Category: Pagine di storia

  • Teatro radiofonico per bambini

    Teatro radiofonico per bambini

    I bambini sono un pubblico generoso e i programmi per i bambini sono sempre stati al centro dell’attenzione del management e dei giornalisti. Le drammatizzazioni radiofoniche ebbero un vero successo, dietro di esse c’era l’impegno di chi scriveva sceneggiature o adattava testi classici, attori e registi, équipe tecniche. Tutti loro hanno scritto la storia del teatro radiofonico per bambini, hanno lasciato quei ricordi che avranno i futuri adulti. Nell’audioteca di Radio Romania si trovano pagine di riferimento della storia del teatro radiofonico per bambini, con nomi importanti ad esso legati.

     

    La scrittrice Silvia Kerim è stata anche giornalista radiofonica e si è occupata con dedizione di drammatizzazioni per bambini. Iniziò il suo lavoro nel 1961 e finì in una redazione con persone di qualità che cercavano di sfuggire all’ideologia politica del tempo. Nel 1998 il Centro di Storia Orale di Radio Romania ha intervistato Silvia Kerim e ha scoperto come i giornalisti del teatro radiofonico per bambini riuscivano a mantenere la qualità dei loro prodotti. “Mi fu assegnato un posto molto piacevole per me, si chiamava Teatro radiofonico per bambini. È stata una fortuna perché la maggior parte delle opere che costituivano il repertorio teatrale per bambini erano fiabe. Erano ispirate alla letteratura classica, quindi la menzogna ideologica non si adattava davvero a questo. Gli attori erano registi grandi e molto grandi e molto bravi, quindi non c’era posto per il compromesso e le bugie.”

     

    Come in ogni luogo, sono le persone che fanno funzionare le cose e Silvia Kerim aveva colleghi aperti. “Al Teatro radiofonico per bambini avevo come capo Eduard Jurist, e’ da lui che ho imparato cosa significa essere modesto come capo, non fare il capo, avere un’attenzione equamente distribuita verso i redattori più giovani o quelli più anziani. Lì ho avuto anche Vasile Mănuceanu come collega. C’era, in quella redazione dei programmi per ragazzi, quello scrittore di raro talento che si chiamava Călin Gruia. Mi farebbe molto piacere citare Mioara Paler che, un tempo, era responsabile della sezione programmi per bambini e alla quale devo la gioia di scrivere per i bambini. Loro hanno sentito in me questo amore per i bambini, hanno sentito questo mio desiderio di scrivere per i bambini.”

     

    Silvia Kerim ha scritto sceneggiature per drammatizzazioni radiofoniche per bambini e ha ricordato quanto fossero importanti per lei le storie d’infanzia raccontate dai suoi genitori. “Mi è stato assegnato il compito di elaborare alcune storie che erano state tradotte male dalla letteratura cinese o giapponese. Mi sono stati assegnati storie e racconti che avevano una lezione da insegnare. Io, reinterpretandole, mi sono resa conto che ci mettevo molta della mia fantasia e che, a un certo momento, avrei potuto scrivere le storie che mi passavano per la testa e che, a loro volta, avevano una radice magica. Mia madre raccontava storie a me e a mio fratello ogni sera, quando eravamo molto piccoli, notte dopo notte. In generale, la prima parte era “Biancaneve”, penso che per un anno consecutivo ho ascoltato “Biancaneve” notte dopo notte, sia in episodi che in versione abbreviata. E se mia madre in qualche modo sbagliava un dettaglio, ci affrettavamo entrambi a contraddirla e a ricordarle che, in realtà, non era stato un certo nano a fare e dire una cosa o l’altra. La seconda storia riguardava, in generale, gli animali che mia madre amava moltissimo, così come anche mio padre. Entrambi i genitori ci hanno trasmesso questo amore per gli animali.”

     

    Negli anni in cui Silvia Kerim dava vita a storie per bambini in onda, il regime comunista indottrinava con la forza il pubblico. Ma la giornalista ha scelto di opporsi in modo sottile alla maleducazione ideologica. “Voglio assolutamente dire che un simile tentativo, nel caso dei miei testi, è stato piuttosto difficile. Non ho mai scritto la parola “pioniere” o “partito”, non sono mai apparse nelle mie sceneggiature. Le mie sceneggiature e le mie storie riguardano gli eroi di Andersen, sono storie tristi con gente povera, con nonni morenti, con la torta più costosa che è la torta di mele o con il dolce più piacevole che è il pane tostato con marmellata di prugne. Ho sempre pensato che ci siano molti più bambini infelici e orfani che bambini ricchi e viziati. E che queste storie devono raggiungere loro, anzi anche loro. In un’epoca in cui si doveva scrivere solo di bambini felici, che in nome del partito crescono sani e senza preoccupazioni, quando si doveva fare i conti con alcuni scritti in cui la realtà appariva piuttosto triste e senza speranza, non era troppo facile che un testo passasse dalla censura.”

     

    Il teatro radiofonico per bambini è stato un miracolo attraverso il quale la radio ha raggiunto menti innocenti. E le persone che lo hanno reso possibile hanno trasmesso ciò che a loro volta avevano ricevuto.

  • Bărăgan – luogo delle deportazioni comuniste

    Bărăgan – luogo delle deportazioni comuniste

    Da sempre zona scarsamente popolata, ma molto fertile dal punto di vista agricolo, il Bărăgan fu un luogo scelto dal regime comunista per punire circa 40.000 persone considerate nemici di classe. Tutte le testimonianze di coloro che hanno trascorso diversi anni della loro vita in questa parte orientale della pianura romena, alcune di esse registrate anche dal Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena, descrivono le stesse condizioni di vita negli anni ’50.

    Nel 1951, il regime comunista cominciò a mandare in Bărăgan alcune categorie di persone che dovevano essere punite per quello che erano: contadini della classe media, alcuni membri delle minoranze tedesca, serba, ungherese, aromena, romeni della Bessarabia fuggiti dalla Bessarabia occupata dai sovietici nel 1944. Tra di loro c’era l’allieva Elena Boroș, rifugiatasi dalla Bessarabia con i suoi genitori nella Romania occidentale, nel Banato. “Ero a Sânnicolau Mare, alla scuola tecnica agraria, quando presero i miei genitori. Quindi, in una notte, non solo dal Banato, ma anche dal Mehedinti, nella stessa notte furono tutti presi. Ma da quello che mi hanno detto i miei genitori, alle 12 di sera sono arrivati una guardia di sicurezza e un miliziano e hanno detto loro di fare le valigie perché dovevano andarsene. Il giorno dopo ho ricevuto una telefonata da mio padre che mi ha detto di tornare a casa urgentemente, con il primo treno, e che non li avrei trovati a casa ma alla stazione. Quando sono arrivata alla stazione, i miei genitori erano già sul binario con i bagagli e mi aspettavano. Dopo il mio arrivo ci caricarono subito sul vagone e partimmo.”

    La paura della gente era massima. Non sapevano dove li avrebbero portati, vivevano nel terrore di ritornare nell’Unione Sovietica e di essere mandati ulteriormente in Siberia. Elena Boroș ha ricordato le sue prime impressioni sul luogo dove sarebbe dovuta vivere dopo. “Quando sono arrivata qui la mattina, a Nicoleşti-Jianu, il treno si è fermato. Papà ha chiesto alla guardia di sicurezza, quando ha visto che il treno era fermo su una binario morto, se non andassimo oltre. La guardia di sicurezza ci ha detto che saremmo rimasti lì. Sono arrivati dei camion vuoti, hanno preso a tutti i bagagli che avevano, noi siamo saliti su un camion che ci ha portato a Satu Nou. In effetti non era un villaggio nuovo, era un campo vuoto. Il villaggio era stato tracciato, con strade e case, era stato tracciato ogni appezzamento di 2500 metri. Alcuni, dove si fermavano, vedevano che il posto era libero e lì rimanevano. Dove ci siamo fermati noi si seminava il grano, ma c’era qualche palo qua e là, e abbiamo deciso di fermarci li’. Ho scaricato e sono rimasta all’aria aperta. E ci chiedevamo cosa avremmo fatto.”

    La prima notte dormirono all’aperto, sotto coperte e stuoie. Il giorno dopo iniziarono a costruire le loro case, le prime furono le casupole. Poi scavarono pozzi per l’acqua. Dopo una settimana, arrivarono le autorità e li mandarono in una fattoria a lavorare nella raccolta del cotone. Anche Vasile Nenita fu deportato in Bărăgan, quando era bambino. E si ricordò della desolazione in cui era arrivato insieme ai suoi genitori e ad altri sventurati. “Faceva molto caldo in Bărăgan. Non c’era acqua, ce l’hanno portata con un’autocisterna da Borcea e la gente è andata a prendere l’acqua e l’abbiamo bevuta per molto tempo. Molte persone si sono ammalate a causa di quell’acqua. Il dolore più grande che ricordo, ero ancora bambino, 11 anni, fu che nel primo anno fu costruito un cimitero molto grande. Molti non resistettero quell’inverno, soprattutto gli anziani del Banato. Il clima del Banato era temperato, c’era un clima freddo. Fu un inverno duro e non riuscirono a resistere. Molti sono morti. E questo è successo ovunque, anche nel resto dei villaggi del Bărăgan, non solo qui. In Bărăgan non c’era niente, solo un campo aperto. Si poteva avvistare un albero a 100-200 metri di distanza. Questo era il Bărăgan, a perdita d’occhio c’era un campo! E quando arrivavano quei venti e quei turbini, come nel romanzo I Cardi del Bărăgan, era ancor peggio!”

    Vasile Neniță ha ricordato anche il momento in cui la stessa Ana Pauker, ministro degli Esteri del governo comunista, fece una visita per esortare i deportati a costruire le loro case. Track: “È arrivata in elicottero ed è atterrata lì. Prima e’ venuta la milizia e ha sunato il tamburo nel villaggi per radunare la gente. Non sapevamo perché e anche allora ci dissero che dovevamo costruire delle case. E formarono squadre di 8-10 persone e fu stabilito l’ordine di costruzione delle case. Erano fatte di terra battuta, venivano posizionate delle assi e veniva versata la terra. E furono costruite case con due stanze e una cucina, coperte. Ci portarono loro il legno, la carpenteria del tetto e il giunco.”

    Dopo 4 anni di privazioni estreme, nel 1955, le autorità permisero ai deportati di andare dove volevano. La maggior parte di loro ha scelto di rivisitare i propri luoghi d’origine, lasciando dietro di sé un’esperienza di vita estrema.

  • Umorismo romeno prima del 1989

    Umorismo romeno prima del 1989

    I regimi politici dittatoriali, autoritari e illiberali non approvano l’umorismo perché è una manifestazione della libertà personale dell’individuo, della creatività dello spirito umano e dello stato naturale della società. Il sarcasmo, la farsa, l’ironia e altri modi giocosi dell’uomo di guardare il mondo circostante furono duramente puniti dalle dittature. Sebbene il regime comunista abbia portato le modalità di governare la società umana ai massimi livelli di assurdità, è stato la fonte delle formule di divertimento più fantasiose. La diversità dell’umorismo in tempi che non generavano buon umore dimostra che gli individui volevano rendere l’esistenza sociale più sopportabile. E in Romania, come ovunque nel lager socialista, l’umorismo degli anni della dittatura comunista era strettamente legato al regime politico, al culto della personalità del leader, alla situazione economica molto precaria, alla violazione dei diritti e delle libertà, a un futuro sempre più cupo, senza prospettive di miglioramento.

    Il poeta, giornalista e umorista Ioan T. Morar è stato tra coloro che prima del 1989 hanno dovuto fare i conti con la censura nel tentativo di svolgere al meglio il proprio lavoro. Ha scritto umorismo e ha studiato umorismo. “Secondo la definizione dell’umorismo di Henri Bergson, l’umorismo è qualcosa posto meccanicamente sopra le nostre vite. Ho un’altra interessante definizione di umorismo, che appartiene a Nicolae Ceaușescu: “usa l’arma dell’umorismo, satireggia i difetti che si manifestano nella società e nelle persone, fai della tua arte uno strumento per il miglioramento continuo della società e dell’uomo, per affermare la giustizia e l’equità del modo di lavorare e di vivere socialista e comunista.” Questo è ciò che Ceaușescu vedeva nell’umorismo, un’arma che, fortunatamente, si è rivoltata contro di lui tante volte. È stato satireggiato.”

    L’umorismo prima del 1989 può essere diviso, temporalmente, in due periodi: quello prima del 1965, quando per una battuta con un banale riferimento politico il soggetto che la raccontava poteva prendersi duri anni di prigione, e quello dopo il 1965, in cui si riscontravano grande inventiva e diversità. L’umorismo prima del 1989 può ancora essere suddiviso in umorismo di stato, ufficiale e non ufficiale. Anche Ioan T. Morar ha fatto riferimento all’umorismo ufficiale. “I lavoratori avevano brigate di agitazione, gareggiavano tra loro e ridicolizzavano coloro che li circondavano che non obbedivano alle leggi e alle norme. Oppure c’era l’umorismo stupido degli spot pubblicitari. La Romania ha prodotto due tipi di aspirapolvere, Pratico e Ideale. E l’annuncio era così, per entrambi: l’aspirapolvere Practico è l’ideale, e l’aspirapolvere Ideale è pratico.”

    L’umorismo di stato, quello consentito, era praticato anche dalla rivista Urzica, nonostante in quegli anni fosse una rivista di successo. John T. Morar. “C’era la rivista Urzica in cui ridevano dei camerieri, delle suocere, dei parrucchieri, delle persone dai capelli lunghi. Credendo che Ceaușescu non sarebbe mai morto, volevo arrivare alla rivista Urzica, mentre lavoravo alla rivista Vita studentesca. Nella rivista Urzica, Ceaușescu non era mai in copertina e non si scriveva su di lui. Qualcuno una volta ha provato a scrivere un testo per il 40° anniversario del “nuovo” umorismo romeno. E gli è stato detto “compagno, non è di questo che ci occupiamo”.”

    I casi delle brigate artistiche studentesche, il cui funzionamento era consentito dalle amministrazioni universitarie, erano quelli in cui l’umorismo era diretto in modo ambiguo. I sottotoni, i gesti di chi era sul palco e l’intonazione delle voci rendevano battute apparentemente innocue politicamente cariche. E le battute politiche schiette erano l’umorismo non ufficiale per eccellenza. John T. Morar.”Nella categoria delle battute e dell’umorismo vietati rientravano le battute politiche, anche se forse a volte alcune erano destinate a testare certi gruppi. Le battute erano modi per stabilire connessioni, spesso erano un codice. Dicevamo battute per controllare il nostro entourage perché spesso eri denunciato se ridevi a certe battute o se dicevi battute.”

    Prima del 1989, l’umorismo non ufficiale romeno ha avuto anche un eroe collettivo: Bula. Non si sa chi lo abbia inventato, ma ciò che ha vissuto, l’universo di Bula, non poteva che essere la Romania degli anni ’80. “Ciò che ha salvato il popolo romeno, perché la risata è salvatrice, è stato questo senso dell’umorismo, la capacità di produrre battute, di creare valvole per ridurre la tensione che tutti abbiamo sperimentato. Bula fu uno dei nostri salvatori psichici, il personaggio Bula, scomparso dopo la Rivoluzione. Chi dice ancora oggi battute con Bulă? Chi è Bula, da dove viene Bula? Penso che Bula sia stato colui che ha risolto tutti i problemi. Bula è anche un pensatore, è anche l’ingenuo del sistema, è anche quello che subisce certe cose, è anche quello che non capisce la realtà.”

    L’umorismo romeno prima del 1989 poteva essere compreso solo in relazione a quegli anni. Per le generazioni future, avrà bisogno di spiegazioni storiche.

  • Sguardo sulla storia della stampa femminile in Romania

    Sguardo sulla storia della stampa femminile in Romania

    I diritti e le libertà dell’individuo, enunciati fin dal XVIII secolo, pongono al centro la promozione dell’uguaglianza, al di là di ogni criterio di religione, razza, etnia, genere. L’emancipazione delle donne fu un tema che attirò sempre più seguaci a partire dalla seconda metà del XIX secolo, e il socialismo e il femminismo mirarono a promuovere maggiormente i diritti delle donne in una società moderna. Gli sforzi più persistenti furono fatti per i diritti salariali e politici delle donne. Il diritto di voto lo conquistarono nel 20° secolo. Dal canto suo, la stampa militò per la concessione di pari diritti alle donne, essendo uno dei mezzi più potenti con cui gli obiettivi del movimento femminista furono raggiunti.

    Anche in Romania l’emancipazione femminile e il femminismo sono apparsi nella seconda metà del XIX secolo, e la lotta per l’acquisizione dei diritti è stata combattuta anche attraverso la stampa. Di norma in tutte le pubblicazioni apparivano articoli di diversa dimensione e su diversi argomenti di interesse per le donne. Ma le riviste che assumevano il ruolo di emancipazione femminile iniziarono ad avere un pubblico costante, tra quelle che si impegnarono nel progetto di emancipazione femminile essendo la rivista “La Donna”. A partire dal 1868 apparvero riviste con la parola “donna” nel titolo: “Donna. Giornale non politico” fu la prima. Altre riviste come “La Donna romena”, “La Donna dei villaggi”, “La Donna e la casa”, “La Donna ortodossa”, “La Donna elegante”, “La Donna di Dambovita”, “La Donna lavoratrice” apparvero per periodi più o meno lunghi e, dal titolo , si potrebbe indovinare il loro profilo. Il periodo più lungo in cui è apparsa una rivista per le donne fu quello tra il 1946 e il 1989 e si tratta della rivista intitolata proprio “La Donna”, pubblicata ancor oggi.

    Le riviste femminili non erano scritte solo da donne, come si potrebbe pensare. Si potrebbe dire che, al contrario, le donne sono entrate più tardi nel mondo del giornalismo che difendeva i loro diritti. La socialdemocratica Elena Gugian era una di queste. Nel 2000, quando la intervistò il Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Rumena, Gugian ricordò che a 19 anni, nel 1944, quando si era iscritta al Partito Socialdemocratico, la sua carriera seguì gli ambienti operai a cui aveva aderito e da cui traeva ispirazione. nei testi che ha pubblicato sulla rivista per cui ha lavorato. “C’erano molte donne provenienti dalle fabbriche nelle organizzazioni del partito. Venivano dalla fabbrica APACA, con personale prevalentemente femminile, una fabbrica di abbigliamento. Venivano dalla fabbrica di dolciumi Anghelescu. Erano della Fabbrica Flora, di lattine, della Fabbrica di Medicinali e della Fabbrica di Sigarette. Dove i dipendenti erano per lo più donne, avevamo organizzazioni e tenevamo riunioni con loro lì, sul posto di lavoro. Ho incontrato donne, ho parlato con donne a parte il fatto che ero giornalista, cioè ho registrato quello che si discuteva lì per la rivista dell’organizzazione femminile, che si chiamava “La Donna lavoratrice”.

    La rivista “La Donna lavoratrice” della socialdemocrazia romena ha cercato di impegnarsi maggiormente nei problemi delle lavoratrici. Elena Gugian ha ricordato i primi numeri della rivista e la sua rinascita nel dopoguerra. “Con questo nome è conosciuta dal 1930, quando apparve come un piccolo manifesto, di 2-3 pagine, e scomparve con la scomparsa dei partiti storici, i partiti democratici, nel 1938. riapparve nel 1946, assumendo il nome „La Donna lavoratrice” e sotto forma di rivista. In 32 pagine, all’inizio appariva solo in bianco e nero, poi apparve in rosso, poi combinazioni di rosso e nero o rosso e blu, a seconda dell’inchiostro che potevamo trovare in quel momento.”

    Elena Gugian realizzava servizi, essendo letteralmente innamorata del suo lavoro. “Io, essendo il membro più giovane della squadra, correvo tanto assieme al fotoreporter per scattare foto, riferire e raccogliere dati. Essendo più giovane, correvo sempre, anche ai servizi stampa delle legazioni o delle ambasciate esistenti allora a Bucarest, dove ricevevo foto e articoli sulle donne socialdemocratiche dei loro paesi.”

    Dopo il 1945, finita la Seconda Guerra Mondiale, tutto era da ricostruire, soprattutto la pace. Ed Elena Gugian e le sue colleghe partecipavano allo sforzo generale. “Eravamo interessati alle donne per diversi motivi. Dopo la guerra, molte donne si ritrovarono improvvisamente capofamiglia, con figli da allevare, dopo che che i loro mariti erano morti sul fronte o erano tornati dal fronte inabili al lavoro. E poi le donne si sono sentite obbligate a trovarsi qualcosa da fare. La stragrande maggioranza di loro era analfabeta. E la nostra grande cura è stata quella di venire loro in aiuto organizzando alcuni corsi di alfabetizzazione. Volevamo insegnare loro a leggere e scrivere, almeno a leggere le buste paga, se non di più. Ma, gradualmente, alcuni di loro hanno preso gusto, hanno iniziato a leggere e ci sono riusciti.”

    Dal 1945 al 1948, la rivista “La Donna lavoratrice” seguì la sua missione, continuando a battersi per i grandi principi dell’uguaglianza. Diventata “La Donna” dopo il 1948, con l’instaurazione del regime comunista, iniziò per essa un altro capitolo, quello della stampa di propaganda in un regime repressivo.

  • Comunismo e linguistica

    Comunismo e linguistica

    Il regime comunista è intervenuto a tal punto nella vita delle persone che ha cercato di cambiare non solo le loro convinzioni più profonde ma anche l’espressione dei pensieri, delle idee e dei sentimenti. La lingua del comunismo era chiamata la lingua di legno, ed era sia una lingua che un linguaggio. Lo stesso Stalin contribuì al suo sviluppo, sebbene le sue capacità mancassero completamente.

    Nell’estate del 1950, Stalin pubblicò in tre numeri del quotidiano “Pravda” una serie di articoli intitolati “Marxismo e problemi linguistici”. Il leader sovietico tracciava nuove linee di ricerca nella linguistica attraverso le quali veniva cancellato tutto ciò che era stato scritto prima di lui. Anche in Romania, occupata dal 1944 dagli eserciti sovietici, le assurdità linguistiche di Stalin furono immediatamente messe in circolazione negli ambienti accademici e scientifici sotto il controllo rigoroso e brutale degli attivisti ideologici.

    La traduttrice e scrittrice Micaela Ghițescu, prigioniera politica, iniziò i suoi studi universitari nel 1949, un anno dopo la riforma dell’istruzione del 1948 che ribaltò il vecchio sistema educativo. Il nuovo sistema introdusse l’educazione politica e favorì i figli degli operai rispetto agli altri, indipendentemente dal loro livello di conoscenza. Intervistata nel 2002 dal Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena, Micaela Ghițescu ha ricordato che l’educazione politica incise doppiamente sulla qualità dei contenuti. “Veniva insegnato il marxismo-leninismo, da un lato, c’erano corsi tutto l’anno. Poi, alle lezioni di francese, studiavamo quelle che si chiamavano “attualità”. A quel tempo c’erano la guerra in Indocina, la guerra dei francesi in Vietnam, ed era di questo che parlavamo alle lezioni di francese. Ci veniva detto, per esempio, che i soldati francesi mangiavano i prigionieri vietnamiti, che erano cannibali. Era qualcosa che dovevamo semplicemente ingoiare senza commenti.”

    Dal 1948, la nuova star della linguistica fu Nikolai Iakovlevici Marr che aveva conquistato le menti dei linguisti con l’affermazione che tutte le lingue avevano la loro origine semplicemente in un’unica protolingua. Micaela Ghițescu si è ricordata il contatto con altre idee di Marr che avevano ribaltato ciò che lei e la sua generazione avevano imparato negli anni delle scuole superiori. “Il corso di linguistica generale con la teoria del linguista Marr sollevava tutti i tipi di domande. Marr diceva che la lingua è innanzitutto una sovrastruttura e che quando cambiano la struttura e l’organizzazione sociale, cambia anche la lingua. Un’altra teoria che ci ha colpito molto è che la lingua acquisisce il carattere dei conquistatori, degli ultimi che arrivano nel rispettivo territorio. Quindi, poiché gli slavi vennero per ultimi, la nostra lingua aveva un carattere slavo. Il romeno non era una lingua latina, questo non si diceva più.”

    Ma la teoria linguistica di Marr sarebbe stata rimossa dall’intervento di Stalin che riportava al suo posto la lingua nazionale. La lingua nazionale non era più nata da un’unica protolingua e non era più una manifestazione della sovrastruttura, ma era la lingua dei lavoratori. Micaela Ghițescu. “Stalin, intervenendo nella linguistica, rovesciò le tesi di Marr e improvvisamente Marr cadde in disgrazia. Nella teoria di Stalin prevale la qualità della cultura di un popolo, quindi era quella che dava l’impronta alla lingua di quel territorio. Naturalmente, la cultura latina era prevalente, quindi all’improvviso il romeno è diventato di nuovo una lingua latina, da un giorno all’altro. Il giorno dell’esame non sapevo esattamente cosa stesse succedendo. L’esame ebbe luogo proprio il giorno in cui sul giornale apparve quello che venne chiamato il “brillante intervento linguistico del compagno Stalin”, e che ribaltò tutto ciò che fino a quel momento avevamo imparato al corso del professor Graur. La mattina avevamo l’esame scritto, il pomeriggio l’orale e la mattina, per la presentazione della tesi, Graur entrò in aula molto tardi e alla fine ci disse di scrivere quello che volevamo. E per il pomeriggio, per l’orale, ci disse di leggere il giornale dove questo intervento di Stalin era apparso su tante pagine.”

    Il testo di Stalin suscitò reazioni anche tra coloro che non erano studiosi di filologia, tra gli storici. L’archeologo Petre Diaconu ricordò nel 1995 come uno dei suoi colleghi sarebbe stato arrestato. “Ricordo che nel 1953, quando fu pubblicata l’opera “Marxismo e linguistica”, vennero grandi istruttori di partito, professori universitari, e dissero che tutto ciò che era stato scritto sulla lingua doveva essere gettato nella spazzatura. Il lavoro fondamentale stava diventando quello di Stalin. In un incontro pubblico, presso l’Istituto di Storia, Chereșteş, che era vicedirettore e attivista del partito, si alzò e cominciò a esporre le tesi del compagno Stalin. E allora, l’archeologo Vladimir Dumitrescu si alzò e disse: “ma lasciateci in pace, finora ci avete imposto le tesi di Stalin e neanche adesso non ci fate respirare!” Solo più tardi ho fatto il collegamento, ciò successe in primavera e in estate, verso luglio, lo arrestarono sul cantiere.”

    Le ambizioni di Stalin come teorico del linguaggio durarono fino alla sua morte nel 1953. Sebbene il linguaggio del comunismo continuasse ad esistere dopo la sua morte e l’ideologia a limitare il libero pensiero, il sollievo si sentì ovunque.

  • Ottomani e romeni

    Ottomani e romeni

    Uno degli attori più importanti che influenzò la storia dei romeni nello spazio extra-carpatico fu l’Impero Ottomano. È considerato uno dei più grandi imperi della storia e ha dominato, per più di mezzo millennio, il mondo su tre continenti, Europa, Asia e Africa. Ottomani e romeni si incontrarono, si scontrarono e convissero strettamente dalla seconda metà del XVesimo secolo all’ultimo quarto del XIXesimo secolo.

    Nella loro storia di prossimità al mondo ottomano, i Principati romeni godettero di autonomia rispetto agli altri stati balcanici che furono conquistati e trasformati in pascià. Lo storico britannico Marc David Baer, ​​autore di un volume best-seller sulla storia dell’Impero Ottomano, ha sottolineato questo status. “Una cosa interessante di queste tre province degli Ottomani, Transilvania, Valacchia e Moldavia che compongono oggi la Romania, è che furono conquistate in tempi diversi. Ancora più importante, furono trattati in modo diverso da come l’Impero Ottomano trattava le altre province chiave. Quindi se confrontiamo l’odierna Romania con la Grecia, la Bulgaria, la Serbia e così via, è molto diversa. I romeni resistettero meglio, e ciò portò gli ottomani a non sottometterli completamente, ma a concedere loro uno status di autonomia abbastanza significativo, che ricorda molto da vicino quello del Kurdistan, nel sud-est. Ai curdi hanno concesso una grande autonomia purché fornissero truppe e difendessero l’impero dai nemici esterni”.

    Come parte del mondo ottomano, secondo Baer ci furono sia guadagni che perdite per i romeni. “Quando Mehmet II conquistò la Valacchia nel 1460 collegò questa parte del mondo con il mondo del commercio e il mondo dei flussi di idee. L’Impero Ottomano divenne a quel tempo uno degli imperi più grandi, potenti e ricchi del mondo. Far parte del mondo ottomano portò molti vantaggi ai sudditi. Dal punto di vista dei vinti c’erano molti lati negativi. Ad esempio, gli ottomani si prendevano e portavano via bambini, ragazzi. Un ragazzo cristiano su 40 proveniente dalle province ottomane o dai territori appena conquistati veniva portato nella capitale, circonciso e convertito all’Islam, e addestrato per diventare membro del loro corpo militare d’élite o dell’amministrazione, possibilmente ministro.”

    Gli storici dell’Impero Ottomano hanno spesso scritto della tolleranza che gli Ottomani avevano nei confronti della diversità che governavano. Marc David Baer ritiene che sia un po’ piu’ complicato. “Prima di tutto bisogna definire cosa intendiamo per tolleranza. La storia europea di cui stiamo parlando ci dice che la tolleranza inizia con la Guerra dei Trent’anni, cioè nel 1648. Tuttavia, se pensiamo alla tolleranza solo come a qualcosa portato in Europa attraverso alcune regole, allora possiamo andare più indietro nella storia europea dell’VIII secolo, possiamo riferirci agli arabi che conquistarono la Spagna. Nella Spagna musulmana abbiamo tolleranza religiosa, abbiamo cristiani, ebrei e musulmani che vivssero allo stesso modo nei regni musulmani. Gli Ottomani introdussero la tolleranza religiosa in Europa, dove arrivarono nel XIV secolo, ma la tolleranza non è la stessa cosa con la convivenza. Non è come dire che la tua religione è uguale alla mia, siamo uguali, rispettiamoci. Nel periodo premoderno, tolleranza significava gerarchia. C’era un gruppo, nel caso ottomano erano i musulmani, poi c’erano uomini e persone libere che avevano più diritti degli altri che erano cristiani, ebrei, donne, schiavi.”

    Nel 19° secolo, le nazioni balcaniche abbandonarono il modello ottomano, ottennero l’indipendenza e adottarono il modello europeo di stato e società moderni. Marc David Baer: “L’Impero Ottomano fu un impero che durò 600 anni. Gli stessi Ottomani erano una nuova classe di cristiani convertiti, uomini e donne. Erano una minoranza nel loro stesso impero. Crearono la lingua ottomana che era una lingua comprensibile solo a questa élite ottomana, non a chiunque. La maggior parte dei sudditi ottomani nei primi quattro secoli dell’impero erano cristiani. Ma se rivolgiamo la nostra attenzione al 19° secolo, abbiamo un impero diverso, abbiamo un mondo nuovo, entriamo in un mondo diverso in cui i russi iniziano a sconfiggere gli ottomani ancora e ancora. Gli Ottomani cominciano a perdere territorio dal XVII al XIX secolo. E gli intellettuali, gli statisti, il sultano cominciarono a chiedersi come si potesse salvare l’impero dopo essere stato sconfitto militarmente? E non riccorsero alla soluzione nazionalista, all’idea che su un territorio esiste un unico popolo. Ma per gli Ottomani questo scopo non esistette fino a molto tardi. Lo scopo era sempre quello di salvare il territorio dell’impero e di trovare un modo, che alla fine fallì, per conquistare la lealtà dei sudditi.”

    L’Impero Ottomano scomparve formalmente nel 1918, più di un secolo fa. Tracce di ciò che significò esso rimangono per lo più nei documenti scritti e meno come caratteristiche distintive oggi.

  • 90 anni dalla firma dell’Intesa Balcanica

    90 anni dalla firma dell’Intesa Balcanica

    Dopo la Prima Guerra Mondiale, gli stati vincitori del blocco dell’Intesa, Francia, Gran Bretagna, Italia, Giappone, Stati Uniti e Romania, hanno voluto mantenere la pace attraverso i trattati di pace, la Società delle Nazioni, l’antenata dell’ONU, e le alleanze regionali. Così nell’Europa centrale e sudorientale sono sorte alleanze regionali che cercavano di bloccare la politica degli stati revisionisti. Una delle alleanze fu l’Intesa Balcanica firmata ad Atene, la capitale della Grecia, 90 anni fa, il 9 febbraio del 1934, tra Jugoslavia, Romania, Turchia e Grecia. Essa era stata preceduta 10 anni prima, nel 1924, dal Blocco Balcanico.

     

    Dal punto di vista della Romania, l’Intesa Balcanica faceva parte di un sistema di alleanze intese a difendere i suoi confini da tutti e quattro i punti cardinali. La dottrina della difesa nazionale della Romania vedeva nell’Unione Sovietica il principale pericolo per la sua sicurezza, quindi la firma dell’alleanza con la Polonia nel 1921 assicurò il nord e l’est. A ovest, la Romania aveva assicurato i propri confini firmando la Piccola Intesa con la Jugoslavia e la Cecoslovacchia nel 1921. E a sud, la sicurezza doveva essere garantita dall’Accordo sui Balcani. La principale ispiratrice e custode delle alleanze nell’Europa centrale e sudorientale era la Francia.

     

    Perché gli Stati formano alleanze? È una domanda alla quale gli specialisti di relazioni internazionali hanno dato risposte partendo dagli interessi economici, dalla somiglianza dei sistemi politici, dai valori, dalle ideologie, dalle affinità culturali e linguistiche, dalle pressioni delle Grandi Potenze. Il politologo americano Randall Schweller ha identificato due motivazioni principali che spingono gli stati a formare alleanze militari. La prima motivazione è il bilanciamento, che solitamente è difensivo e cerca di bloccare l’aggressione di altri stati. La seconda motivazione è l’allineamento, che è offensivo. Da questo punto di vista, l’Intesa balcanica fu un’alleanza militare di bilanciamento, difensiva, volta a isolare la Bulgaria, promotrice di una politica aggressiva nell’area, attivamente sostenuta dall’Unione Sovietica. Lo storico militare Petre Otu ha delineato le caratteristiche geopolitiche e geostrategiche dell’Intesa balcanica. “Fu un’alleanza regionale. Gli attori furono quattro stati, si basava sui principi del bilanciamento con l’obiettivo di proteggere il proprio status quo nella regione stabilito dalla conferenza di pace di Parigi del 1919 e 1920. Alcuni dicono che fosse contro la Bulgaria e non nego una simile intenzione dei suoi promotori. Ma c’è un’altra premessa importante, ovvero quella menzionata da Nicolae Titulescu: i Balcani erano conosciuti come la polveriera d’Europa. Penso che ciò che ha detto Titulescu fosse suggestivo, e aveva ragione, che si doveva porre fine a questo carattere endemico bellicoso dei Balcani, che di doveva raggiungere un accordo e si doveva creare uno spazio di pace e cooperazione.”

     

    Pur animati da interessi comuni, gli stati dell’Intesa balcanica misero al primo posto i propri interessi. Petre Otu: “Tre dei partner erano stati mediterranei, Jugoslavia, Grecia e Turchia, e i loro sforzi di sicurezza andavano in questa direzione. Non miravano a ciò che interessava particolarmente alla Romania. La Grecia aveva riserve su una possibile aggressione italiana nella penisola balcanica. Allo stesso modo, l’Italia rappresentava un pericolo per la Jugoslavia. Romania e Turchia erano due paesi pontici e avrebbero dovuto avere una maggiore cooperazione. Ma qui c’era la cosiddetta riserva turca. Secondo gli accordi tra Kemal Pascià e Lenin all’inizio degli anni ’20, i due paesi sarebbero stati alleati e la Turchia si sarebbe impegnata a non avere un conflitto con Mosca.”

     

    Lodevole in teoria, l’Intesa Balcanica è stata priva di coesione nella pratica. Petre Otu: “Un’altra caratteristica di questa alleanza regionale era la mancanza di uno stato sponsor, un egemone. L’Intesa balcanica dovette affrontare i tentativi di controllo della Francia, dell’Italia e della Gran Bretagna, tra i quali esistevano forti contraddizioni. Nel 1931, Italia e Gran Bretagna incoraggiarono la creazione di un’Unione Bulgaria-Turchia-Grecia. Ma la Francia si è opposta e ha scommesso su un accordo Jugoslavia-Romania-Bulgaria.”

     

    Le alleanze regionali erano buone dal punto di vista diplomatico, ma inutili dal punto di vista militare. Per ragioni proprie, nel quadro della Piccola Intesa, la Cecoslovacchia non si era impegnata chiaramente a sostenere la Romania in caso di un eventuale attacco. Per gli stessi motivi, né la Grecia, né la Turchia si sono impegnate a sostenere la Romania in caso di attacco da est. Secondo Petre Otu, le alleanze regionali funzionano solo se sono coinvolti anche i grandi attori. “L’Intesa Balcanica era un’alleanza di piccoli attori e non ha resistito agli interessi contrastanti delle grandi potenze. In generale, le alleanze regionali di attori più piccoli hanno scarsa vitalità nel sistema delle relazioni internazionali. Esse possono essere sostenute dai grandi attori internazionali, quindi la Piccola Intesa, l’Intesa Balcanica e l’Intesa romeno-polacca non hanno resistito alle straordinarie pressioni delle grandi potenze e alle tensioni nelle relazioni internazionali.”

     

    Verso la fine degli anni ’40, i sistemi di alleanze regionali stavano crollando e stava scoppiando la Seconda Guerra Mondiale. Seguì un lungo e sanguinoso conflitto, dal quale l’umanità emerse nel 1945, colpita da altre tragedie e aspirazioni insoddisfatte.

  • Tedeschi e sovietici in Romania nella Seconda Guerra Mondiale

    Tedeschi e sovietici in Romania nella Seconda Guerra Mondiale

    Le guerre sono tra le forme più ripugnanti di degrado umano e la Seconda Guerra Mondiale ha raggiunto limiti inimmaginabili. È stata la guerra in cui i civili hanno sofferto di più, è stata la guerra al termine della quale il diritto internazionale è stato significativamente modificato e ricreato per coprire tutte le atrocità commesse. Tuttavia, la stragrande maggioranza degli abusi e dei crimini contro i civili sono rimasti impuniti. La memoria dei civili nei confronti del comportamento degli eserciti occupanti è rimasta segnata dal vissuto di ciascun individuo, dalla portata delle sofferenze.

     

    La Romania ha avuto la sfortuna, come gli altri paesi dell’Europa centrale e orientale, di subire entrambi i tipi di occupazione militare della Seconda Guerra Mondiale, quella tedesca e quella sovietica. I romeni e altri cittadini dell’Europa centrale hanno confrontato il comportamento tedesco e quello sovietico, e generalmente il comportamento tedesco è percepito come positivo, mentre il comportamento sovietico è considerato negativo. I ricordi dei romeni di quel periodo, molti confermati da documenti d’archivio, sui tedeschi, sono quelli di persone amichevoli, giuste, gentili, pronte ad aiutare. I ricordi dei sovietici sono, al contrario, negativi: persone aggressive, irrazionali, egoiste e dominate da pulsioni animali. Il Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena ha avuto l’opportunità di registrare le testimonianze di coloro che hanno assistito al comportamento dei due eserciti, dalle quali emergono le stesse percezioni.

     

    L’assistente medico Petre Radu Damian, nel 1999, raccontò di essere stato inviato a Câmpina, nel 1939, dove si erano insediate le prime truppe di trasmissione tedesche. Oltre all’equipaggiamento militare, i tedeschi scesero con macchine e attrezzature sanitarie che stupirono Damian. “E siamo andati da loro, davanti alla caserma c’era il colonnello che comandava l’unità Panzer. Era la prima volta che vedevo dei grandi vasetti che andavano di moda nella cura della gonorrea, e tante altre cose che non avevo mai visto prima. Fui accettato nella loro cerchia, fu una grande gioia per loro e diventammo presto amici di un medico originario del Banato, ma il capo era un capitano. La collaborazione è stata straordinaria. Erano più interessati agli aspetti medici delle interpretazioni e delle analisi, usavano i laboratori.”

     

    Il commerciante Aristide Ionescu, nel 2000, ricordò come si comportavano i militari tedeschi che avevano vissuto nella casa dei suoi genitori in un comune della provincia di Vâlcea. “Nel 1940, in inverno, arrivarono nel paese le truppe tedesche che stavano per attaccare la Russia. Nel nostro comune furono ospitati nella scuola, in caserma. I tedeschi avevano un comportamento molto disciplinato, non si prendeva nulla a nessun contadino senza pagamento, e in casa nostra c’era il comando, nella nostra biblioteca. Accanto ad essa avevamo due stanze di passaggio, io alloggiavo in quella in fondo e nella prima venne ospitato un tenente tedesco. Passando per la sua stanza vidi che aveva lì il suo orologio e gli erano rimaste anche altre cose. Ho sempre chiuso a chiave la mia stanza, poi ho capito il suggerimento e non l’ho più chiusa a chiave. Una notte scomparvero. L’unità tedesca andò oltre e il villaggio venne a saperne. Verso le 10 una motocicletta si presentò al nostro cancello e il motociclista mi disse, in un francese abbastanza fluente, che il tenente che avevo ospitato aveva preso per sbaglio un cuscino e me lo stava restituendo.”

     

    Dal 1944 le sorti della guerra cambiarono. I sovietici arrivarono come liberatori, ma non erano per niente come i tedeschi. Petre Radu Damian: “Quando sono arrivati ​​i russi c’erano bande di rapinatori che, dispersi o a comando, non so, sono entrati anche nella nostra via. Uno solo, cavalcando un cavallo che aveva rubato chissà dove, con una balalaika al collo, entrò nel nostro cortile e continuava a dirmi a voce alta di prendere velocemente due oche per potere legare loro le zampe. Voleva mettermeli sulle spalle affinchè le portassi dove alloggiavano. Sparò dietro al cane con questa balalaika e lo feri’ alla coda. Il tizio era già ubriaco, i russi bevono ovunque, hanno sparato alle botti di vino con i fucili, hanno fatto un sacco di cose brutte.”

     

    Peggiori delle rapine furono gli omicidi e gli stupri. E Aristide Ionescu ha ricordato un caso di stupro commesso dai militari sovietici. “Il 20 settembre 1944 i primi russi entrarono nel nostro comune, tre di loro, con le mitragliatrici. Sono venuti da Dragăşani e sono entrati nella prima casa del villaggio, della famiglia Trican, era proprio uno dei nostri parenti. La famiglia ha dato loro da mangiare, ha dato loro da bere, si sono ubriacati, e dopo di ciò l’anziana che era rimasta a casa, aveva più di 60 anni, è stata violentata proprio nel cortile, sulla soglia del magazzino.”

     

    I ricordi dei romeni riguardo al comportamento degli eserciti tedesco e sovietico sul territorio romeno durante la Seconda Guerra Mondiale sono ancora oggi polarizzati. E così rimarranno perché la storia non si cancella, né si dimentica.

     

  • Le condizioni di vita dei lavoratori nella Romania interbellica

    Le condizioni di vita dei lavoratori nella Romania interbellica

    Chi legge pagine di
    storia operaia romena impara, in generale, che questa classe sociale è sempre
    stata perseguitata e che ha attraversato momenti difficili. La stampa
    dell’epoca, i politici, i documenti scritti, le foto e i video descrivono
    condizioni di vita difficili, con casi estremi di povertà. Spesso l’osservatore
    tende a generalizzare un caso particolare e a trascurare i dettagli. Ma la
    storia orale restituisce i dettagli e contraddice le generalizzazioni, spesso
    grossolane, soprattutto la propaganda fatta dal regime comunista tra il 1945 e
    il 1989.


    Il Centro di Storia
    Orale della Radiodiffusione Romena raccoglie interviste con testimoni del
    periodo tra le due guerre, il miglior periodo di sviluppo economico nella
    storia della Romania, sulle condizioni di lavoro dei lavoratori. Prima del
    1945, anno dell’instaurazione del regime comunista, Manole Filitti fu direttore
    dell’oleificio Phoenix. Nel 1996 si ricordò delle condizioni di cui godevano
    i lavoratori della fabbrica da lui gestita. Oltre ai diritti salariali, il
    patronato offriva servizi come spogliatoi, docce, dispositivi di protezione,
    mense. Io la domenica mattina sacrificavo due o tre ore e andavo a casa
    da tre o quattro operai. Prendevo dal Dipartimento del personale i nomi degli
    operai che avevano difficoltà, ad esempio più figli e cose del genere, e
    riempivo la macchina di cibi vari, di saponi, detersivi e altro e andavo a casa
    di queste persone. Bussavamo alla porta, entravamo e lascevamo loro questi
    doni, scambiavamo qualche parola con loro, loro ci parlavano dei bisogni che
    avevano, di vestiti, di scarpe per i bambini e altro e noi, la fabbrica,
    coprivamo le loro spese e aiutavamo queste persone.


    L’avvocato Ionel
    Mociornița era il figlio dell’industriale Dumitru Mociornița, uno dei creatori
    dell’industria romena della pelle e delle calzature. Nel 1997 parlava
    dell’attenzione che suo padre dedicava al tenore di vita dei suoi lavoratori. T
    L’esistenza dei sindacati era più formale che effettiva, ma ciò non ha
    impedito ai datori di lavoro, e parlo di me, non so come sia stato altrove, di
    avere un’ottima assistenza sociale e sanitaria nella fabbrica. C’erano le
    assicurazioni, i servizi sociali, del resto, mio ​​padre costruì con i propri
    soldi la Cassa della Previdenza Sociale a Piazza Asan, come anche il liceo Regina
    Maria, parte del liceo Gheorghe Şincai, l’ospedale Bucur, nonché i campi
    studenteschi di molte scuole superiori. Non esisteva un contratto collettivo di
    lavoro, il contratto di lavoro era l’assunzione individuale e il lavoratore se
    ne andava quando voleva o quando veniva colto in colpa. C’erano due sezioni del
    Tribunale in via Calomfirescu dove posso dire che pochissimi datori di lavoro
    sono riusciti a vincere una causa contro i lavoratori.




    L’attenzione concessa alla
    condizione dei lavoratori era dovuta alla legislazione, ma anche ad una logica
    umanitaria che andava al di sopra degli obblighi legali. Mociornica si ricorda
    lo stile di vita di suo padre. Il suo concetto era: tutto ciò che è extra
    va investito nello sviluppo dell’industria, nel suo miglioramento e nelle opere
    di beneficenza. Conduceva una vita molto sobria, non fumava, non beveva, non
    sapeva tenere le carte da gioco in mano, come me, tra l’altro, non ballava,
    cioè abbiamo condotto una vita da persone davvero serie e creative e se non
    fossero arrivati ​​i tempi sbagliati, sono convinto che noi e tre o quattro
    generazioni avremmo avuto fabbriche in Romania, industrie pari a quelle
    all’estero con una tradizione secolare e che costituiscono la forza e le
    fondamenta dei paesi avanzati.




    Teofil Totezan era calzolaio e nel 2000 raccontò di aver
    imparato il mestiere da un artigiano. Frequentò la scuola di arti e mestieri,
    nel 1929 trovò lavoro presso la fabbrica Dermata a Cluj, ma imparò il mestiere da
    un artigiano a casa sua. Eri nella casa del padrone, davi da mangiare ai
    maiali, andavi a cercare le zizzanie. L’artigiano con cui ho studiato era un
    ragazzo molto bello, imparò il mestiere e sposò la figlia di un ricco
    calzolaio. Ebbe tre figlie e a ciascuna figlia diede una casa. E così il mio
    padrone ebbe una casa da suo suocero, era un uomo molto buono. Diceva
    maledicimi adesso, non quando sarai grande! E io dicevo Dio,
    sbarazzati di lui! Ma oggi penso a lui, che mi ha reso un uomo. Mi
    diceva che se mi avesse sorpreso a fumare, mi avrebbe ficcato la sigaretta in
    gola! E tutti i nostri garzoni di bottega avevano paura di lui. Non ho
    mai fumato in vita mia. C’erano condizioni di lavoro meravigliose in fabbrica.
    Perché un operaio come me, in città, a quel tempo guadagnava 600 lei a settimana.
    Quando andavi al lavoro, cominciavi direttamente con 600 lei, quello era il
    primo stipendio. Io guadagnavo 1.500 lei alla settimana, e il mio amico
    professore ne guadagnava 1.800.


    I lavoratori della Romania tra le due guerre
    beneficiarono delle condizioni di lavoro di una società in via di sviluppo. Era
    una società che aveva molto da migliorare, ma le società reali, non quelle
    utopiche, hanno sempre qualcosa da migliorare.

  • La Romania e il Trattato di Varsavia

    La Romania e il Trattato di Varsavia

    La fine della Seconda Guerra Mondiale tagliò lEuropa in due, lEuropa centro-orientale, occupata dallUnione Sovietica e trasformata in unEuropa della tirannia comunista, e lEuropa occidentale, lEuropa democratica. Simbolicamente, fu la divisione della Germania con il Muro di Berlino a delimitare duramente due mondi totalmente opposti. I due mondi si guardavano con ostilità, ostilità che si materializzò nella formazione di due blocchi militari antagonisti, il Patto di Varsavia e la NATO.



    Occupata militarmente dallUnione Sovietica e trasformata in un paese a regime comunista, anche la Romania faceva parte del trattato firmato nella capitale della Polonia nel 1955 insieme ad altri sette paesi socialisti: Albania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Germania Est, Polonia, Ungheria e URSS. La Romania, come gli altri paesi socialisti, firmò ladesione al Trattato di Varsavia con la coercizione. Lesempio dellinvasione dellUngheria nel 1956, che intendeva recedere dallalleanza firmata solo un anno prima, mostrò chiaramente cosa significasse uneventuale opposizione. Nel 1968 lAlbania si ritirò dallalleanza quando, in seguito al conflitto tra URSS e Cina, il regime di Tirana aderi alla linea dura di Pechino.



    Nella sua storia, il Patto di Varsavia scrisse una pagina vergognosa nel 1968. Allora, lURSS, la Bulgaria, la Repubblica Democratica tedesca, la Polonia e lUngheria invasero la Cecoslovacchia per fermare il programma di riforme del presidente Alexander Dubček, considerato troppo liberale. La Romania si rifiutò di partecipare allinvasione e quellatto portò un immenso prestigio a Nicolae Ceaușescu. La Dottrina Breznev fu quella che guidò lazione del Trattato di Varsavia, essendo, in realtà, quella che difendeva gli interessi sovietici. Lintervento dellagosto 1968 contro la Cecoslovacchia suscitò grande timore che fosse esteso anche alla Romania e alla Jugoslavia. Nel 2002, il Centro di storia orale della radiodiffusione romena ha registrato unintervista con il generale dellintelligence Neagu Cosma. Questi testimoniò che la Romania era preparata allinvasione perché aveva un agente infiltrato nel comando del Trattato di Varsavia, un colonnello polacco, che forniva informazioni a Bucarest.



    “Il polacco arrivò in Romania da bambino nel 1939 con la sua famiglia, frequentò qui alcune scuole elementari, imparò bene la lingua romena, si considerava romeno. Considerava che la Romania fosse e rimanesse la sua seconda patria. Intorno al 20 luglio 1968 chiese un incontro urgente al colonnello romeno Bichel con il quale era in contatto. Cosa ha detto a Bichel? Che Breznev personalmente, insieme ad Andropov, il capo del KGB, e la leadership dellesercito avevano preparato uninvasione in Cecoslovacchia, Romania e Jugoslavia, insoddisfatti della politica perseguita da Dubcek, Ceausescu e Tito. Una piccola squadra dello Stato Maggiore del Comando del Trattato di Varsavia stava lavorando allelaborazione del piano dettagliato. Bichel rimase di stucco. Questo polacco raccontò che linvasione si sarebbe dovuta svolgere in tre fasi. Prima in Cecoslovacchia, poi dopo 2-3 settimane sarebbe seguita la Romania, e ancora dopo 2-3 settimane la Jugoslavia. Il polacco disse pure che, per quanto riguarda la Cecoslovacchia, le truppe e le forze sovietiche erano già state inviate in Cecoslovacchia.”



    Cosi come un esercito o unalleanza militare mostrano il livello di sviluppo materiale e spirituale dei rispettivi paesi, anche gli eserciti del Patto di Varsavia erano esponenti dei regimi socialisti. A confronto, i due blocchi militari contrapposti avevano quantitativamente quasi lo stesso numero di militari e di equipaggiamenti, ma la superiorità qualitativa dellequipaggiamento degli eserciti della NATO era chiara. La storia del Trattato di Varsavia fu quella del fallimento dei regimi comunisti, il suo crollo nel 1991 essendo un effetto logico delle trasformazioni politiche del 1989. Il diplomatico Vasile Şandru, nel 1994, ha ricordato come fu lultimo incontro dei leader politici degli ex paesi socialisti che si incontrarono per discutere sul da farsi.



    “Il primo incontro è stato presieduto da Jozsef Antall, il primo ministro ungherese. Al punto 1 cerano il futuro del processo generale europeo, la sicurezza europea, la formazione delle strutture europee di sicurezza e cooperazione, quindi era lapproccio generale. Il punto 2 riguardava lo scambio di opinioni sulla revisione del carattere del Trattato di Varsavia, sulle sue funzioni, sulla sua attività e sulle possibilità di ristrutturazione. Gorbaciov ha fatto una presentazione molto ampia, concentrandosi su 3-4 questioni. Ha fatto una serie di considerazioni, in primo luogo sulla valutazione della situazione in Europa in quel momento, sulle prospettive del Trattato di Varsavia nel contesto della situazione. Egli si soffermò in particolare sul problema tedesco. Fu istituita una commissione governativa provvisoria, temporanea, con il compito di analizzare le funzioni e lattività del Trattato di Varsavia. È stato proposto che questa commissione si riunisse a Praga. Oppure, come è noto, alla fine si decise di non tenere più una riunione del Comitato consultivo politico. I ministri degli Esteri si sono incontrati e hanno firmato il certificato di morte del Trattato di Varsavia.”



    Nel 1991, a Praga venne abolito il Patto di Varsavia. Fu, metaforicamente parlando, la morte di unentità che nessuno deplorò.




  • Giuseppe Mazzini e i romeni

    Giuseppe Mazzini e i romeni

    La Romania è una creazione delle idee nellEuropa occidentale della prima metà del XIXesimo secolo e della lobby guidata dalla generazione di giovani politici romeni educati in Occidente, i protagonisti del Risorgimento romeno. Le idee di nazione etnica, di unificazione in un unico stato e di forma di governo ebbero il maggiore impatto sullo spirito pubblico romeno. Uno dei pensatori più influenti nello spazio pubblico romeno fu il giurista e pubblicista Giuseppe Mazzini (1805-1872).



    Democratico radicale, repubblicano, rivoluzionario e combattente per lUnità dItalia, Mazzini nacque durante le guerre napoleoniche a Genova e fu cresciuto ed educato nello spirito delle idee giacobine della Rivoluzione francese. Una delle idee trainanti dello spirito rivoluzionario francese fu leredità dellantica Roma alla quale Mazzini aderì con tutta la convinzione. Alla fine degli anni venti dellOttocento si unì al movimento carbonario che combatteva contro gli imperi multinazionali, in particolare contro lAustria. Nel 1831 Mazzini fondò lassociazione politica “Giovine Italia”. Durante la rivoluzione del 1848, nellorganizzazione della quale fu coinvolto e che proclamò la repubblica, Mazzini ricoprì la più alta carica politica. Gli scritti incisivi del rivoluzionario italiano mobilitarono una parte importante dei giovani intellettuali romeni della Valacchia molto più fortemente di quanto mobilitarono quelli della Moldavia. Lidea della nazione etnica romena, lidea della latinità e dellunificazione dei due principati romeni costituivano lasse centrale del programma rivoluzionario risorgimentale romeno.



    Lo storico Remus Tanasă è lautore del volume “Lapostolo della nazione. Mazzini e la nascita della Romania moderna” in cui viene descritta linfluenza che il rivoluzionario italiano ebbe sullo spirito romeno. I protagonisti del Risorgimento romeno furono ispirati dalle idee di Mazzini, le applicarono al caso romeno di cui scrissero sulla stampa occidentale, le portarono e le diffusero nei due principati. “Una parte delle élite romene, i giovani protagonisti del Risorgimento romeno, scoprirono Mazzini negli anni Trenta dellOttocento, prima e intorno alla cosidetta Primavera dei Popoli del 1848-1849. Mazzini fu uno dei triumviri della Seconda Repubblica Romana per un breve periodo di pochi mesi. Il Papa fu cacciato da Roma e la Città Eterna fu governata da un triumvirato. Dei tre, Mazzini fu il più importante, primus inter pares.”



    Le idee di Mazzini trovarono seguaci soprattutto in Valacchia dove lo spirito rivoluzionario era più effervescente e dove il movimento europeo del 1848 aveva portato alla nomina di un governo rivoluzionario. Remus Tanasă ci ha raccontato quali sono stati i protagonisti del Risorgimento romeno più convinti dalle idee di Mazzini. Tra di loro si annoverò Nicolae Bălcescu. “I primi due nomi sono Dumitru Brătianu, il fratello maggiore di Ion C. Brătianu, e C. A. Rosetti. Dumitru Brătianu aderì addirittura a una delle iniziative di Mazzini a Londra, il Comitato Democratico Centroeuropeo, che esistette tra il 1850 e il 1853. Le idee di Mazzini germogliarono nello spazio romeno più tardi, dopo la fine della Guerra di Crimea del 1856. Il secondo nome, C. A. Rosetti, era molto più strettamente imparentato con Mazzini nel temperamento, anche se non si incontrarono mai. È uno dei romeni che ebbero il ritratto di Mazzini sulla scrivania fino alla morte del rivoluzionario italiano.”



    Remus Tanasă ha mostrato come si ispirarono i romeni alle idee di Mazzini. “Mazzini promosse nellepoca diverse idee controverse. La più importante per lo spazio romeno e per gli esponenti del Risorgimento romeno era lidea di nazione. Mazzini fu un assiduo promotore dellidea che faceva della nazione un argomento politico attraverso lo Stato-nazione. Ecco perché uno dei soprannomi di Mazzini era quello di apostolo della nazione. Nel periodo successivo al 1848, era necessario che i romeni facessero conoscere la loro appartenenza, la loro identità. Anche Mazzini, fino al 1848, fu confuso sullidentità dei romeni. Dopo il 1848, i protagonisti del Risorgimento romeno non solo scrissero sui romeni nelle lingue di circolazione europea, ma riuscirono anche attraverso il momento rivoluzionario di Bucarest ad attirare lattenzione dei decisori e dei vari schieramenti rivoluzionari in Occidente sullidentità latina dei romeni.”



    Convinto repubblicano, Giuseppe Mazzini si oppose allidea di monarchia. Gli esponenti del Risorgimento romeno capirono che alcune delle sue idee erano troppo avanzate per una società politica europea periferica, come quella romena. Remus Tanasă. “I protagonisti del Risorgimento romeno, ovviamente, allinizio furono anche loro repubblicani. Ma si resero conto che in unEuropa delle monarchie lidea repubblicana non poteva vincere. Quindi hanno dato priorità allidea di nazione e di unità nazionale dei romeni, lasciando in secondo piano lidea di repubblica. Paradossalmente Mazzini non voleva e non intendeva rinunciare allidea di repubblica, per quanto riguarda i romeni consigliò a Dumitru Brătianu di accettare e negoziare con statisti dellOccidente, lasciando da parte lidea di repubblica.”



    Come accade sempre, le idee politiche vivono il loro periodo di massimo splendore e sono sempre soggette a critiche e riformulazioni. Verso il 1900, le idee mazziniane persero la loro influenza in Romania, circolando solo come eredità del passato.




  • Lo storico David Prodan (1902-1992)

    Lo storico David Prodan (1902-1992)

    La Romania ebbe degli storici molto bravi nel XXesimo secolo. Uno di questi fu laccademico David Prodan, un uomo e uno storico contemporaneo con i grandi eventi del suo secolo. Si può dire che Prodan abbia avuto la fortuna di essere testimone oculare, oltre ad essere storico, dei cambiamenti portati dagli anni 1918, 1945 e 1989.



    David Prodan nacque nel 1902 nella provincia di Alba, nel sud della Transilvania, e si spense nel 1992 a Cluj, alletà di 90 anni. Fu il primo figlio di una famiglia di contadini. Completò gli studi liceali presso il collegio riformato di lingua ungherese “Kocsárd Kún” di Orăștie e si laureò alla Facoltà di Cluj. Fu appassionato di storia sociale, in particolare della storia dei contadini romeni, maggioritari in Transilvania prima del 1918. Largomento della sua tesi di dottorato, sostenuta nel 1938 e approfondito in un libro in due volumi di 1370 pagine, fu la rivolta di Horea, grande movimento di protesta contadina del 1784-1785. Fluente in ungherese e latino, lingue in cui furono scritti i documenti sulla storia medievale e moderna della Transilvania, Prodan divenne unautorità nel suo campo di ricerca.



    In unintervista del 1991, rilasciata alletà di 89 anni e custodita negli archivi del Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena, David Prodan definiva largomento della sua ampia tesi di dottorato come qualcosa che può sempre essere riscritto. “La storia della rivolta di Horea è un argomento storico, eternamente aperto, inesauribile, il materiale è enorme e nessuno può dire che abbia coperto tutto, che sia arrivato alla fine della ricerca. Cè una rivolta di Horea del 19° secolo descritta da Densușianu, cè una rivolta di Horea del 20° secolo di cui parlo io, e domani ci sarà unaltra rivolta di Horea secondo la ricerca di domani. Ci sono decine di volumi e documentazioni da studiare. Nessuno può dire che abbia esaurito largomento”.



    Prodan fu legato, con la sua vita e attraverso tutto ciò che scrisse, alla Transilvania. Quando gli fu chiesto di definire se stesso rispose cosi: “Vengo dalla Transilvania e sono un contadino e basta. Sono di quel posto, cosaltro posso dire? E figlio di questo popolo romeno, che guarda caso non cè solo in Transilvania. La Transilvania è la radice della nazione romena. Da qui si andò a creare la Valacchia, la Moldavia, qui ebbe inizio il daco-romenismo. Ciò non può essere negato. La Transilvania è la chiave. La Transilvania ci ha aperto le porte della romanità, vicino cè il ponte di Traiano, vicino cè il Danubio, praticamente tutti sono legati alla storia del nostro popolo, indipendentemente dal fatto che siamo di qua o di là. Siamo la romanità nellEst.”



    Lattenzione rivolta alla storia sociale gli diede un vantaggio nella carriera dopo linstaurazione del regime politico comunista dopo il 1945. Prodan divenne professore universitario nel 1948, capo del dipartimento dellIstituto di Archeologia di Cluj e nel 1955 membro dellAccademia della Repubblica Popolare Romena. Continuò a scrivere sulla condizione sociale della servitù della gleba romena in Transilvania, sui diritti politici della nazione romena in Transilvania, su nomi importanti nella storia dei romeni in Transilvania. Sebbene simpatizzante delle idee di sinistra, del socialismo e del comunismo, Prodan riuscì in qualche modo a mantenere le distanze dalla storia militante e abusiva praticata da alcuni storici troppo zelanti del partito. Qualunque nazione giustifica la propria esistenza appellandosi al passato e attraverso la storia e labuso di storia di quegli anni lo sentì anche Prodan.



    “La storia non è stata ancora definita da nessuno. La storia si definisce da sola, chiedilo alla storia, non chiederlo allo storico, perché lo storico sa solo quello che sa. Lo storico è solo questo. Lo storico può fare ciò che può fare luomo: raccogliere il materiale, giurare che questa è la verità quando nessuno riesce a scoprire la verità storica, che questa è la verità umanamente possibile da scoprire e basta. Ma ciò che può fare lo storico non è la verità”.



    Prodan fu uno storico appassionato, ma la storia non fu la sua unica passione. Come ogni intellettuale, era aperto alle arti in generale, e la musica era una di queste. “La musica era, direi, rispetto alla storia che era una professione intellettuale, una professione psichica. La musica è di natura diversa, penetra in altre aree dellanimo umano. Ero molto appassionato di musica classica, arte, pittura. La nostra generazione voleva che non solo fossimo degli specialisti, ma che fossimo il più bravi possibile in tutto, che avessimo una vita completa e fatta di tante cose. Il nostro Dio era Bach.”



    David Prodan fu lo storico che scrisse i testi più consistenti sulla storia sociale della nazione romena in Transilvania fino al 1800. Sebbene sia meno conosciuto al pubblico, limportanza della sua opera è notevole rispetto alla notorietà di cui gode.




  • Dicembre 1989: la Rivoluzione anticomunista in Romania

    Dicembre 1989: la Rivoluzione anticomunista in Romania

    Ogni anno, dicembre, mese della gioia e dei doni, è un mese speciale per i romeni. È il mese in cui, nel 1989, la brutale dittatura comunista di Nicolae Ceaușescu stava crollando e la libertà e la democrazia tornavano in Romania dopo quasi mezzo secolo. Anche se sono passati 34 anni da allora, anche se le opinioni sugli eventi di quel periodo e sullepoca comunista sono estremamente diverse, le ultime due settimane del dicembre 1989 rimangono un punto di riferimento importantissimo. Per 10 giorni, tra il 16 e il 25 dicembre 1989, tra lo scoppio delle proteste a Timișoara e lesecuzione di Ceaușescu, la rivolta di un popolo tenuto in privazioni si scatenò con violenza e forte emozione. Così fu scritta la storia degli ultimi istanti di un regime illegittimo e criminale e la storia dei primi secondi del ritorno alla normalità.



    Il 16 dicembre, i manifestanti di Timişoara si sono radunati davanti alla casa del pastore riformato Laszlo Tokes per opporsi alla milizia che intendeva deportarlo. Nei giorni successivi le proteste guadagnarono slancio e le forze di repressione formate dallesercito, dalla milizia e dalla polizia politica, su ordine dello stesso Ceaușescu, aprirono il fuoco uccidendo diverse centinaia di civili. Il 18 dicembre i lavoratori delle fabbriche di Timisoara scesero tutti in sciopero. Nel centro della città, i rivoluzionari tagliarono lo stemma comunista dalla bandiera tricolore e cominciarono a cantare “Svegliati, romeno!”, unantica canzone rivoluzionaria vietata, risalente al 1848, lattuale inno nazionale della Romania. Sempre il 18 dicembre, dopo la liquidazione delle manifestazioni di Timișoara, Ceaușescu, fiducioso nei suoi uomini e nellobbedienza dellapparato di repressione, partì per una visita in Iran. Di ritorno due giorni dopo, il 20 dicembre, Ceaușescu è apparso in televisione pronunciando un discorso in cui condannava le azioni dei rivoluzionari di Timisoara. Insieme alla sua cricca del Comitato Politico Esecutivo, decise di organizzare, il giorno successivo, una manifestazione a suo sostegno a Bucarest, che sarebbe stata anche una di condanna pubblica dei rivoluzionari di Timisoara.



    Paul Niculescu-Mizil è stato un dignitario comunista e ha ricoperto diversi incarichi politici molto importanti oltre a quello di ministro del Commercio interno. Era nellentourage di Ceaușescu e nel Comitato politico esecutivo nel dicembre 1989. Dopo la caduta di Ceaușescu, fu processato e condannato a tre anni di carcere accanto agli altri ex dignitari comunisti. Intervistato nel 1997 dal Centro di storia orale della Radiodiffusione romena, a Niculescu-Mizil è stato chiesto di raccontare dellorganizzazione della famosa manifestazione del 21 dicembre e chi ha suggerito a Ceaușescu di riunire così tante persone nei momenti di massima tensione. “Nell89 nessuno del Comitato politico esecutivo suggeriva più nulla a Ceausescu! Chi avrebbe potuto suggerirgli qualcosa? La polizia politica, lesercito e forse uno o due dei suoi scagnozzi. Altrimenti, non si consultava più con nessuno. Io ho detto a Ceausescu che la parte più negativa di lui era che non si consultasse con persone che chiamano le cose per quello che sono. Gli ho detto: “Compagno Ceausescu, si circonda di gente che entra in ufficio, apre la porta, Lei non dice niente e da lì, davanti alla porta, Le dicono che ha ragione. Si circondi di persone che vengono e Le dicono che ha torto perché quelli che Le dicono che ha ragione La pugnaleranno alle spalle. Glielho detto testualmente molte volte.”



    Tuttavia, con stupore di Ceaușescu e di sua moglie, la manifestazione del 21 dicembre si trasformò in unaperta manifestazione dellostilità dei partecipanti contro di loro. La popolazione fischiò il dittatore e la sera dello stesso giorno iniziò la repressione dei manifestanti a Bucarest. Il giorno successivo, il 22 dicembre, il ministro della Difesa, il generale Vasile Milea, si suicidò nel suo ufficio, un fatto che segnò anche il destino di Ceaușescu. Paul Niculescu-Mizil. “Lui credeva che il popolo romeno lo volesse, lo avete visto anche al processo. E la mattina, verso le 7, la prima persona che svegliò Ceauşescu e gli fece rapporto fu Milea. Il generale Milea gli ha detto che ci sono dei morti allAlbergo Intercontinental (N. d. R. nel centro di Bucarest). E Ceausescu gli chiese: “Perché, Milea? Chi ti ha dato lordine di farli morire?” So esattamente che, uscendo dallufficio di Ceausescu, Milea si recò in un ufficio adiacente e chiamò il Ministero delle Forze Armate, i suoi uomini, e disse che era grave, Ceausescu era arrabbiato perché cerano dei morti. Posso dire che la tesi secondo cui Milea si sarebbe sparato perché non li voleva morti non è una tesi vera. Anzi. Milea si è sparato non perché ha ucciso i manifestanti davanti allhotel Intercontinental, ma perché Ceausescu glielha rimproverato.”



    I giorni che seguirono segnarono la caduta di Ceaușescu. Il 22 dicembre 1989, grandi masse di persone provenienti dagli stabilimenti di Bucarest marciarono verso il centro della città, verso la sede del PCR. Ceaușescu fuggì in elicottero dalledificio, fu catturato, processato e giustiziato il 25 dicembre. La fine della vita di un sovrano odiato significò anche la fine di unepoca.




  • L’anno 1918 e la Nuova Romania

    L’anno 1918 e la Nuova Romania

    Per comprendere i cambiamenti dei confini e delle strutture statali che lanno 1918 ha portato sulla mappa dellEuropa, è necessario prendere in considerazione due realtà, una fisica e laltra utopica, in cui viveva lumanità. La prima fu quella della Prima Guerra Mondiale, con oltre 20 milioni di morti tra militari e civili e circa 23 milioni di feriti. I due blocchi militari contrapposti, lIntesa, composto da Francia, Gran Bretagna, Russia, Giappone, Italia e Stati Uniti, e il blocco delle potenze centrali formato da Germania, Austria-Ungheria, Turchia e Bulgaria, si sono impegnati in una corsa senza precedenti per soddisfare i propri interessi. La “Grande Guerra”, come venne chiamata, fu quella che decise le nuove frontiere, come quasi tutte le guerre della storia moderna. La seconda realtà, quella utopica, apparve sempre durante la guerra, ossia la rivoluzione bolscevica in Russia. La grande vittoria di Lenin motivò fortemente tutti coloro che volevano il cambiamento profondo del mondo, non solo dei confini, e che credevano che fosse giunto il momento di costruire un mondo migliore sulle rovine di quello vecchio.



    La Romania pagò un pesante tributo di sangue durante gli anni della Grande Guerra. Sebbene entrarono in conflitto nel 1916, due anni dopo il suo inizio, i romeni diedero abbastanza per tutta la guerra. Le stime dei sacrifici umani romeni, in percentuale, oscillano tra il 7,5 e il 9% dellintera popolazione, cioè tra 580.000 e 665.000 morti, la metà a causa dellepidemia di tifo esantematico. Il sacrificio fu ripagato con lunione delle province di Bessarabia, il 27 marzo 1918, Bucovina, il 28 novembre 1918, e Banato, Maramureș e Transilvania, il 1° dicembre 1918, con il Regno di Romania. Fu il prezzo pagato da tutti i romeni, e i re di Romania, Ferdinando e Maria, e la classe politica romena furono allaltezza della situazione, come ha mostrato lo storico Ioan Scurtu. “Ion I. C. Brătianu, presidente del PNL, fu coinvolto negli avvenimenti ed ebbe un ruolo importante nella realizzazione della Grande Unione. Sia i romeni della Bessarabia, che i romeni della Bucovina e della Transilvania vennero a Iasi con emissari, prima della proclamazione dellUnione, discussero con il re Ferdinando e Ion I. C. Brătianu e altri politici sul modo di procedere nella mobilitazione per lunione. Brătianu guidò la delegazione romena alla Conferenza di pace di Parigi e lì affrontò i grandi politici dellepoca, dal presidente americano Wilson al primo ministro della Gran Bretagna. Il re Ferdinando era tedesco, era stato ufficiale dellesercito tedesco. Quando nel Consiglio della Corona espresse il parere che la Romania dovesse entrare in guerra contro il suo Paese, la sua famiglia, egli compì un atto di sacrificio personale, ma allo stesso tempo un atto di grande importanza per la Romania. La regina Maria fu fin dallinizio una sostenitrice dellentrata in guerra della Romania a fianco dellIntesa. Lei era inglese ed ebbe un ruolo importante nel convincere Ferdinando a compiere questo sacrificio personale, nellinteresse del popolo romeno. Lungo la strada, il re e la regina erano costantemente con i romeni, lesercito, i principali leader politici.”



    Il 1° dicembre 1918 si riunì ad Alba Iulia lAssemblea nazionale dei romeni della Transilvania e il Grande Consiglio nazionale romeno, organo rappresentativo con potere legislativo, chiese la riunione di 1.228 delegati per elaborare la risoluzione di adesione al Regno di Romania. Insieme al Consiglio Nazionale romeno, che svolgeva la funzione esecutiva, il Grande Consiglio Nazionale decise che un nuovo inizio poteva avvenire solo sulla base del suffragio universale. Era giunto il momento per i romeni di utilizzare il suffragio universale, il voto che dava la maggiore rappresentanza elettorale, un voto per il quale i partiti romeni e le organizzazioni nazionali in Transilvania si battevano dal 1881.



    Il voto che ha proclamato lunione della Transilvania con la Romania è stato un voto di volontà nazionale, ma anche di urgenza. La fine della Prima Guerra Mondiale aveva innescato utopie trasformiste e lo storico e politologo Daniel Barbu afferma che la pratica democratica del suffragio universale deve essere vista attraverso gli occhi di chi in quel momento assisteva alle rivoluzioni bolsceviche e allanarchia che incombeva dopo quattro anni di guerra. “I partecipanti allAssemblea di Alba Iulia, o almeno coloro che hanno redatto la risoluzione e lhanno proposta al grande consenso popolare, erano dei democratici? Erano ovviamente patrioti romeni. Erano persone che avevano lunghe esperienze parlamentari, avevano la scienza e la pratica della politica. Cosa sarebbe accaduto il 6 dicembre? Lesercito romeno occupa la Transilvania. È stato straordinariamente determinante nello stabilire i confini e, soprattutto, ha riportato la pace nel paese. Abbiamo testimonianze molto chiare, ne parla Ion Lapedatu nelle sue memorie, nelle pagine di diario scritte in quei giorni, dove scrisse “i villaggi si stanno muovendo”. Tutta lEuropa, inclusa lInghilterra, era presa da un brivido rivoluzionario”.



    La Grande Romania è stata costituita nel 1918 per volontà dei romeni e in un contesto internazionale favorevole. E nella Nuova Romania hanno trovato posto tutti coloro che hanno ritenuto che corrispondesse alle loro aspettative.




  • Centenario Monica Lovinescu

    Centenario Monica Lovinescu

    Non cè dubbio che Radio Europa Libera sia stata la più importante fonte di informazione gratuita, analisi e sintesi sulla situazione politica, economica e culturale della Romania nella seconda metà del XXesimo secolo. Nella sua equipe, il servizio romeno di Radio Europa Libera aveva nomi pesanti del giornalismo radiofonico romeno: Noel Bernard, Mircea Carp, Vlad Georgescu, Neculai Constantin Munteanu e altri. Non ultima, forse anche tra le prime menzioni, anche Monica Lovinescu, di cui sono ricorsi, il 19 novembre, i 100 anni dalla nascita.



    Monica Lovinescu fu una delle voci più forti della Romania libera anticomunista e antifascista in esilio tra il 1945 e il 1989. È nata a Bucarest come figlia del critico letterario Eugen Lovinescu e dellinsegnante di francese Ecaterina Bălăciou, uccisa in detenzione dal regime comunista. Giornalista e critica letteraria a sua volta, Monica Lovinescu è diventata unautorità nel settore come suo padre. Nel 1947, alletà di 24 anni, con una carriera già molto promettente, emigrò in Francia dove, insieme al marito Virgil Ierunca, realizzò i più attraenti programmi politico-culturali della Radio Europa libera. La sua voce inconfondibile, i principi morali e letica professionale impeccabile, nonché le sue osservazioni e critiche molto pertinenti, lhanno resa una delle voci più apprezzate di Radio Europa Libera.



    Il Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena ha avuto lopportunità di intervistare Monica Lovinescu nel 1998. A quel tempo, lei ricordava lufficio parigino di Radio Europa Libera, fondato allinizio degli anni 60, il luogo dove venivano prodotti i famosi programmi che catturarono lattenzione dei romeni. “Da qui facevamo quello che in generale gli altri paesi non facevano, eravamo unici, il caso romeno era unico. Perché mandavamo in onda ogni settimana un programma di unora, il mio dal titolo “Tesi e antitesi a Parigi”, circa 40 minuti il programma di Virgil Ierunca “Storia delle parole” e due programmi di 20 minuti ciascuno dal titolo “Attualità Romena”, dedicati alla cultura romena. Quindi abbiamo occupato lo studio per unintera giornata e abbiamo avuto un numero di ore di trasmissione che nessunaltra nazione aveva.”



    Monica Lovinescu ha fatto giornalismo radiofonico con dedizione alla sua professione. Non solo lo studio beneficiava di adeguate attrezzature tecniche, ma nella loro casa i coniugi Lovinescu e Ierunca avevano anche un registratore su cui registravano i testi e si recavano in studio solo per mixarli con la musica. Monica Lovinescu ha parlato anche delle fonti dinformazione sulla Romania, considerando le difficoltà che la stampa libera ha avuto con il regime comunista di Bucarest. “Riguardo alla situazione in Romania ci siamo documentati in due modi. Attraverso i giornali, da un lato ci abbonavamo ai principali giornali, erano intestati a Virgil Ierunca, ma avevamo una casella postale per non dare il nostro indirizzo di casa… E ci incontravamo con almeno quattro o cinque scrittori al mese. Li chiamavamo – e così furono chiamati fino alla fine – “i clandestini”, cioè nessuno scrittore romeno sapeva che ci vedevamo con un altro; sapevano che ci vedevamo, ma non sapevano con chi. Abbiamo mantenuto questo segreto per non far loro del male. Quindi conoscevamo la vita letteraria e le grandi questioni politiche dallinterno.”



    Spirito universale, nei suoi programmi Monica Lovinescu non ha potuto parlare ai romeni solo della Romania. “Tesi e antitesi a Parigi non riguardava solo la letteratura romena, ma anche ciò che accadeva a Parigi. Non tanto dal punto di vista francese, era un negozio culturale settimanale. A Parigi era una specie di crocevia doves uccedeva tutto quello che riguardava lavanguardia, ogni discussione di idee più interessante. Oppure si trattava dei successi di alcuni romeni allestero, Lucian Pintilie, Mircea Eliade, Eugen Ionescu. Furono tutti presenti a questo microfono e le trasmissioni erano con loro e su di loro.”



    Una giornalista così scomoda non poteva lasciare indifferente il regime di Bucarest, che ha deciso di metterla a tacere. In primo luogo, il regime ha avviato una campagna diffamatoria nei media. Poi ha ricorso allaggressione fisica. “Nel novembre del 1977, il giorno prima dellarrivo di Paul Goma a Parigi, il 18 novembre per lesattezza, due palestinesi mi aspettavano. E mi chiesero di entrare in casa perché avevano un messaggio per me. Mi sembrò sospetto perché mi chiamarono “signora Monica” e quel “signora” accanto al nome è un modo di rivolgersi molto familiare, non si usa qui. Me ne sono subito accorta e non li ho fatti entrare. Allora hanno cominciato a picchiarmi in testa. Sono caduta, ho urlato, sono svenuta, qualcuno è venuto dalla strada, sono scappati via. Quello che era corso per aiutarmi li ha rincorsi, ma non li ha trovati. Mi sono salvata solo con il naso un po rotto e senza grossi danni, il viso e il braccio gonfi .”



    Monica Lovinescu ha continuato dopo il 1989 a parlare ai romeni di libertà, democrazia, principi, storia fino alla sua morte nel 2008. Il suo lavoro è uneredità estremamente importante per comprendere la condizione dellintellettuale in esilio, che dovette combattere contro il Male e che vinse. Non cè dubbio che Radio Europa Libera sia stata la più importante fonte di informazione gratuita, analisi e sintesi sulla situazione politica, economica e culturale della Romania nella seconda metà del XXesimo secolo.