Category: Pagine di storia

  • Relazioni diplomatiche Romania-Giappone

    Relazioni diplomatiche Romania-Giappone

    All’inizio del XX secolo, più precisamente nel 1902, l’ambasciatore giapponese a Vienna iniziò i contatti con la parte romena ed espresse il desiderio di stabilire relazioni bilaterali tra i due paesi. In quell’anno venne firmato un trattato commerciale che avrebbe rappresentato la base giuridica per lo sviluppo del rapporto. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Romania e Giappone si trovavano sullo stesso lato del fronte, nell’alleanza dell’Intesa. Nell’agosto 1917, la Romania aprì la sua rappresentanza diplomatica a Tokyo, il Giappone fece lo stesso cinque anni dopo, nel 1922. Tra il 1922 e il 1927, la legazione romena a Tokyo fu chiusa a causa di tagli al budget, ma dopo il 1927, quando la legazione romena riaprì, i rapporti continuarono a funzionare ininterrottamente fino al settembre 1944. Nella Seconda Guerra Mondiale, Romania e Giappone furono nuovamente alleati, questa volta all’interno dell’Asse Roma-Berlino-Tokyo.

     

    Dopo la guerra, le relazioni ripresero nel 1959 e Ion Datcu fu nominato ambasciatore della Romania in Giappone nel 1966. Nel 1994, intervistato dal Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena, Datcu si è ricordato che quando arrivò in Giappone per assumere l’incarico di ambasciatore non trovò molti funzionari giapponesi che sapessero molto del Paese da cui proveniva. “Riguardo alla Romania, mi ha stupito la scarsa conoscenza che c’era negli ambienti parlamentari, anche tra i membri del governo. Sapevano molto poco e ricordo che all’epoca, quando discutevamo di certe questioni, anche europee, non riuscivano a capire che avevamo posizioni diverse dall’Unione Sovietica. Vedevano questa parte dell’Europa come un blocco monolitico. In realtà, questa non era una cosa solo giapponese, ho riscontrato la stessa cosa negli Stati Uniti. Ma gli uomini d’affari, d’altra parte, sapevano di più, avevano interessi. Ho visitato molte aziende, noi stavamo già comprando navi, costruendo navi, abbiamo battezzato alcune mineraliere, hanno comprato navi da pesca, anche le grandi aziende di elettronica stavano sondando il mercato. Ho notato questa interessante differenza tra politici e uomini d’affari. C’era un grande divario”.

     

    Ma Ion Datcu avrebbe avuto una grande sorpresa all’incontro con il sovrano giapponese. “L’imperatore Hirohito era un uomo straordinariamente simpatico, al di là della sua aura di misticismo, era un uomo estremamente cordiale e disponibile. E ho avuto l’incredibile sorpresa che l’imperatore sapesse della Romania più dei membri del governo di allora. Cominciò a parlarmi del Delta del Danubio ed era un grande specialista di fauna, soprattutto di pesci. E me l’ha fatto vedere, aveva dei libri, e allora gli ho promesso e quando sono tornato dalle ferie gli ho portato dei libri con le mappe del Delta del Danubio. E lui mi chiedeva sempre. E mi è venuta l’idea e gli ho detto , questa zona che lui considerava di grande interesse per i suoi studi. Probabilmente aveva studiato biologia e stava studiando vari animali acquatici.”

     

    Le relazioni romeno-giapponesi erano dominate dalle questioni economiche. Ion Datcu raccontò che i giapponesi avevano addirittura inventato un nuovo tipo di diplomazia, quella economica. “Il mio mandato da Bucarest è stato, infatti, quasi interamente economico. All’epoca abbiamo avuto l’idea di modernizzare alcune delle nostre capacità industriali, compresa la fabbrica di alluminio. Ricordo che l’abbiamo fatto con un’azienda, Marubeni, abbiamo fatto una flotta, e cercavamo anche di esportare, e siamo riusciti anche ad esportare billette in un paese che produceva acciaio di certi tipi e dimensioni, loro producevano cuscinetti e tanti altri prodotti, ricordo anche una pasta all’uovo. Non rivestiva un grande interesse politico dal punto di vista del Governo romeno. A quel tempo, il Giappone rappresentava un interesse economico e dal punto di vista giapponese era il periodo di massimo splendore della cosiddetta diplomazia economica. Sono stati loro a inaugurare la diplomazia economica. Io, che avevo studiato molto questi aspetti, avevo l’impressione che la diplomazia economica non si potesse fare, ma solo politica, militare e così via. La verità è che i giapponesi hanno effettivamente sviluppato e perfezionato la diplomazia economica. Cosa significava? Le loro priorità di politica estera e diplomatica erano ben stabilite e riguardavano, oltre agli Stati Uniti d’America, anche l’area circostante e altre, in base agli interessi economici”.

     

    La Romania e il Giappone, due paesi situati a grande distanza l’uno dall’altro, hanno già una tradizione secolare di contatti bilaterali. È una tradizione che li tiene vicini attraverso il passato, ma anche attraverso i valori del presente.

  • Gli inizi della BBC in romeno

    Gli inizi della BBC in romeno

    Nel mondo della radiodiffusione, la BBC non ha bisogno di presentazioni. Nella sua storia centenaria spicca il servizio in lingua romena. Gli inizi della BBC in romeno sono legati allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nel settembre 1939. Ma anche l’importantissima influenza della Gran Bretagna nel mondo giustificava l’esistenza di un tale servizio nelle condizioni in cui, dopo il 1945, al termine della conflagrazione, la scena geopolitica mondiale divenne ancora più complicata di quanto non fosse stata.

    Nel 1997, il Centro di storia orale della radiodiffusione romena ha intervistato Liviu Cristea, uno dei primi giornalisti del servizio romeno della BBC, conduttore della BBC in romeno tra il 1939 e il 1971. Cristea si è ricordato gli inizi del servizio in romeno e le prove fatte. “In questa stazione radiofonica c’è stato una sorta di periodo di prova, con persone raccomandate dalla legazione romena. Alcune stazioni di ascolto degli inglesi cercavano, in questo modo, di verificare se la trasmissione fosse ricevuta in Romania e, allo stesso tempo, se le voci apparse davanti al microfono fossero adeguate o meno. Ma la prima equipe che ha preso in mano il lavoro in redazione e al microfono era composta da quattro persone: un funzionario del Ministero delle Finanze, Niculae Gheorghiu, che era a Londra per uno scambio di esperienze, il professore di storia Ion Podrea, inviato dall’Istituto Iorga per ricerche, un giurista che studiava diritto comparato, quale ero io, e un giovane studente del Politecnico di Londra Jose Campus.”

    All’inizio la trasmissione in romeno era un notiziario di 15 minuti, che informava gli ascoltatori in Romania con le notizie dei media internazionali e britannici. La guerra era iniziata e i polacchi, autorità e semplici cittadini, si ritiravano verso la Romania e cercavano di raggiungere l’Occidente. La trasmissione era mandata in onda dalla Broadcasting House di Portland Place, nel centro di Londra, da lì si è sentito per la prima volta in romeno l’annuncio “Qui Radio Londra”. Quando le bombe tedesche danneggiarono l’edificio, il servizio si spostò in un albergo e poi nell’edificio che ospitava una pista di pattinaggio. Liviu Cristea ha raccontato che lui ed i suoi colleghi si sono adattati molto rapidamente ai loro compiti e ci ha raccontato dell’organizzazione del lavoro editoriale. “In breve tempo, le voci dei conduttori sono diventate una fonte di informazioni definita e identificabile, portando qualche speranza nei giorni più difficili. Allo stesso microfono hanno espresso le loro opinioni scienziati, statisti, editorialisti, insegnanti, sindacalisti, scrittori, militari, combattenti dei fronti clandestini, profughi e prigionieri fuggiti dai campi di lavoro o prigionieri di guerra. Le notizie successive allo scoppio della guerra venivano controllate, non censurate, dalle autorità diplomatiche e militari. Il materiale ricevuto dai redattori della sezione romena era già pronto in una redazione centrale. Esso doveva essere tradotto e commentato dagli editori romeni per renderlo il più comprensibile possibile all’ascoltatore medio. Sono stati selezionati i commenti della stampa per ogni area verso cui erano dirette le trasmissioni, le conferenze tenute dai giornalisti più importanti hanno cercato di collocare l’evento o la notizia del giorno nel contesto della situazione come si presentava in quel momento.”

    Lo stato di guerra richiedeva che le trasmissioni della BBC in romeno, come in altre lingue, fossero attentamente monitorate. Liviu Cristea. “Fin dall’inizio avevamo a disposizione il cosiddetto servizio di monitoraggio, cioè un servizio che ascoltava le trasmissioni del paese e di altre parti. Coloro che supervisionavano le vere e proprie trasmissioni davanti al microfono avevano il compito di vigilare che davanti al microfono non si leggesse nulla di diverso da quanto scritto nei notiziari, in una parola non improvvisassimo, non ci discostassimo dal testo che era stato approvato dal capo del dipartimento prima di andare nello studio. E questi signori che ci supervisionavano erano George Campbell, il dottor Morrison e un signore che una volta era stato un alto funzionario di una compagnia petrolifera in Romania e che parlava bene il romeno.”

    Liviu Cristea si è ricordato anche del suo grande incontro, nella sede della BBC, con un personaggio che avrebbe fatto la storia nel turbolento XX secolo.”Quando sono passato davanti al portinaio, c’era un ufficiale che era un po’ imbarazzato dal fatto che non riusciva ad andare d’accordo con il portinaio. Dato che era un ufficiale francese, in divisa, mi sono subito offerto di aiutarlo e gli ho chiesto di spiegarmi di cosa si trattava. Mi rispose in modo molto secco e un po’ contrariato: “Sono il colonnello de Gaulle, vengo dal fronte e ho un incontro. Sono già in ritardo di 5 minuti e non capisco perché sono trattenuto qui e nessuno mi aspettava alla reception?” Mi sono commosso molto quando ho scoperto poi che questo colonnello con la stella era il generale de Gaulle, che, come sappiamo, guidò la Resistenza francese e poi fu colui che diede alla Francia il primo assetto politico del dopoguerra.”

    La BBC in romeno compie nel 2025 86 anni. Ha continuato ad essere uno dei baluardi di difesa dei diritti umani fino al 1989 e continua a esserlo ancora oggi.

  • Bucarest incompiuta

    Bucarest incompiuta

    Nello spazio romeno, le città moderne cominciano a svilupparsi secondo il modello europeo dopo il 1830. A quel tempo, alcune disposizioni dei Regolamenti Organici facevano riferimento alle misure di pianificazione urbana che dovevano essere adottate per aumentare il tenore di vita degli abitanti. La città che ha dato il tono ai cambiamenti è stata la capitale Bucarest, quella che ha sperimentato idee circolate in periodi diversi, le quali si sono riverberate nelle città della provincia. La microstoria urbana di Bucarest è in larga misura la macrostoria urbana della Romania, con visioni spesso contraddittorie di come dovrebbe essere la vita delle persone, combinando inerzia e mentalità conservatrice con ambizioni e trasformazioni innovative.

    Dagli scritti di coloro che visitarono Bucarest in diversi periodi della sua esistenza moderna, apprendiamo che era una città in fase di cambiamento dove l’Oriente incontrava l’Occidente. Era una città che guardava alle grandi metropoli europee e puntava a stare al passo con esse e con le novità dei tempi. Nell’elenco di coloro che hanno occupato l’incarico di sindaco della capitale della Romania ci sono nomi famosi: il rivoluzionario Dimitrie C. Brătianu, il giornalista e politico C. A. Rosetti, lo scrittore Barbu Ștefănescu Delavrancea, il politico Vintilă Brătianu. Spiccano però due nomi che hanno saputo gestire lo sviluppo più consistente della capitale: il giurista e politico liberale Pake Protopopescu, sindaco tra il 1888 e il 1891, e il giurista e politico Dem I. Dobrescu, sindaco tra il 1929 e il 1934. I due, sindaci durante i regni di Carlo I e Carlo II, sovrani ai cui nomi sono collegate le principali linee di sviluppo della città di Bucarest, sono riusciti a mobilitare risorse per grandi progetti urbani. Essi erano le reti stradali, idriche e fognarie e quella dei trasporti pubblici, nonché la sistematizzazione dei fiumi Dâmbovița e Colentina.

    Dopo il 1945, anche il regime comunista avviò progetti di sviluppo urbano. Ebbero luogo ampie trasformazioni e furono sviluppati progetti che possono essere considerati addirittura antiurbani. La città si espande e guadagna altezza, si sviluppa più verticalmente di prima e aumenta l’afflusso di popolazione rurale attratta dallo sviluppo dell’industria, soprattutto a partire dagli anni ’70. I due leader della Romania socialista, Gheorghe Gheorghiu-Dej, dal 1945 al 1965, e Nicolae Ceaușescu, dal 1965 al 1989, hanno lasciato il segno in modo decisivo sulla capitale della Romania.

    Nessuna città è mai finita, segue il corso della vita di chi la abita, e Bucarest non fa eccezione. Cezar Buiumaci è uno storico della città di Bucarest, museografo presso il Museo Municipale di Bucarest, si occupa di urbanistica e storia dei monumenti pubblici. A lui si deve l’ultima apparizione editoriale, “La Città Incompiuta”, sulle profonde trasformazioni della capitale romena durante gli anni del regime socialista tra il 1945 e il 1989. “ è un’opera incompiuta, incompiuta nel senso che ci sono così tanti aspetti delle componenti della città, delle trasformazioni, che un autore deve terminare la ricerca in un dato momento. Ho iniziato la ricerca perché personalmente volevo capire cosa fosse successo a questa città. C’era un miscuglio di informazioni disparate contenute in vari libri e articoli, nessuno dei quali trattava veramente e oggettivamente del periodo comunista, e la memoria delle persone che è corrotta da certe influenze, soprattutto dal passare del tempo.”

    Da agglomerato alla periferia dello spazio ottomano, capitale del principato di Valacchia, com’era intorno al 1800, a quello che è oggi, nel giro di 225 anni, a Bucarest sono successe molte cose. Ha attraversato catastrofi naturali come terremoti, incendi, epidemie, ma anche quelle provocate dall’uomo come rivoluzioni, guerre, occupazioni militari e la sistematizzazione degli anni ’80. Cezar Buiumaci voleva sapere come i romeni sono arrivati ad avere la capitale che hanno oggi e ha scritto un libro. “Che cosa è successo a questa città? Cosa significano tutti questi quartieri, questa città che circonda la città? Come mai ci sono i quartieri di Militari, Drumul Taberei, Crângași e altri, che circondano tutti la città vecchia? È così che ho cercato di scoprire cosa è successo e ho messo qui tutte le informazioni in modo che tutti possano capire perché la città è incompiuta e cosa è successo lungo il tempo a Bucarest. Lo storico Răzvan Theodorescu ha affermato che Bucarest ha avuto tre grandi fondatori: Carlo I, Carlo II e Ceaușescu. Non sono d’accordo e dico che il terzo fondatore non è Ceaușescu, ma Dej. Questa città è diventata quanto un Paese, è circondata da molte altre città, tutti questi quartieri sono come una città, la città nella città, ed è stata costruita ai tempi di Dej. Ceaușescu non è il fondatore di questa città, è colui che l’ha distrutta e destrutturata in modo che non potesse più essere rimontata. Inoltre non c’era coerenza e nessun progetto è stato portato a termine, nessun progetto di sistematizzazione, nemmeno quello di distruzione è stato portato a termine. La città è incompiuta sotto molti aspetti.”

    La Bucarest di oggi è una città dove sono avvenute trasformazioni sia nel nucleo del suo antico insediamento che nel resto della città. I nomi dei vecchi quartieri come Cotroceni, Vatra Luminoasă, Dudești, Ferentari, Bucureștii Noi fanno parte del vocabolario attuale degli abitanti di Bucarest insieme ai nomi dei quartieri degli anni del socialismo come Titan, Berceni, Drumul Taberei e a quelli successivi al 1989 come Brâncuși, il Quartiere Latino, Francese, Cosmopolis.

  • Centenario della Federazione Scacchistica Romena

    Centenario della Federazione Scacchistica Romena

    Considerato uno “sport della mente” per l’alto grado di complessità, di anticipazione della strategia dell’avversario, di velocità nel processo decisionale, di uso intensivo della memoria, il gioco degli scacchi ha attratto e attirerà molti. È visto come uno scontro militare in miniatura e usato come metafora per descrivere una situazione complessa in cui due parti duellano. Nel 19esimo secolo, i migliori giocatori d’Europa si incontravano nei caffè dove giocavano senza limiti di tempo per una partita o una mossa, ma giocavano per una posta in gioco. A Parigi c’era un famoso caffè, Café de la Regence, e a San Pietroburgo c’era Café Dominique, con sale da biliardo, per i giochi di dama e lo scacco. Il suo rivale era il caffè Reiter, situato a breve distanza, e a Mosca era famoso il caffè Pekin in Piazza del Teatro. I migliori giocatori di un famoso caffè potevano essere considerati giocatori di scacchi professionisti. A quei tempi non esistevano i club e le partite di scacchi venivano comunemente giocate nei caffè, a volte per soldi.

    All’inizio del 2025, e’ stato celebrato il Centenario della Federazione Scacchistica Romena. Ma la pratica dello sport nello spazio romeno risale a prima. Sebbene abbiano fatto parte per diversi secoli dello spazio ottomano, dove la pratica degli scacchi risale al Medioevo, nei Principati romeni gli scacchi furono portati dalla Francia intorno alla Rivoluzione del 1848. Ștefan Baciu è un giocatore di scacchi e storico di questo sport e da lui abbiamo appreso dettagli sulla pratica degli scacchi in Romania. “Gli scacchi si giocavano anche nei caffè dello spazio romeno, tra i giocatori c’erano personalità della rispettiva epoca. Un romeno nato vicino a Cernăuţi, George Marcu o Georg Marco, ha pubblicato sulla rivista specializzata Wiener Schachzeitung una partita giocata contro suo fratello, Mihai, al caffè Europa di Cernăuţi. Gli scacchi si giocavano con passione anche nei caffè di Bucarest. Manolache Costache Epureanu, presidente del Consiglio dei ministri alla fine del XIX secolo, era atteso a una riunione di governo, ma stava giocando a scacchi in un caffè. L’incidente è stato presentato in un’opera dello scrittore I.L. Caragiale. Nei caffè furono gettate anche le basi dei primi club di scacchi. Così, nel 1875, il violinista austriaco Ludovic Wiest, professore al Conservatorio di Bucarest, organizzò il primo salone di scacchi a Bucarest, nel caffè Concordia in via Smârdan, nel centro storico di Bucarest. Nel 1892 fu fondato il primo club di scacchi a Bucarest, nel caffè Kuebler. Le donne non avevano accesso ai caffe’, ma le persone più agiate avevano soluzioni. Così, l’industriale Basil Assan aveva allestito nella sua casa a Bucarest una sala degli scacchi dove poteva giocare con le sue tre figlie.”

    Tra i fondatori di questo club c’era Hercule Anton Gudju, che studiò legge a Parigi all’inizio degli anni Ottanta dell’Ottocento e che aveva vinto diversi importanti tornei nella capitale francese. Colui che sarebbe stato coinvolto in modo decisivo nella fondazione della Federazione Scacchistica Romena fu suo figlio, Ion Gudju, membro del Circolo Scacchistico di Bucarest. Nell’estate del 1924, Ion Gudju, George Davidescu e Leon Loewenton avevano giocato a Parigi, durante i Giochi Olimpici estivi, un torneo di scacchi a squadre. Il 20 luglio 1924, dopo l’ultimo turno del torneo, 15 delegati firmarono la costituzione della Federazione Internazionale degli Scacchi, “Fédération Internationale des Échecs” (FIDE), uno dei firmatari fu il romeno Ion Gudju. Dopo il ritorno da Parigi, il giovane Ion Gudju viaggiò attraverso il paese per discutere con i rappresentanti dei circoli scacchistici della Grande Romania la creazione di una federazione nazionale. Ștefan Baciu racconta cosa è successo dopo. “Il 4 gennaio 1925, i rappresentanti di 26 circoli di scacchi costituirono il Comitato Provvisorio della Federazione Scacchistica Romena. Il presidente di questo comitato fu eletto Adam Hențiescu, una personalità dell’epoca, che era anche presidente del Circolo scacchistico di Bucarest. Nato in Transilvania, Adam Hențiu, all’età di 21 anni, attraversò le montagne per combattere nella Guerra d’Indipendenza nel 1877. Dopo la guerra, cambiò il suo cognome da Hențiu a Hențiescu e si stabilì a Bucarest dove si laureò come farmacista. Fu promotore dell’unione della Transilvania con il Regno di Romania, combatté come volontario nella Prima Guerra Mondiale. Sfortunatamente, Adam Hențiescu morì prima che la Federazione scacchistica romena fosse realmente fondata. Tra i membri del comitato di iniziativa c’era Alexandru Tyroler di Timisoara, che nel 1926 vinse il primo titolo di campione nazionale nella storia degli scacchi romeni. Tra i bravi giocatori di quel periodo si possono citare Nicolae Brody di Cluj e Janos Balogh di Miercurea Ciuc, rimasto nella storia degli scacchi con una mossa di difesa che porta il suo nome. Del comitato di iniziativa facevano parte anche docenti universitari, avvocati e politici.”

    Nel 1925 furono istituiti circoli di scacchi nelle città, nelle scuole superiori e nelle università della Grande Romania, 9 dei quali a Bucarest. L’atto di fondazione della Federazione Scacchistica Romena fu formalizzato a Bucarest, il 14 marzo 1926, in occasione del primo congresso della Federazione Scacchistica Romena. La crisi economica del 1929-1933 ebbe un impatto anche sul movimento degli scacchi in Romania, e nel 1932 e nel 1933 il campionato nazionale individuale maschile non fu più organizzato. E la squadra romena, dopo una presenza costante alle prime edizioni delle Olimpiadi degli Scacchi, non partecipò più alle edizioni del 1937 e 1939.

  • Le relazioni diplomatiche Romania – RFG

    Le relazioni diplomatiche Romania – RFG

    La comparsa, dopo il 1945, di due stati tedeschi sulla mappa dell’Europa era stata l’effetto delle profonde divergenze tra gli USA, la Gran Bretagna e l’URSS in merito al futuro del paese che aveva dato inizio alla terribile guerra. Le due Germanie, quella occidentale e quella orientale, si guardavano con profonda ostilità. Walter Hallstein, il primo presidente della Comunità economica europea, aveva dato il suo nome alla dottrina secondo cui la Repubblica federale di Germania (RFG) non aveva relazioni diplomatiche con i paesi che avevano riconosciuto la Repubblica Democratica Tedesca (RDT). E i paesi che facevano parte del blocco, per solidarietà, non avevano relazioni diplomatiche con lo Stato tedesco del blocco opposto. Pertanto, la Romania, essendo nel blocco comunista, non aveva mantenuto rapporti con la Repubblica Federale di Germania.

    Dalla seconda metà degli anni Sessanta le cose sarebbero cambiate. Nel 1967, la Romania riuscì a stabilire relazioni diplomatiche con la Germania Ovest grazie al cambiamento nell’approccio alle relazioni europee. Attraverso due visite reciproche, quella del ministro degli Esteri romeno Corneliu Mănescu nella Repubblica federale di Germania e quella del ministro degli Esteri della Germania Ovest Willy Brandt a Bucarest, furono gettate le basi del riavvicinamento. Nel 1994, il Centro di storia orale della Radiodiffusione romena ha intervistato il diplomatico Vasile Șandru, che ha ricordato il quadro in cui si erano verificati i cambiamenti. “La visita del vicecancelliere Willy Brandt, l’allora ministro degli Esteri, ebbe luogo nel momento in cui la Romania aveva stabilito relazioni diplomatiche con la Repubblica federale di Germania. Il contesto era il seguente: nell’estate del 1966 si era svolta a Bucarest la riunione del Comitato politico consultivo del Trattato di Varsavia. Nel documento adottato in quell’occasione si lanciava l’idea di convocare una conferenza europea sulla collaborazione e la sicurezza in Europa. C’era anche una disposizione che chiedeva la normalizzazione dei rapporti con entrambi gli stati tedeschi. Nello spirito di questo documento, la Romania ha avviato l’instaurazione di normali relazioni diplomatiche con la Repubblica Federale di Germania, con la propria decisione, senza alcuna consultazione con i suoi alleati. Naturalmente ciò suscitò una reazione di insoddisfazione, soprattutto da parte dell’Unione Sovietica e degli altri stati partecipanti al Patto di Varsavia, i quali sostenevano che l’instaurazione delle relazioni con la Germania sarebbe dovuta avvenire mediante un atto collettivo.”

    La nuova filosofia della distensione in Europa aveva quindi portato ad un reset delle percezioni. “L’iniziativa della Romania trovò una risposta positiva da parte della Germania federale e, all’inizio del 1967, ebbe luogo l’azione per stabilire relazioni diplomatiche. Prima di ciò, la Romania aveva stabilito relazioni consolari e commerciali ufficiali con la Germania Ovest. Avevamo già una rappresentanza commerciale-consolare a Colonia. Ora era giunto il momento di elevare queste relazioni al più alto livello delle relazioni diplomatiche. Dal punto di vista della Germania federale, stabilire relazioni diplomatiche con la Romania significava, di fatto, l’abbandono della dottrina Hallstein, il che fu, direi, un passo spettacolare, anche nelle condizioni della Guerra Fredda dell’epoca. La Germania Ovest aveva avuto fino ad allora un atteggiamento molto fermo nel non stabilire alcun tipo di rapporto con gli Stati che avevano rapporti con la Repubblica Democratica Tedesca. La posizione della Repubblica Federale di Germania era quella di non riconoscere l’esistenza di un secondo Stato tedesco.”

    Vasile Șandru credeva che anche il coinvolgimento personale contribuisse molto alla creazione di una nuova atmosfera. “Willy Brandt si recò sul litorale romeno dove fu ricevuto da Nicolae Ceaușescu con il quale ebbe una conversazione durata circa cinque ore. Con Nicolae Ceaușescu le discussioni erano prevalentemente politiche e si riferivano non solo alla situazione politica in Europa, ma anche ai legami di partito tra i partiti comunista e socialista. Come ha affrontato Willy Brandt questa visita? È venuto con sua moglie e suo figlio, con Lars, aveva un ragazzo che ha partecipato a questi movimenti di sinistra in Germania. Quindi ha affrontato il tema della visita in un progetto non solo politico, ma anche personale, per avvicinarsi al nostro Paese. La signora Brandt e suo figlio hanno avuto un programma separato sul litorale, molto interessante, sono rimasti molto soddisfatti della visita, hanno anche potuto vedere alcuni spettacoli folcloristici romeni e hanno visitato attrattive culturali. È stata una visita con un programma che ha contribuito anche a creare un’immagine della Romania.”

    Dignitario comunista e insider Paul Niculescu-Mizil, nel 1997, disse che, al di là dell’ottimismo con cui guardiamo oggi, le cose erano complicate. “Quando ero in prigione, ho ascoltato in televisione una storia di Cornel Mănescu su come furono stabilite le relazioni diplomatiche con la Repubblica Federale di Germania. Diceva che era andato in Germania, aveva incontrato Brandt e Brandt aveva detto: allacciamo relazioni diplomatiche, poi si sarebbero stretti la mano e avrebbero detto sì, siamo d’accordo. Siamo seri! Io so come si sono svolti quei rapporti, ho fatto parte del Presidium Permanente. Questo problema è stato discusso e ridiscusso, come farlo, come affrontarlo, come reagiranno i sovietici, se va bene, se non va bene. La cosa andò avanti per giorni e giorni. E quando se n’è andato, Mănescu è partito con un mandato preciso, andare a concludere relazioni diplomatiche con la Repubblica Federale di Germania, non c’era altra scelta. Io feci parte delle delegazioni ufficiali, sarebbe assurdo dire il contrario. Feci parte di molte delegazioni ufficiali. Avevo un mandato da casa e se non si adattava alla situazione lì dovevo informare i superiori e chiedere l’approvazione.”

    Nel 1967, la Romania fu il secondo paese del blocco comunista a stabilire rapporti con la Germania Ovest, dopo l’URSS. Fu una mossa diplomatica attraverso la quale furono ripristinati i vecchi rapporti dello spazio romeno con l’intero spazio tedesco.

  • 35 anni dalla Rivoluzione Anticomunista Romena

    35 anni dalla Rivoluzione Anticomunista Romena

    Si parla spesso di grandi reset quando un tipo di leader vince le elezioni in un grande paese del mondo come gli Usa, come è avvenuto nel novembre 2024 con la vittoria di Donald Trump. Ma i grandi reset sono quelli che si verificano quando si verificano cambiamenti radicali in spazi geopolitici ampi e importanti, come è avvenuto nel 1989 nell’Europa centrale e orientale. Allora, i regimi comunisti in Polonia, Ungheria, nella Repubblica Democratica Tedesca, in Cecoslovacchia, Bulgaria e Romania cedettero il potere o furono violentemente rovesciati dalla rabbia popolare. Il caso romeno è quello del rovesciamento di un regime con mezzi violenti, il più violento di tutti i cambiamenti avvenuti dal 1989.

    A lungo commentata a partire dal 1989, anche se meno visibile che in altri anni, la Rivoluzione anticomunista romena continua ad essere, 35 anni dopo, il riferimento principale di tutto ciò che collega i romeni alla vita quotidiana. La sua eredità è indiscutibilmente positiva e i cambiamenti avvenuti da allora hanno portato un significativo aumento del tenore di vita, una presenza consistente nelle più importanti alleanze militari e civili quali la NATO, l’Unione Europea e l’area Schengen. Tutto ciò è stato possibile grazie al sacrificio dei rivoluzionari del dicembre 1989 e allo sforzo costante compiuto da decine di milioni di romeni durante 35 anni.

    Lo storico Virgiliu Țârău, professore all’Università Babeș-Bolyai di Cluj, ha parlato a RRI del cambiamento avvenuto 35 anni fa e del difficile percorso chiamato “la transizione”. “Anche se abbiamo ancora un po’ di tempo, circa un decennio, prima di eguagliare e superare il tempo del comunismo nell’Europa orientale, notiamo che la transizione da questo regime a quello democratico è stata sia breve che lunga. Il tempo del cambiamento è stato breve, intenso, rivoluzionario, mentre il tempo della trasformazione e, soprattutto, della metabolizzazione della trasformazione è stato lungo, vario e complesso. Esso ha avuto traiettorie distinte nella transizione a livello regionale e nazionale. Pertanto, se il cambiamento è stato apparentemente rapido, la transizione è stata un processo lungo, in cui il trapianto di un nuovo sistema sulle radici sociali, politiche, economiche, culturali e mentali del comunismo si è rivelato laborioso e talvolta contraddittorio. La lettura del momento di cambiamento ha sempre recato l’impronta del contingente, delle congiunture della transizione, di un presente che ha sempre condizionato e influito sulla comprensione del recente passato, sia in Occidente che nell’Europa centro-orientale.”

    La rivoluzione anticomunista romena può essere compresa solo nello spirito del tempo europeo che l’ha prodotta. È solo un caso particolare del grande reset di 35 anni fa che ha portato alla realtà di oggi, cui si sognava allora. Virgiliu Țârău: “Gli eventi cumulativi del 1989 hanno portato il mondo in una nuova direzione. Si è detto che fosse una europocentrista, democratica, liberale e integrativa, in cui l’Europa orientale si sarebbe trasformata, rinunciando pacificamente o meno all’ordine politico e ai regimi di potere comunisti. Fu una che portò all’unificazione della Germania e poi dell’Europa, in un progetto ambizioso: dal Portogallo ai Paesi Baltici. Le finestre aperte allora crearono le premesse di un’altra globalizzazione, ma anche di un mondo che sembrava aver superato la realtà della Guerra Fredda”.

    Nell’analisi del 1989 dello storico britannico Timothy Garton Ash, i modi in cui il potere comunista nei paesi dell’Europa centrale e orientale fu rimosso furono pacifici, attraverso le elezioni, o furono la violenza rivoluzionaria. Virgiliu Țârău ha parlato del modo in cui fu rimosso in Romania, la rivoluzione. Track: “Ciò è stato associato agli eventi che hanno avuto luogo nella Germania dell’Est, in Cecoslovacchia e in Romania negli ultimi mesi del 1989. Questa distinzione formulata da Timothy Garton Ash è stata avanzata tenendo conto soprattutto della contestazione del potere comunista in piazza, della pressione dal basso, che germogliò e portò alla rimozione dal potere delle élite comuniste. L’opacità degli anziani Honecker, Husak e Ceaușescu, la cecità e la violenza delle loro reazioni, la mancanza di dialogo all’interno degli ambienti del potere comunista, ma anche di dialogo con le strutture dell’opposizione, sono stati altri ingredienti di questo secondo tipo di cambiamento nella concezione di Garton Ash. Proteste, contestazioni e sconvolgimenti politici furono associati alla Caduta del Muro di Berlino, alla rivoluzione di velluto o alla presa di potere sanguinosa che accompagnò il cambiamento del 1989”.

    Indipendentemente dal modo in cui uscirono dalla scena della storia, pacifico o violento, i regimi comunisti erano marci. Virgiliu Târău: “Al di là delle influenze esterne, dei giochi strategici, i documenti storici ci mostrano che i sistemi comunisti hanno ceduto dall’interno, che i colpevoli di questa implosione sono stati gli stessi leader comunisti, incapaci di gestire un sistema sempre più corrotto e disfunzionale. In sostanza, non più vitale e legittimo, il comunismo fu abbandonato dalle stesse persone che ne amministravano il destino, apparatčiki e tecnocrati. In conclusione, trasformando la Cortina di Ferro in una di nylon, la sovversione al suo interno è diventata sempre più consistente. La mancanza di risorse per affrontare il problema del debito li ha messi nella posizione di negoziare e, alla fine, di cedere il potere quando la protesta di piazza non poteva più essere gestita”.

    La Rivoluzione anticomunista romena del 1989 è parte del grande reset dell’Europa centrale e orientale. Ha prodotto effetti positivi in tutti gli aspetti della vita delle società che 35 anni fa lottavano disperatamente con la miseria economica e gli orizzonti chiusi.

  • La Rivista di Matematica

    La Rivista di Matematica

    Nei suoi quasi 250 anni di storia, la stampa romena ha registrato anche la più lunga pubblicazione ininterrotta. Si tratta della “Rivista di Matematica”, rivista specializzata per gli amanti della matematica, apparsa nel 1895 a Bucarest su iniziativa di un gruppo di matematici e ingegneri. I cinque fondatori furono gli ingegneri Victor Balaban, Vasile Cristescu, Ion Ionescu, Mihail Roco e Ioan Zottu. Dopo la morte prematura di Balaban, la matematica Constanța Pompilian viene cooptata nel gruppo. Ben presto entrarono in questo primo gruppo anche gli ingegneri Tancred Constantinescu, Emanoil Davidescu, Mauriciu Kinbaum e Nicolae Niculescu e i matematici Andrei Ioachimescu e Gheorghe Țițeica.

    Nei 129 anni di pubblicazione continua, la “Rivista di Matematica” è stata l’agorà dove si sono espressi i migliori matematici, ricercatori, insegnanti, ingegneri, economisti, studenti e alunni romeni e altri appassionati di matematica. Inoltre, nelle pagine della rivista si possono trovare nomi di matematici stranieri. „La rivista di matematica” ha formato generazioni di appassionati e ha organizzato concorsi. Inizialmente la rivista si presentava in 16 pagine e con una tiratura di 144 copie vendute in base agli abbonamenti. Poi aumentò il numero degli acquirenti, con la massima diffusione registrata negli anni ’80, quando un numero uscì in 120.000 copie.

    Con una simile tradizione,”Rivista di Matematica” è anche una fonte di ricerca sull’evoluzione dell’istruzione in Romania. Il matematico e scrittore Bogdan Suceava ha notato la ricchezza che “La rivista di matematica” offre in questo senso. “Il fatto che esista un database in cui ci sono molti problemi, per 129 anni, significa che si può guardare a vari strati storici, a diversi modi di pensare l’educazione, di trovare problemi adatti per un certa fascia d’età. Questi modelli si trovano nella “Rivista di matematica”. Per più di un secolo ci sono stati abbastanza esempi, sono state provate abbastanza strategie e quindi si è vista la risposta di una popolazione interessante. Il fatto di avere così tanti esempi, così tanti modi di pensare “La rivista di matematica”, ci permetterà di vedere come questa esperienza sia interessante in un quadro più ampio.” Nella sua lunga storia che continua ancora oggi, la “Rivista di Matematica” ha avuto standard elevati e ha costantemente incoraggiato il pensiero creativo. Bogdan Suceava ha ricordato un simile episodio di pensiero originale.

    “Un caso interessante è stato Sebastian Kaufman che ha dimenticato alcune formule di trigonometria durante l’esame orale. È stato criticato nell’editoriale, non si poteva tralasciare. Nessun problema, Kaufman imparò la trigonometria e finì per fare ricerche utilizzando tecniche relative alle coordinate polari. Il suo lavoro è apparso pochi mesi prima che la Romania entrasse nella Prima Guerra Mondiale. Di cosa si trattava? Proprio come abbiamo il potere del punto sul cerchio, concetto introdotto da Jakob Steiner nel 1826, possiamo avere il potere del punto su una curva algebrica piana. Lui propose di scriverlo in coordinate polari e vedere cosa succede. È stato un lavoro eccezionale scritto da uno studente eccezionale delle scuole superiori. Questo era l’ambiente della “Rivista di matematica”. Lui si preparò per il concorso della “Rivista di matematica”, incontrò i valutatori, fu tutt’altro che perfetto. Venne criticato e migliorò e in base a questo ambiente emerse qualcosa di creativo. Lo stesso problema di Kaufman sarebbe stato studiato dopo la Seconda Guerra Mondiale, e su altre pubblicazioni non credo che troviamo altro pubblicato prima del 1956. Il fatto che uno studente delle scuole superiori di Bucarest stesse facendo qualcosa del genere è notevole.”

    Al nome della “Rivista di Matematica” è legata anche la comparsa delle Olimpiadi Internazionali di Matematica, competizione prestigiosa. La Romania ha partecipato finora a tutte le edizioni e ha vinto 78 medaglie d’oro, 146 d’argento, 45 di bronzo e 6 menzioni. Si colloca quindi al 6° posto nel medagliere di tutti i tempi. La Romania ha ospitato 6 edizioni, nel 1959, 1960, 1969, 1978, 1999 e 2018. Bogdan Suceava: “L’iniziativa delle Olimpiadi internazionali appartenne alla Società romena di scienze matematiche e fisiche, le discussioni si svolsero tra il 1956 e il 1959. La prima edizione fu nel ’59. A quel tempo, il presidente della società era Grigore Moisil, i vicepresidenti erano Caius Iacob e Nicolae Teodorescu. Questo accadeva in quel periodo e politicamente non era facile organizzare un evento internazionale allora, c’erano tanti vincoli. Il primo era ottenere tutte le approvazioni necessarie. Il secondo era quello dei contatti internazionali e del livello di prestigio necessario per avviare un progetto internazionale di tale portata. La loro generazione aveva come modello il concorso de “La rivista di matematica”, e se confrontiamo il format, inizialmente l’idea era questa: non si davano molti problemi da risolvere in brevissimo tempo, ma problemi che richiedevano molto tempo di riflessione, circa un’ora e mezzo per ogni problema. Questa era l’idea iniziale ed era molto simile a quanto sperimentato prima della Prima Guerra Mondiale in Romania. Questi promotori dell’idea avevano la sensazione che il modello de “La rivista di matematica” potesse suscitare un interesse internazionale. Ciò dovrebbe essere notato e va confrontato con altri concorsi che esistevano all’epoca.”

    La “Rivista di matematica” è la pubblicazione di riferimento dei matematici romeni, della scuola romena di matematica. Sulla rivista c’è la matematica, ma c’è anche educazione, c’è anche la storia, c’è anche la mente collettiva, c’è anche il ricambio generazionale. E, soprattutto, è una tradizione che continua.

  • Centenario Lovinescu

    Centenario Lovinescu

    Nel 2024, la cultura romena rende omaggio a uno dei suoi rappresentanti più importanti, lo storico e critico letterario Eugen Lovinescu.

    Nato nel 1881 a Fălticeni, nel nord della Romania, e spentosi nel 1943 a Bucarest, Lovinescu ci ha lasciato, tra l’altro, l’imponente libro in tre volumi “Storia della civiltà romena moderna”. Pubblicato 100 anni fa, nel 1924-1925, il libro illustra la sua visione delle piccole società che tendono a sincronizzarsi con quelle grandi.

    L’autore, convinto seguace dei valori occidentali, espone nel libro la legge dell’imitazione attraverso la quale mostra l’influenza che le società arretrate subiscono da quelle avanzate. La tendenza della civiltà è, secondo Lovinescu, quella di sincronizzare le società arretrate con quelle avanzate.

    Dalla sua pubblicazione, il libro di Lovinescu ha acquisito sempre più importanza per la società romena. In questi 100 anni la tesi del sincronismo di Lovinescu è stata sia attaccata che difesa. Riportato oggi all’attenzione del pubblico, il libro merita l’omaggio, secondo il professore di letteratura romena dell’Università di Bucarest Ion Bogdan Lefter, per la sua complessità. “La domanda che devo essermi posto è: perché questo libro? E possiamo certamente dare una serie di risposte che hanno molti livelli. La prima risposta è la straordinaria importanza della figura dell’autore, di Lovinescu. Aggiungo che per me è il critico letterario romeno più importante di tutti i tempi, addirittura la figura chiave della cultura romena dal 1900 in poi. Il secondo livello della risposta è forse più convincente in quanto non implica valutazioni e possibilmente soggettività. Dipende dal profilo di questo libro in relazione al tema e in relazione al mondo romeno di oggi. Lovinescu era un critico letterario, la sua rilevanza multidisciplinare è indiscutibile.”

    Ion Bogdan Lefter ritiene che il testo di Lovinescu meriti di essere aggiornato. Si sa che qualsiasi testo è il prodotto del suo tempo, “invecchia” con il passare degli anni. Lefter afferma che Lovinescu può essere letto con gli occhi del 21° secolo. “Il sincronismo è, è stato e continua ad essere una forma di globalizzazione. La globalizzazione è una forma di sincronizzazione. Colmare le lacune, partecipare alle competizioni e allinearsi definiscono anche i microprocessi. Se parliamo di una singola nazione o di una regione siamo ancora, da un punto di vista planetario, su scala micro. Oppure, se guardiamo a una scala planetaria di grandi dimensioni, non propriamente macro, i fenomeni sono infatti omologhi, con molte, molte sfumature e con molti aggiustamenti fini che dobbiamo fare, ovviamente. E allora, forse Lovinescu e l’idea generativa delle ampie riflessioni culturali legate alla storia della civiltà romena moderna hanno anche un significato contemporaneo e perfino proiettivo, naturale. Non dico quello che dico per ipertrofizzare l’immagine di Lovinescu come profeta della globalizzazione.”

    La direzione in cui sta andando la civiltà umana non ha mai lasciato indifferente chi è interessato a mode e tendenze. Poiché cultura e civiltà non possono essere separate, oggi su di esse sentiamo opinioni che provengono dal passato e vengono rivalutate secondo le idee del presente. Ion Bogdan Lefter, partendo dalle affermazioni di Lovinescu, afferma che il progresso dell’umanità può essere visto più come il risultato di accumulazioni graduali che come quello di impulsi estremi e spontanei. “Accetto fermamente l’idea delle gradualità nell’evoluzione, che implica innanzitutto delle continuità. Le continuità possono essere più lente o più veloci, i ritmi possono avvicinare la continuità, l’idea di continuità a quella di rottura. Non escludo l’idea di rottura, ci sono momenti di rottura. Sono essi così radicali come spesso affermiamo? Oppure fanno parte di processi più ampi, di evoluzione, di continuità, di gradualità, che comprendono anche battute d’arresto, comprendono rotture e riannodamenti, e così via. In ogni caso, utilizzerei con molta più cautela, meno spesso, descrizioni che, certo, retoricamente, sono significative e utili, qualificazioni della categoria radicale, rotture radicali.”

    Autori come Eugen Lovinescu, che andarono oltre i confini delle discipline in cui si specializzarono, erano rari. Ion Bogdan Lefter crede che i tempi storici che le società attraversano abbiano gli spiriti per comprenderli.

  • PCR in clandestinità

    PCR in clandestinità

    L’estremismo di sinistra e di destra, il comunismo e il fascismo, mostruose creazioni della guerra, finirono per dominare le menti di molte persone. Una particolarità della Grande Guerra fu che né i vincitori poterono godersi la vittoria né i vinti rinunciarono alla rivincita. Ci è voluta la seconda guerra mondiale perché le energie distruttive venissero consumate.

    I nuovi stati emersi dopo il 1918 adottarono misure contro l’estremismo e per proteggere i confini. Il Regno della Grande Romania, anch’esso una creazione del sistema di Versailles, ha adottato misure severe per liquidare le manifestazioni estremiste che ne mettevano in pericolo l’esistenza e il funzionamento. Il 6 febbraio 1924, più di 100 anni fa, il governo liberale guidato da Ion I. C. Brătianu adottò la legge sulle persone giuridiche in base alla quale le organizzazioni estremiste erano illegali. Le due principali organizzazioni prese di mira furono la Lega Nazionale per la Difesa Cristiana, di estrema destra, fondata nel 1923, e il Partito Comunista Romeno di estrema sinistra, fondato nel 1921. L’autore della legge, da cui la legge prese il nome, era il ministro della Giustizia Gheorghe Gh . Mârzescu, giurista e sindaco della città di Iasi durante gli anni della guerra.

    Se l’estrema destra si reinventò nel 1927 con la formula del Movimento Legionario e poté operare legalmente con successo di pubblico alla fine degli anni ’30, l’estrema sinistra, agenzia di Mosca in Romania, rimase vietata fino al 1944. Alla fine della seconda guerra mondiale, dopo che l’Unione Sovietica occupò la Romania e portò al potere il PCR, i pochi membri del partito fecero un vanto del fatto di essere stati membri di un’organizzazione bandita. Li chiamarono „illegalisti” e c’erano sia quelli che erano in prigione, sia quelli che, nascosti, in libertà, seguivano le istruzioni di Mosca.

    Uno degli illegalisti fu Ion Bică. Nell’archivio del Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena si trova una sua intervista del 1971 nella quale raccontò come dal lager di Târgu Jiu, dove si trovavano alcuni militanti comunisti, loro fuggirono nell’aprile del 1944 con l’aiuto di alcune persone della amministrazione. “Il partito era riuscito a stabilire uno stretto legame tra i militanti esterni e i militanti delle prigioni e dei lageri. Si sarebbe trovato ad affrontare una situazione difficile. Mentre gli eserciti di Hitler ricevevano colpi su colpi, l’attività del partito si intensificò nel paese. Il collegamento tra i comunisti all’interno e all’esterno veniva stabilito attraverso persone semplici che svolgevano determinati compiti nell’apparato amministrativo del lager. Ad esempio, c’erano donne che, una volta chiuso il lager, si recavano in diverse località del Paese e a Bucarest. Erano donne che godevano della fiducia dei comunisti, erano portatrici di biglietti, di corrispondenza tra i comunisti fuori e quelli dentro, così come tra quelli dentro e fuori.”

    Anche Anton Moisescu fu un illegalista e nel 1995 raccontò in cosa consisteva la sua attività prima e durante la guerra. “Anche prima facevo attività di partito illegale, ma lavorando in fabbrica e con il mio vero nome, noto a tutti, ma sconosciuto come attivista di partito o attivista dell’UTC. Questa volta, però, ho dovuto cambiare nome e non farmi vedere da nessuna parte, per non farmi incontrare da nessuno dei nostri agenti perché mi avrebbero arrestato immediatamente. E poi vivevo in una casa rifugio, lavoravo di notte, uscivo per riunioni solo di notte. Ero ricercato, ma la Sicurezza dello Stato non mi ha trovato da nessuna parte.”

    Anton Moisescu ha fatto riferimento anche ai mezzi di sussistenza di cui disponeva un clandestino. “Vivevamo di aiuti dai simpatizzanti nella Capitale. La gente raccoglieva dei soldi per noi perché eravamo in pochi, non eravamo molti in questa situazione. Gli altri membri di partito e simpatizzanti raccoglievano per i prigionieri politici, di questo mi sono occupato anche io, del Soccorso Rosso: vestiti, viveri, soldi. Abbiamo dato loro quello che abbiamo raccolto tramite i loro parenti, mandavamo tutto nella prigione. Allo stesso modo si raccoglievano delle cose per noi. Avevamo una casa rifugio in cui vivere, di solito non affittavamo niente, non avevamo nessuna casa a nostro nome. Era di solito la casa di un simpatizzante dove restavamo per un po’. Se qualcosa ci sembrava sospetto, andavamo a casa di un altro simpatizzante e così via. Per tutto il tempo eravamo in ambienti cospirativi sconosciuti alla polizia politica, la Securitate, con persone che non erano nemmeno conosciute come attivisti, ma solo nostri simpatizzanti.”

    Il periodo di illegalità durante il quale operò il PCR, tra il 1924 e il 1944, fu quello in cui lo Stato romeno si consolidò dal punto di vista legislativo, amministrativo, politico ed economico. E la legge Mârzescu fu lo strumento attraverso il quale l’estremismo, di destra e di sinistra, non poteva dirottare lo sviluppo di uno stato che aveva pagato con pesanti sacrifici ciò che aveva realizzato.

  • ll giornale „Scânteia”

    ll giornale „Scânteia”

    Una delle armi più potenti della propaganda del regime comunista era la stampa. La libertà di parola e di stampa è un diritto conquistato nel XVIII secolo, formalmente adottato come universale nell’articolo XI della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Ma i regimi totalitari comunisti e fascisti hanno sfigurato questo diritto trasformandolo in uno strumento per ridurre i cittadini al silenzio.

    Nei regimi dei partiti comunisti dei paesi dell’Europa centrale e orientale, tutta la stampa ruotava attorno all’ideologia. Ma i partiti avevano anche i propri giornali, le proprie voci ufficiali, attraverso le quali si esprimeva l’essenza del regime. Nell’Unione Sovietica esisteva, ed esiste ancora nella Russia di oggi, il giornale “Pravda” o “La Verità” del 1912. Nella Bulgaria comunista, “Rabotnichesko Delo” o “Le Azioni operaie” è apparso fino al 1990. In Cecoslovacchia il partito si espresse tramite “Rudé Právo” o “La Destra Rossa”, apparso fino al 1995. Nell’ex Repubblica Democratica Tedesca, nel 1946 iniziò a essere pubblicato “Neues Deutschland” o “Nuova Germania”, che esiste ancoroggi. Nell’ex Jugoslavia c’era “Borba” o “La Lotta”, stampato fino al 2009, riapparso episodicamente. In Polonia tra il 1948 e il 1990 si poteva leggere “Trybuna Ludu” ovvero “La Tribuna popolare”. In Ungheria il mercato della stampa è stato dominato tra il 1945 e il 1956 da “Szabad Nép” ovvero “Il Popolo libero”, e da “Népszabadság” ovvero “La Libertà del popolo” tra il 1956 e il 2016. In Romania, il Partito Comunista Romeno si è rivolto alla società attraverso il giornale “Scânteia”, ovvero „La Scintilla”.

    Fondato nel 1931, quando il Partito Comunista Romeno era un partito illegale in Romania perché si batteva per lo smembramento del paese, “Scânteia” apparve di tanto in tanto fino al 1940. Prendeva il nome da “Iskra” o “La Scintilla”, il giornale di Lenin in esilio, pubblicato tra il 1900 e il 1905. “Scânteia” apparve legalmente per la prima volta il 21 settembre 1944, dopo che l’Armata Rossa aveva occupato Bucarest il 30 agosto e avrebbe imposto il regime comunista in tutta la Romania fino al 1947. Il critico d’arte Radu Bogdan fu intervistato dal Centro di storia orale della radiodiffusione romena nel 1995. Nato nel 1920, il giovane Bogdan era un simpatizzante comunista e durante gli anni della guerra ebbe contatti sporadici con i membri del PCR. Divenne attivo subito dopo l’arrivo dei sovietici e nel 1995 ricordò davanti al microfono come partecipò alla rifondazione del giornale del partito. “Come è iniziato „Scânteia”? Sono stati in cinque a ricevere dal partito il compito di pubblicare il primo numero. Matei Socor era a capo dei cinque: c’erano Pavel Chirtoacă, l’ingegnere Solomon, Radu Mănescu e Iosif Ardelean, che più tardi avrebbe lavorato alla censura. Quindi tutto è iniziato con questi cinque, con l’ingegnere Solomon che aveva compiti amministrativi. Poi, nella mia testa, volevo fare giornalismo, ma non sapevo come iniziare. Sentendo che Radu Mănescu avrebbe pubblicato un giornale, mi sono presentato e ho chiesto se potessi iscrivermi anch’io, che volevo fare giornalismo. Di conseguenza, sono stato invitato a sedermi e fare lavoro di volontariato. Era il periodo cosiddetto romantico, avevamo degli ideali! Ho corretto le bozze. La mia collega era Mirel Ilieșiu, una regista. Quindi ho messo piede lì fin dal primo numero del giornale „Scânteia””.

    Sulle pagine del giornale, intellettuali comunisti idealisti, vecchi o nuovi opportunisti, si esprimevano con estrema violenza contro la democrazia. Uno di loro, Silviu Brucan, sopravvissuto a tutta la storia del regime e che ha avuto anche una carriera pubblica dopo il 1989, è stato tra i più attivi. Radu Bogdan ha ricordato l’attenta attività dei giornalisti in quegli anni, soprattutto quelli di “Scânteia” guidati dal sociologo Miron Constantinescu. “Matei Socor è stato un solo giorno alla guida del giornale. Successivamente è diventato direttore generale della Radio. Pochi giorni dopo la pubblicazione dei primi numeri di „Scânteia” è arrivato Miron Constantinescu, appena uscito di prigione. Facevamo spesso lavoro notturno in redazione. Ho dormito con lui i primi giorni sullo stesso materasso, per terra, lì non c’erano letti. La prima redazione del giornale <Scânteia> operava nell’edificio dell’ex giornale <La Corrente> di Pamfil Şeicaru. In quel periodo ero anche la guardia del corpo di Miron Constantinescu. Ma solo apparentemente, come quegli spaventapasseri nel campo che non sono veri perché non andavo in giro armato. Ma lui andava tutti i giorni alla Confederazione Generale del Lavoro e non voleva dare l’impressione che camminasse per strada da solo, quindi mi portava sempre con sé. Sembravo abbastanza forte, ero alto. Non ho dovuto affrontare nessun attacco. Ma per alcuni mesi sono stato come una specie di sua ombra.

    Nei successivi 40 anni, “Scânteia” fu ciò che furono anche gli altri giornali, un semplice giornale di propaganda che nascondeva le carenze materiali e le brutali violazioni dei diritti subite dai romeni. Nel corso degli anni sul giornale sono apparsi nomi importanti della scienza e della cultura romena e l’elenco dei collaboratori è lungo. Per i posteri, il caso “Scânteia” fu un esempio di come la stampa non dovrebbe essere.

  • Il divorzio tra la Securitate e il KGB

    Il divorzio tra la Securitate e il KGB

    Struttura dal duplice ruolo, informativo e repressivo, la Securitate è stata fino alla fine degli anni ’50 sotto il controllo totale del KBG, come tutta la Romania. Ma dall’inizio degli anni ’60, la cosiddetta “politica di indipendenza della Romania dall’URSS” significò il divorzio della Polizia politica romena dal KGB, la sua emancipazione. Il leader di Bucarest Gheorghe Gheorghiu-Dej fu colui che avviò la procedura di divorzio con grande tatto.

    Il generale Neagu Cosma fu un ufficiale della Direzione del controspionaggio del Dipartimento di Sicurezza dello Stato, di cui era anche il capo. Nel 2002, intervistato dal Centro di Storia Orale della Radio Romena, raccontò la storia dell’allontanamento della Securitate dal KGB: “Finché c’erano i sovietici ed erano potenti, avevano consiglieri e avevano la loro gente alle leve di comando, sia in politica che sulla linea dei servizi speciali, le cose si risolvevano facilmente. Si risolvevano come al Cremlino, con la mazza. Si facevano arresti massicci per motivi fondati e meno fondati, per cose di poco conto. Il ruolo del consigliere, che era un ufficiale del KGB, era quello di consigliare il comandante dell’unità. C’era un consigliere a livello ministeriale, il capo di tutti i consiglieri, e i consiglieri delle unità. Dovevano consigliare rispettivamente su richiesta del ministro e del comandante. Se c’era un problema di orientamento, di tecnica, di metodologia di lavoro, veniva dato l’incarico al consigliere, , così dicevano, doveva darti una soluzione. E tu l’applicavi oppure no. Questo era il suo ruolo teorico. Praticamente, lui interferiva in tutto. In effetti, i consiglieri sovietici erano anche conduttori di reti di spionaggio, delle proprie reti, che esistevano nelle strutture della Securitate.”

    Soffocati dall’onnipresenza dei sovietici, i romeni cercarono di trovare una soluzione. Neagu Cosma: “Ad un certo punto, il ministro Drăghici, disperato perché questi si intrommettevano ovunque, ci ha chiamato e detto: E poiché i sovietici erano molto aggressivi dopo gli avvenimenti in Ungheria, ci siamo ritrovati improvvisamente con 6 consiglieri nella Direzione. Non ho chiesto niente a nessuno, ma poi ci stavano davvero dando dei grattacapi. Non sapevo davvero cosa fare con loro. Stavano raccogliendo informazioni, non avevano alcuna spiegazione per la loro presenza. Secondo la convenzione governativa, ci sarebbe dovuto essere un consigliere del comandante. Ma questi non avevano più spiegazioni, erano venuti per aiutare il consigliere. La spiegazione era che dovevano tastare il polso del posto, avevano paura che stesse succedendo qualcosa qui e furono mandati ad essere presenti.”

    All’inizio degli anni ’60 Dej decise che nelle relazioni romeno-sovietiche era stato superato un limite. Il Centro informazioni e documentazione sulla sicurezza è stato utilizzato per eliminare la presenza del KGB. Una squadra di 5-6 ufficiali seri e discreti coordinati da Neagu Cosma ha iniziato a stilare una tabella. “Penso che fino al ’62 avessimo ricostituito gran parte, forse l’80%, della loro rete sul territorio del nostro Paese. Non avevamo una missione vera e propria se non quella di ricostruirla, di conoscerla. Alcune tabelle sono state realizzate dall’alto verso il basso, cioè quella era la rete, con brevi rinvii, con brevi commenti e note. Nelle tabelle figurava la vecchia rete che era attiva qui, la rete che era arrivata con la divisione Tudor Vladimirescu, con le divisioni Horia Cloşca e Crişan, quelli che durante la guerra erano stati paracadutati nel nostro paese, uomini dei russi. E queste tabelle furono presentate a Gheorghiu-Dej.”

    La strategia dei romeni era semplice. Alle spie sovietiche fu detto che tutta la loro attività era nota, che erano graziate e veniva chiesto loro di smettere di collaborare con il KGB. In caso contrario, erano soggette alla legge penale. La maggior parte ha accettato l’offerta della Securitate. Neagu Cosma ha mostrato quale fosse il primo criterio alla base dell’inclusione nella tabella. “Nella prima fase, penso che avessimo nella tabella circa 180 spie, provenienti da tutto il Paese. A questi si aggiungevano quelli con situazioni meno certe, ma con solidi indizi che potessero essere spie sovietiche. Ad esempio, erano tornati dall’Unione Sovietica, dove avevano studiato, sposati con donne russe. Apparentemente non era niente, era normale in un regime normale. Ma con i russi non funzionava così, conoscevo la regola. Quelli che tornavano in Romania con le ragazze russe erano sospettati. E poi, le donne russe, innanzitutto, le ho verificate tutte e non erano poche. Erano sposate con militari che ricoprivano alte cariche nell’esercito e al Ministero dell’Interno, per non parlare poi del Ministero dell’Economia. Nell’apparato politico c’erano molti sposati con donne russe. Naturalmente c’erano persone eccezionali e molti entrarono nel mirino, ma la misura generale fu che alla fine furono evacuati tutti dalle principali istituzioni.”

    La Securitate e il KGB divorziarono all’inizio degli anni ’60, ma entrambe le istituzioni mantennero, fino al 1989, lo stesso carattere di istituzioni repressive di un regime politico repressivo.

  • La flotta militare romena nella Seconda Guerra Mondiale

    La flotta militare romena nella Seconda Guerra Mondiale

    La storia della flotta militare romena iniziò a metà del XIXesimo secolo, quando dopo l’unione dei due principati di Moldavia e Valacchia, si unirono anche le loro flotte fluviali commerciali. Fino ad allora i principati romeni non avevano avuto flotte militari fluviali e marittime perché non avevano questo diritto, essendo sotto il controllo dell’Impero Ottomano, né avevano accesso al mare. Con il 1878, dopo che la Dobrugia divenne parte dello stato romeno e si aprì ai mari e agli oceani, iniziò anche la storia della flotta marittima romena.
    La flotta militare fluviale romena partecipò alla guerra russo-romena-turca del 1877-1878 attraverso operazioni militari sul Danubio. Le navi romene comandate da Nicolae Dumitrescu-Maican e Ioan Murgescu installarono dighe sul fiume, attaccarono navi ottomane, bombardarono le posizioni ottomane sulla riva meridionale del Danubio e riuscirono persino ad affondare due navi spia turche.
    Nel periodo successivo, la Marina romena continuò a svilupparsi e a beneficiare di programmi di dotazione con navi da combattimento. Nel 1907 entrarono in servizio quattro navi spia e otto pattugliatori fluviali per il monitoraggio e la difesa del Danubio. Nella campagna della Prima Guerra Mondiale, la flotta militare sul Danubio fu impegnata nella battaglia di Turtucaia nel 1916 e nella ritirata dell’esercito romeno dalla Dobrugia. L’anno successivo, 1917, le navi militari romene sul Danubio comandate da Constantin Bălescu bombardarono le postazioni di artiglieria tedesca nella città di Tulcea e liquidarono la ribellione delle navi russe nel Delta del Danubio.
    Dopo il 1918 continuò la dotazione della flotta militare romena. Nuovi tipi di navi militari entrarono in servizio per la flotta marittima, come i cacciatorpediniere “Mărășești”, “Mărăști”, “Re Ferdinando” e “Regina Maria”, il primo sottomarino romeno “Il Delfino” e la nave scuola di seconda generazione “Mircea” .
    Durante la Seconda Guerra Mondiale, la marina militare romena si impegnò con due grandi unità, la Divisione del Mare e la Divisione del Danubio. La Divisione del Mare aveva 4 cacciatorpediniere, 3 torpediniere, 3 dragamine, un sottomarino, 3 pattugliatori torpediniere, 8 rimorchiatori e una flottiglia di idrovolanti. La divisione del Danubio era composta da 7 navi spia e 6 pattugliatori. La costa romena del Mar Nero era difesa da uno sbarramento di mine a 12 miglia nautiche di distanza e dall’artiglieria costiera. A causa della sproporzione a favore della marina sovietica, nella prima fase della guerra la marina romena mantenne un atteggiamento difensivo.
    Il 26 giugno 1941, pochi giorni dopo l’entrata in guerra della Romania per la liberazione della Bessarabia e della Bucovina, annesse all’Unione Sovietica nel 1940, i cacciatorpediniere “Mărăști” e “Regina Maria” e le batterie costiere della Dobrugia affondarono la “Moskva”, l’ammiraglia della flottiglia sovietica che si avvicinò alla costa romena e colpirono il cacciatorpediniere “Kharkov”. Con lo spostamento del fronte verso est, la marina militare romena passò ad azioni di sostegno alle truppe di terra che combattevano a Odessa e Sebastopoli.
    Fino al 23 agosto 1944 le navi sovietiche non si avvicinarono più alla costa romena, ma i sottomarini sovietici costituivano un vero pericolo. Un’operazione su larga scala nella quale fu coinvolta la marina romena fu l’evacuazione delle truppe romene e tedesche dalla penisola di Crimea chiamata “L’Operazione 60.000”. Le fonti mostrano che circa 36.000 militari romeni, 584.000 tedeschi, 720 slovacchi e 25.000 prigionieri e cittadini sovietici furono salvati come risultato di quell’operazione.
    Dopo il 23 agosto 1944, quando la Romania passò dalla parte degli Alleati, la marina romena passò sotto il controllo sovietico e le sue navi e il personale furono arrestati. Nel 1999, l’ufficiale Nicolae Koslinski, figlio dell’ammiraglio Gheorghe Koslinski, morto prigioniero politico nel carcere di Aiud nel 1950, raccontò al Centro di storia orale della Radiodiffusione romena che nella notte tra il 4 e il 5 settembre 1944, era sul torpediniere “Il Vulcano”. “Verso le 4.30 del mattino, sentendo dei rumori fuori, sono saltato giù dal letto, ho preso la pistola e l’ho messa nella tasca dei pantaloni. Mi sono recato alla porta dove l’operatore di turno mi ha informato che stavano arrivando dei russi. E, infatti, nella camera più grande dove dormivo è entrato un russo con una balalaika puntata contro di me, seguito da altri, che mi hanno chiesto di consegnargli la pistola. Prima ho detto loro e loro sembravano unpo’ sorpresi, poi mi hanno chiesto la pistola. Ho alzato le mani. Un sottufficiale russo è venuto da me, mi ha palpato le tasche. Ma probabilmente, essendo la pistola una piccola Beretta e con sopra il fazzoletto, non si era accorto che fosse lì. Ha guardato la mia mano che aveva la cintura appallottolata e l’ha buttata via, pensava fosse una pistola. Ci ha detto di vestirci perchè saremmo andati ad una riunione alla stazione marittima.”
    Le navi romene furono portate nell’URSS e, per ragioni sconosciute, la cannoniera “Dumitrescu” e il sottomarino “Marsuinul” affondarono. Dopo alcuni anni, le autorità sovietiche restituirono al governo romeno 23 navi, la maggior parte delle quali vecchie e non funzionanti, tra cui due cacciatorpediniere, diverse torpediniere e diverse cannoniere. Ma va notato che tra i marinai romeni furono reclutati anche partecipanti al movimento di resistenza anticomunista, come l’ammiraglio Horia Macellariu.

  • Nicolae Titulescu e la diplomazia romena in Europa negli anni ’30

    Nicolae Titulescu e la diplomazia romena in Europa negli anni ’30

    Le diplomazie dei Paesi che ruotano attorno ai potenti hanno sempre la missione di essere un passo avanti rispetto agli eventi. Devono decifrare le tendenze e le intenzioni, se possibile, anche prima che si verifichino. Le diplomazie dei Paesi satelliti sono presenti nelle capitali e in tutti i luoghi dove si prendono le decisioni importanti e spesso raggiungono anche posizioni privilegiate. Questo è stato anche il caso della diplomazia romena nel periodo tra le due guerre, alla guida della quale fu per un certo periodo Nicolae Titulescu (1882-1941).

    La fine della Prima Guerra Mondiale aveva lasciato dietro di sé un clima di tensione e relazioni europee complicate e segnate dal risentimento. I paesi sconfitti del blocco degli Imperi Centrali guidato dalla Germania non accettarono le disposizioni dei trattati di pace genericamente chiamati “il sistema Versailles”. Ciò significava legalizzare le loro perdite territoriali e pagare i danni di guerra. L’emergere della Società delle Nazioni nel 1919, l’antenata delle odierne Nazioni Unite, fu un tentativo di riunire rappresentanti di tutte le nazioni attorno a un tavolo e discutere per allentare le aspettative di tutti. La Romania era un difensore del sistema di Versailles e della Società delle Nazioni attraverso i quali sarebbe stato mantenuto lo status quo. E uno dei diplomatici più attivi fu il citato Nicolae Titulescu.

    Avvocato di formazione, Titulescu è nato a Craiova, nel sud della Romania. Fu impegnato nella politica come membro del Partito Democratico Conservatore e fu un sostenitore dell’entrata della Romania nella Prima Guerra Mondiale insieme alla Francia. Nel dopoguerra fu ministro plenipotenziario in Gran Bretagna e tra il 1928 e il 1936 fu ministro degli Esteri in diversi governi. Dal 1921 fu il delegato permanente della Romania presso la Società delle Nazioni, essendo stato eletto due volte, nel 1930 e nel 1931, come presidente.

    Iosif Igiroșianu fu un diplomatico scoperto da Nicolae Titulescu. Nel 1997, il Centro di storia orale della Radiodiffusione Romena ha intervistato Igiroșianu che ha spiegato perché la Romania godeva di una posizione privilegiata nella Società delle Nazioni e il ruolo svolto da Nicolae Titulescu nell’ottenerla. “La Romania era l’unico paese al mondo ad avere una legazione presso la Società delle Nazioni. E questa fu accettata dal governo svizzero per compiacere Titulescu. Poiché Titulescu aveva fatto molte cose per gli svizzeri, organizzò la maggior parte degli incontri e delle conferenze in Svizzera perché interessava anche a lui. E poi, naturalmente, tutte queste cose hanno interessato gli svizzeri perché Titulescu mise improvvisamente Ginevra in una luce del tutto straordinaria.”

    Così, nella struttura della diplomazia romena, il rappresentante di Ginevra presso la Società delle Nazioni diventava ancora più importante del ministro di Berna. Il diplomatico di Ginevra era visto come un negoziatore con paesi importanti, mentre quello di Berna era considerato solo un funzionario che aveva legami esclusivamente con il paese in cui era stato inviato. Il diplomatico romeno di Ginevra era quello da cui si aspettava che si facesse amici tra i politici più importanti e i diplomatici più influenti e si creasse legami che avrebbero portato beneficio alla Romania.

    Lo stesso Titulescu fu più di un rappresentante permanente della Romania a Ginevra. Ad un certo punto, fu chiamato a mediare una riconciliazione tra il governo francese e quello britannico. Amico del primo ministro francese Pierre Laval, era considerato un uomo molto simpatico, con molta presenza e molto tatto. Era sorta la disputa tra i governi francese e britannico su come trattare la Germania. Francia e Gran Bretagna erano generalmente andate di pari passo sulle garanzie di sicurezza in Europa dopo la Prima Guerra Mondiale. Le due avevano imposto la firma del Trattato di Locarno nel 1925 che garantiva i confini orientali della Francia. Ma all’inizio degli anni ’30, la Gran Bretagna aveva proposto alla Francia di domare la sua politica nei confronti della Germania, proposta che la Francia non vedeva di buon occhio per il timore di una rinascita del militarismo tedesco. I sospetti britannici andarono oltre considerando che la Francia stesse cercando di dominare l’Europa più di quanto la Germania fosse capace. In quel clima teso tra Londra e Parigi, comparve anche la figura di Titulescu. Il suo ruolo conciliatore è stato ricordato anche da Iosif Igiroșianu. “Queste due potenze non volevano supplicare gli altri perché venissero agli incontri. I contatti non avvenivano attraverso i ministeri, ma attraverso i capi di governo o le principali personalità politiche. E allora loro avevano bisogno di Titulescu. Era stato ministro per molto tempo in Inghilterra, aveva molti amici, e i francesi non volevano pregare gli inglesi, e gli inglesi non volevano pregare i francesi. Volevano che tutto fosse organizzato attraverso una terza persona che sondasse le mentalità, gli atteggiamenti e parlasse sia con gli uni, che con gli altri.”

    Nel 1936 Titulescu fu rimosso dalle cariche pubbliche in Romania a causa del suo antifascismo e andò in esilio in Svizzera e poi in Francia. Mori’ a Cannes nel 1941, deluso dal corso che la storia aveva preso.

  • Il caso Culianu

    Il caso Culianu

    Il 21 maggio 1991, intorno alle 13, nella toilette di un edificio dell’Università di Chicago, fu trovato morto l’eminente professore di storia delle religioni e autore di libri Ioan Petru Culianu. All’età di 41 anni, Culianu era stato colpito in testa da un proiettile sparato, da dietro, da uno sconosciuto. Nonostante le indagini approfondite, l’assassino o gli assassini non sono stati scoperti e il crimine rimane ancora oggi un mistero.

    Ioan Petru Culianu è nato in Romania, a Iasi, il 5 gennaio 1950. Proveniva da una famiglia di intellettuali, i suoi antenati facevano parte dell’élite romena coinvolta nella fondazione dello stato moderno a partire dalla metà del XIXesimo secolo. Filologo di formazione e poliglotta, Culianu emigrò nel 1972 in Italia dove si specializzò in storia delle religioni, per poi trasferirsi nei Paesi Bassi e, dal 1986, negli Usa. Culiano ha avuto un rapporto di tutoraggio e amicizia con il famoso storico delle religioni romeno Mircea Eliade, dal quale si separò quando il passato fascista di Eliade fu rivelato al pubblico. Culianu è autore di più di 20 volumi di storia delle religioni e narrativa nelle lingue di circolazione internazionale, e sulla sua vita e sulla sua opera sono stati scritti 17 volumi.

    Gli autori che hanno scritto finora sulla morte di Culianu hanno lanciato diversi scenari, tra i quali il più diffuso è quello del coinvolgimento dell’ex Polizia Politica comunista – la Securitate – e degli esuli fascisti romeni. L’ultimo libro è quello dell’accademico e storico delle religioni americano Bruce Lincoln dal titolo “Secrets, Lies, and Consequences: A Great Scholar’s Hidden Past and his Protégé’s Unsolved Murder”. Allievo di Mircea Eliade nella seconda metà degli anni Sessanta, Lincoln scrive nel suo libro anche della morte di Culianu, lanciando una nuova ipotesi. Lo storico delle religioni Moshe Idel, professore all’Università Ebraica di Gerusalemme, ritiene che il mistero che ancora aleggia sulla morte di Culianu si spieghi anche con le accuse rivolte all’ex Polizia Politica comunista alle quali non è stata data alcuna risposta credibile. “Ho avuto una discussione, molti anni fa, con il presidente della Romania, Emil Constantinescu. E gli ho chiesto perché non chiarisce questa questione. Mi ha detto in modo molto diretto che non poteva fare nulla. Questo è il problema. Se Culianu è stato assassinato dalla Securitate o dalla Guardia di Ferro (l’estrema destra romena n. d. r.) ovviamente non vogliono dirlo. Chi vuole confessare un crimine? Quando l’FBI, dopo diversi anni di ricerche, si arrese, alzò la mano, in realtà abbiamo un dossier Culianu in cui non si è ottenuto nulla. Quindi possiamo aspettare che accada un miracolo, che qualcuno scriva le sue memorie postume e confessi il crimine. Per fare, come si suol dire, una confessione. Ma intanto i servizi segreti romeni non vogliono discuterne, almeno dire di no, e questa sarebbe una risposta: io non c’entro niente con l’assassinio.”

    Lo storico Sorin Antohi, che ha discusso con Moshe Idel il mistero della morte di Culianu, ritiene che ci siano ancora molti ostacoli che impediscono che questo caso venga portato alla luce. “Sin d’allora la sua famiglia ha continuato a fare certi passi, che non hanno mai portato da nessuna parte. Diverse persone hanno cercato di apprendere qualcosa, quelli della troupe cinematografica americana hanno fatto pressioni in base al diritto legale di accesso alle informazioni. Non hanno ottenuto niente di più di quello che abbiamo ottenuto noi senza fare nulla, ovvero l’accesso a informazioni desecretate ma rese anonime. Sono migliaia le pagine che sono state messe in rete anche dalle autorità americane, ma che sono completamente oscurate. Forse si trova una parola in un documento o un’altra parola in un altro, ma in testi completamente anonimizzati.”

    Nel volume citato, Bruce Lincoln lancia una nuova ipotesi sulla morte di Culianu, ossia quella del coinvolgimento della moglie di Mircea Eliade, Christinel Eliade. Moshe Idel non è convinto della validità dell’ipotesi, ma non la esclude. “Nel ’98 ho scritto un articolo su una famiglia sconosciuta di Chicago. Bruce Lincoln cita quell’articolo, non ho problemi col fatto che lo faccia. Ma io non c’ero, non ho visto Christinel, so che era antifascista. Ciò che Lincoln apporta di nuovo non è così chiaro. Credo che ciò che ha detto non sia provato, questa è una speculazione più grande della mia e non posso provare chi ha commesso l’assassinio. Ho un’ipotesi, ma lui ne ha un’ipotesi ancora più complicata, quindi non voglio coinvolgere Christinel perché non so molto della sua vita e di cosa ha fatto dopo la morte di Eliade. Non conosco la sua vita, Bruce Lincoln l’ha vista, quindi è in una posizione superiore rispetto a me. Ma dico che non sono convinto di quello che dice, e non sono convinto nemmeno che lo sia lui. Cosa dice? Che dalla foto in cui Culianu appare con lei si vede come se nutrisse una sorta di odio per lui. Non ne ero convinto, ma non dico che non possa essere reale.”

    La morte di Ioan Petru Culianu rimane ancora, più di tre decenni dopo, un mistero. Ed è possibile che rimanga un altro caso irrisolto tra tanti altri dello stesso tipo.

  • I rapporti della Romania con il Vaticano

    I rapporti della Romania con il Vaticano

    Lo spazio romeno, oggi prevalentemente cristiano-ortodosso, è stato uno spazio di interferenze spirituali e religiose. La convivenza multiconfessionale dei cristiani è attestata fin dal Medioevo, le fonti registrano notizie sulla presenza di minoranze accanto alle maggioranze: cattolici accanto a ortodossi, riformati ed evangelici accanto a cattolici e ortodossi, uniati e cattolici insieme a riformati e ortodossi, neoprotestanti e le altre fedi. La più antica presenza cattolica nello spazio romeno si trova nel territorio intracarpatico, precisamente nell’arcidiocesi di Alba Iulia, che risale all’XIesimo secolo. Nella cattedrale romano-cattolica della città di Alba Iulia è sepolto il voivoda della Transilvania e reggente d’Ungheria Iancu de Hunedoara, padre del re d’Ungheria Mattia Corvino, di religione cattolica e di origine romena, morto di peste nel 1456. La prima presenza cattolica nello spazio extra-carpatico romeno è dovuta al regno di Ungheria e Polonia.

    I vescovadi cattolici sui versanti orientali e meridionali dei Carpazi erano quelli di Siret, nel nord, fondato nel XIII secolo, quello di Milcov, all’incontro dei Carpazi Orientali con i Carpazi Meridionali, anch’esso del XIIIesimo secolo, e quello di Severin, all’incontro dei Carpazi con il Danubio, del XIVesimo secolo. Fino all’ascesa dell’Impero Ottomano nell’Europa sud-orientale alla fine del XIVesimo secolo, cattolici e ortodossi, sebbene spesso divisi da idee politiche, facevano parte dello stesso mondo cristiano. Le ultime Crociate furono alleanze tra re e principi cattolici e ortodossi, e le coalizioni anti-ottomane dei secoli XVII e XVIIIesimo cooptarono eserciti di tutte le confessioni cristiane.

    Con il declino dell’influenza ottomana a nord del Danubio a partire dal XVIIIesimo secolo e la penetrazione delle idee occidentali di modernizzazione nei Principati di Moldavia e Valacchia, aumenta anche la presenza cattolica. I primi due re di Romania della dinastia Hohenzollern-Sigmaringen, Carlo I e Ferdinando I, sotto i quali si formò e si espanse il moderno stato romeno, erano cattolici. Nel 1883 fu istituita l’arcidiocesi cattolica romana di Bucarest, durante il regno di Papa Leone XIII. E la lettera apostolica “Praecipuum munus” del 27 aprile 1883, con la quale la Santa Sede elevò il vicariato apostolico della Valacchia al rango di arcivescovado, significò un riconoscimento dell’importanza dello Stato romeno, divenuto regno nel 1881.

    Alla fine della Prima Guerra Mondiale, la Romania e il Vaticano formalizzarono le relazioni bilaterali. Se le presenze cattoliche nello spazio romeno erano state le basi storiche su cui si erano fondate le relazioni tra i due Stati, nel 1920 ebbe inizio l’apertura delle ambasciate. Nel 1927, attraverso il Concordato firmato dalle due parti, fu garantita la pratica del culto cattolico in Romania. Il concordato prevedeva, tra l’altro, il riconoscimento della personalità giuridica della Chiesa cattolica in Romania, i leader religiosi dovevano essere cittadini romeni, la Chiesa poteva aprire scuole, ospedali, orfanotrofi e altre istituzioni sociali ed educative.

    Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, sconfitta e occupata dall’esercito sovietico, la Romania venne completamente sottomessa dal nuovo regime comunista. La politica antioccidentale del regime filosovietico di Bucarest raggiunse le sue forme più dure, nei rapporti con il Vaticano, significò la denuncia del concordato del 1927, il 17 luglio 1948. La rottura unilaterale delle relazioni diplomatiche con il Vaticano significò l’abolizione delle chiese cattoliche in Romania e la persecuzione dei fedeli. Mentre gli stranieri scappavano solo con le espulsioni, i cittadini romeni andavano ad ingrossare le file dei prigionieri politici. Madre Clara, con il suo nome laico Ecaterina Laszlo, entrò nel monastero all’età di 13 anni e fu condannata a 15 anni di prigione, di cui ne scontò 14. Nel 2003, raccontò al Centro di storia orale della radiodiffusione romena come aveva assistito, come amministratore dell’edificio della Nunziatura Apostolica di Bucarest, alla sua evacuazione subito dopo la decisione delle autorità romene di rompere i legami con la Santa Sede. “Sua Eccellenza O’Hara, il reggente del nunzio apostolico, è stato convocato al Ministero degli Esteri ed è stato informato che lui e i suoi collaboratori devono lasciare il Paese entro 48 ore, ma ha il diritto di affidare la custodia della Nunziatura Apostolica a un’ambasciata che lui può scegliere. Poiché l’ambasciata svizzera era neutrale, scelse questo paese. O’Hara fu accusato di spionaggio, cioè di essere una spia del Papa. E in 48 ore doveva lasciare il Paese. Ed era consuetudine, alla chiusura di un’ambasciata, organizzare un pranzo d’addio con gli altri ambasciatori che ancora esistevano nel paese. E la sera si organizzò questo incontro, e a mezzanotte, quando tutto fini’, tutto l’edificio fu sigillato, nel seminterrato rimase solo una porta per le suore, per noi che vivevamo lì, e nel cortile c’era una casa più piccola dove vivevano tre monaci. Siamo usciti con le candele accese davanti alla porta principale, da lì sono usciti tutti i diplomatici e lì è stata consegnata la chiave all’ambasciata svizzera.”

    Inesistenti tra il 1948 e il 1989, i rapporti della Romania con il Vaticano furono ripristinati l’ultimo giorno del 1989, il 31 dicembre, nove giorni dopo la caduta della dittatura comunista, avvenuta il 22 dicembre. E si sono sviluppate, la prima visita di un papa in un Paese ortodosso è stata quella di 25 anni fa, nel 1999, quando Giovanni Paolo II arrivò in Romania.