più longevi giornalisti sportivi presso l’emittente radio pubblica romena è stato Ion Ghiţulescu. Assunto nel 1951, fu per 55 anni una delle voci più note nei commenti sportivi. Intervistato da Radio Romania Actualităţi, Ion Ghiţulescu si è riferito alla sua inconfondibile voce come a una cosa innata, ma alla quale ha anche lavorato parecchio.



    “Sì, è speciale, ma oserei dire che me la sono formata alla Radio. Cioè dopo aver letto una frase la ascoltavo subito per vedere se era interpretata correttamente o meno. Fu così che modellai la mia voce. Una prova del fatto che la mia voce era apprezzata anche da altri è che fui incaricato ad occuparmi del primo programma sportivo complesso, intitolato “Con il microfono tra gli atleti”, apparso nel 1951. Aveva solo 15 minuti e includeva interviste e dichiarazioni. Non era proprio un reportage, si trattava piuttosto di istantanei sportivi”, ricorda Ion Ghiţulescu.



    In una registrazione del 1960, dalle Olimpiadi di Roma, Ion Ghiţulescu raccontava il momento in cui l’atleta Iolanda Balaş diventava campionessa olimpica. “Nuovamente silenzio sullo Stadio Olimpico. Iolanda Balaş si prepara per il terzo salto a 1,85 metri. Si avvicina all’asticella e salta! … Assisteremo alla festività di premiazione nella prova femminile di salto in alto. Ora sul podio sale la recordman mondiale, maestra emerita dello sport, Iolanda Balaş. Ci congratuliamo con te, Iolanda, per le tue performance e il tuo impegno!”



    Ion Ghiţulescu ricorda le Olimpiadi di Roma come l’età d’oro dello spirito romantico nello sport. “Fu il merito dei tecnici italiani che riuscirono al alzare il sottofondo sonoro di modo che si sentissero sia la mia voce che quanto succedeva sullo stadio. Gli atleti ci conoscevano, e anche noi li conoscevamo molto bene. Andavo agli allenamenti, ai concorsi. A volte accompagnavo il gruppo olimpico e passavo tempo con gli atleti. Alle olimpiadi di Roma, il Centro Stampa era a un chilometro dal Villaggio Olimpico, in cui si entrava facilmente. Ho chiamato quella l’ultima olimpiade romantica. Passavo tutto il tempo con i nostri atleti, ho fatto un’intervista con Iolanda Balaş, col suo allenatore Ioan Söter e con altri atleti”, aggiunge il giornalista.



    Ma fu il calcio a rendere famoso Ion Ghiţulescu. “Sport e musica” fu il primo programma live che trasmetteva simultaneamente partite di calcio, realizzato da Ion Ghiţulescu sin dall’inizio degli anni 1960. “All’epoca, quando fui assunto, il vicepresidente della Radiotelevisione Romena era George Ionescu, il primo capo della Sezione sport della radio. Nei miei viaggi all’estero, notai che in alcuni Paesi si realizzavano trasmissioni da vari stadi. Per la prima volta feci una prova, cioè una trasmissione al vuoto. Fu realizzato questo multiplex simulato, ma solo da 4 stadi, era quanto permettevano allora le possibilità tecniche negli studi di trasmissione. Poi i tecnici della radio riuscirono ad allestire uno studio in cui si potevano fare trasmissioni da 10 o 12 stadi. Così nacque ciò che noi chiamammo “Sport e musica”. Era un programma in diretta con trasmissioni da tutti gli stadi che ospitavano partite. Aveva anche un prologo e un epilogo. L’epilogo era firmato da Conţi Bărbulescu, un umorista della Radio, che in base ai risultati delle partite e con qualche ritornello riusciva a concludere il programma con un momento divertente”, ricorda ancora Ion Ghiţulescu.



    Grazie alle trasmissioni in diretta, Radio Romania riuscì a raccogliere intorno alla radio tutti gli appassionati di sport desiderosi di conoscere il risultato della squadra favorita o degli atleti partecipanti a gare internazionali. Nonostante la concorrenza della televisione e dell’internet, programmi come “Il calcio minuto dopo minuto” godono ancora di un indice di ascolto alto. (traduzione di Gabriela Petre)

  • La storia di Radio Romania

    La storia di Radio Romania

    Il 1 novembre del 1928 andava in onda il primo programma della Società di Diffusione Radiotelefonica, come veniva chiamata allepoca Radio Romania. Mezzo di informazione di massa e di culturalizzazione, la Radio mantenne il suo posto nelle opzioni pubbliche anche in seguito alla diversificazione del mercato media, con la tv e linternet.



    L’autore della prima monografia della Società Romena di Radiodiffusione è il compianto storico Eugen Denize. Nei suoi 4 tomi, la Storia della Radiodiffusione Romena tratta degli inizi e dei grandi momenti della storia contemporanea della Romania alla quale la Radio fu parte attiva: la vita politica agitata degli anni 1930, la seconda guerra mondiale, il periodo troppo lungo di 45 anni del regime comunista e la rinascita della democrazia dopo il 1989. Nel 2004, Eugen Denize raccontava come è iniziato il lavoro di organizzazione degli archivi ai quali lavorò dal 1996 al 2001 per scrivere la prima storia completa della Radio in Romania.



    “La ricchezza dei materiali esistenti negli archivi della Società mi determinò a scrivere una monografia in più volumi, per riflettere quanto meglio la storia della Radiodiffusione Romena, fenomeno importante nella nostra società contemporanea. Sono risultati alla fine quattro tomi, che iniziano con i primi tentativi di radiofonia in Romania, nei primi anni del Novecento e si fermano alla rivoluzione del 1989. Ho considerato il 1989 un punto di riferimento perché, da storico, ho pensato che se fossi andato al di là del 1989 sarei entrato su un terreno che appartiene allo studio pluridisciplinare, assieme alla politologia o alla sociologia, e avrei rischiato di non realizzare più una storia vera e propria della Radiodiffusione, ma di presentare piuttosto sequenze della sua vita attuale. In breve, il primo volume include oltre agli anni di pionierato, i primi dieci anni della Società, dal 1928 al 1938. Mi sono fermato al 1938 perché sono gli anni di funzionamento della Società in un sistema democratico. Dal 1939, in Romania furono introdotti successivamente regimi dittatoriali, totalitari, e dunque la Radio svolse l’attività in condizioni diverse. Fino al 1989 dovette far fronte a pressioni politiche speciali, e posso dire che mantenne l’equilibrio, rispettando le sue funzioni basilari. Il secondo volume include il periodo che ho definito delle dittature di destra, si tratta della dittatura reale di re Carlo II, della dittatura legionare e di quella del maresciallo Antonescu. Il volume si conclude il 23 agosto 1944, data alla quale la Romania si affiancò agli alleati. Il terzo volume include il periodo della comunistizzazione della Romania e l’epoca di Gheorghe Gheorghiu-Dej fino alla sua morte nel 1965, mentre l’ultimo volume si occupa del periodo di Nicolae Ceauşescu, dal 1965 al 1989, con le aperture avvenute dopo il 1964 e le chiusure degli anni 1971-1974. Sono 4 tomi basati esclusivamente sui materiali documentari conservati negli archivi scritti e sonori della Radio. Da questo punto di vista, si tratta di novità assolute come materiale di studio storiografico”, ricordava lo storico.



    Eugen Denize ha fatto riferimento anche alle funzioni della Radio sin dai suoi inizi. “Sin dall’inizio, la radiofonia, prima ancora della fondazione della Società Romena di Radiodiffusione, si pose il problema delle sue funzioni, chiaramente definite dai pionieri della radiofonia, e che rimasero sempre quasi immutati. Si tratta di una funzione culturale assai importante. La Radio trasmetteva la cultura, ma una cultura per tutti, contribuendo alla culturalizzazione delle masse. Poi c’era una cultura nazionale. La Radio svolse permanentemente un ruolo molto importante per promuovere e difendere i valori nazionali. Aveva anche una funzione educativa, nel senso elementare della parola: molti programmi, soprattutto al inizio, includevano consigli medici, informazioni su come coltivare una certa pianta, come allevare animali o come insegnare ai bambini certe cose. Molti programmi erano dedicati a settori della popolazione, a bambini, allievi e studenti, all’esercito o ai contadini. La radio aveva una missione educativa che ha sempre svolto alla meglio. Non posso dimenticare i famosi programmi dell’“Università Radio”, che vedevano partecipare i massimi esponenti della cultura romena: lo storico Nicolae Iorga, il sociologo Mihai Ralea, il critico letterario Tudor Vianu, gli scritttori Mihail Sadoveanu, Tudor Arghezi e tanti altri. Praticamente, tutti gli intellettuali rappresentativi della Romania hanno tenuto conferenze ai microfini della radio pubblica romena. Oltre a queste funzioni, la Radio aveva anche la missione di far divertire la gente. Fino alla comparsa della televisione, la Radio era il principale mezzo di divertimento a disposizione della gente”, aggiungeva Eugen Denize.



    Da 75 anni esiste anche Radio Romania Internazionale. I programmi in lingue straniere debuttarono nel 1939, l’anno dello scoppio della seconda guerra mondiale. I primi programmi in lingue straniere, i notiziari in inglese e francese erano cominciati però nel 1932, essendo trasmessi prima della chiusura della trasmissione un quarto d’ora prima di mezzanotte. Con il passare del tempo vennero introdotti anche i giornali radio in italiano e tedesco, alla stessa ora, in alternanza a quelli in inglese e francese. (traduzione di Gabriela Petre)